Freddo, fango, gelo, sangue e merda. Fiandre occidentali, Belgio, 1914; le trincee si Ypres immaginatevele così. È la guerra degli Imperi, la prima, la Grande Guerra per noi, quella che cambia tutto o quasi, quella che finirà a Versailles portandosi sulle spalle oltre 15 milioni di morti e una pace che non durerà a lungo.
A Ypres si combatte dall’ottobre, i tedeschi vogliono passare per andare a occupare i porti della Manica e interrompere i collegamenti con la Gran Bretagna; il British Expeditionary Force passa di lì. Francesi, belgi e inglesi, compreso un contingente indiano di figli dell’Impero, li aspettano per non lasciarli passare. A Ypres la guerra diventa quello per cui sarà ricordata: trincea, gas con l’odore di mostarda – usato qui per la prima nell’aprile 1915 e che non a caso sarà chiamato iprite -, morti a decine di migliaia. Accade anche altro a Ypres, però.Sono fantasmi quei ragazzi, occhi grandi dei vent’anni, smagriti e con addosso tutte le paure possibili.
Natale è per tutti, però, anche per loro.
Natale in trincea
Hanno iniziato a combattere a metà ottobre, il fronte – anzi, la fronte come si diceva al tempo – si estende per circa sei chilometri, avanza e indietreggia di qualche centinaio di metri, in mezzo si muore come mosche. Si combatte fino al 22 novembre, poi si ferma tutto, si mantengono le posizioni, si attende mentre lontano da lì, sui tavoli dei comandi, si srotolano carte geografiche e si spostano bandierine. In trincea si attende e si pensa a sopravvivere, l’inverno è freddissimo e gela carne, ossa e sangue. Proprio come la paura. Poi accade quello che non ti aspetti
I tedeschi iniziano a fare alberi di Natale in trincea: rami spezzati dagli shrapnel, addobbati con quello che si trova, stracci colorati, lanterne. In guerra la morte la inganni solo sfidandola. Gli inglesi guardano, qualcuno inizia a gridare, i tedeschi, dall’altra parte, rispondono. Non sono grida di guerra; quei ragazzi si parlano.
Il 24 dicembre la no man’s land è una distesa gelata e quando parli anche l’alito si fa bianco
Qualcuno non se ne cura e inizia a cantare “Stille nacht, heilige nacht”. Immaginate di sentirla anche voi, “Astro del ciel” la conosciamo tutti. “Silent Night” per gli inglesi. Natale è un canto e i ragazzi iniziano a cantare, da una parte e dall’altra, in tedesco e in inglese. Fanno anche altro. Sulle trincee si alzano dei cartelli. “Buon Natale” scrive qualcuno, qualcun altro scrive “Non sparate”.
Il primo a uscire è un inglese, lascia a terra le giberne e il Lee-Enfield con i dieci colpi nel caricatore, precisione e potenza di fuoco micidiale, ma adesso non serve. Esce uno, poi un altro e un altro ancora, poi tutti. Tutti sul serio perché escono anche i tedeschi e anche loro si lasciano i Mauser alle spalle.
Nel gelo della no man’s land i cuori si scaldano. I ragazzi si parlano, si offrono sigarette, cioccolata e quello che si ha.
Nessuno spara il 24 dicembre e neanche il giorno dopo.
Il 25 dicembre qualcuno ha un’idea folle, sopravvivere è spesso un esercizio di fantasia
Sembra che sia stato un soldato tedesco a tirare fuori dalle sue cose un pallone, qualcuno dice fatto di stracci, ma le foto mostrano quello che sembra un vero pallone di cuoio duro. Il ragazzo si guarda intorno, cerca consenso con gli occhi e le sue parole sono inequivocabili: si gioca! E allora tutti fuori, la terra gelata è dura, non sarà l’ideale, ma funziona. C’è chi non crede ai propri occhi, ma la sorpresa dura poco. Il campo è quello, gli spalti sono i terrapieni, le porte segnate da elmetti e cappotti ammucchiati. Lo abbiamo fatto tutti, su altri prati e in altri tempi, con le cartelle e senza elmetti.
La sfida classica del calcio europeo inizia lì, nella no man’s land di Ypres, il giorno del Natale di guerra del 1914
Inglesi contro tedeschi, Tommy contro Fritz, sassoni contro scozzesi nello specifico di quell’angolo di fronte. Una mezz’ora di gioco, non di più; il risultato si fissa sul 3 a 2 per i tedeschi. Nel 1914 la guerra si annuncia per la tragedia che sarà, ma la pace sembra fare più paura.
La tregua di Natale non è formale, ma spontanea. Estesa a più parti del fronte occidentale, sarà osteggiata dai comandi che avvicenderanno molti reparti. Inglesi, francesi e tedeschi sono uniti nella condanna: fraternizzare con chi il giorno dopo devi uccidere è vietato dal regolamento e dall’onore. Così dicono. Nella logica stringente della guerra, probabilmente hanno ragione, ma vaglielo a dire a quei ragazzi di vent’anni che con una partita hanno fermato mezz’ora di guerra.
A Ypres si combatterà ancora: in tutto saranno quattro le battaglie che, sino all’armistizio del 1918, lasceranno su quel fazzoletto di terra centinaia di migliaia di morti.
Della partita si verrà a sapere, ma non molto.
Il primo a darne notizia, il 31 dicembre, è il New York Times. Qualche giorno dopo arriva il Daily Mirror, in Italia ne scriveranno La Nazione e La Stampa.
Le lettere dei soldati faranno il resto. Molte saranno ultime lettere, ma nessuno dimenticherà più.
Neanche noi che oggi, nel Natale di 109 anni dopo, salutiamo i ragazzi di Ypres.