È stato un attimo.
Forse perché sono cresciuto in fretta, o forse perché tra gli anni sessanta e i settanta tutto andava di corsa, persino il tempo.
Come tutti anche io giocavo per strada, o meglio inseguivo un pallone, visto che non ero certo tra i più bravi, ma in fondo l’importante era rimanere nel campetto dietro scuola a giocare fino all’ultimo secondo possibile per poi correre a casa sudato come non mai, lavarsi e mettersi a studiare, con queste due ultime attività non sempre eseguite nello stesso ordine.
Sono nato a Viterbo e cresciuto a Bomarzo, dove il fuori del normale è vicino casa con il Sacro Bosco e le sue pietre scolpite nel XVI secolo per dare la sensazione del volo suborbitale nella casa pendente di Vinicio Orsini.
Per me il fuori del normale prese una strada diversa e molto presto iniziai a inseguire una mia personale suggestione, iniziai a guardare al mistero dell’antimateria con la fascinazione di doverlo comprendere e fu così che, immaginando di entrare dentro i segreti dell’Universo, mi iscrissi alla Facoltà di Fisica dell’Università di Pisa.
Anche in questo caso fu un attimo; uscì il bando per l’ammissione all’Accademia dell’Aeronautica Militare, decisi di rispondere e cambiai la mia vita, anche se ancora non potevo sapere di quanto.
Mi qualificai sia per il ruolo piloti che per il ruolo ingegneri, Pisa divenne presto un ricordo e la mia nuova vita iniziò a Pozzuoli, dove ha sede l’Accademia e da dove uscii con laurea, brevetti di pilotaggio e stellette.
La vita in Accademia è un mondo sospeso; si studia e anche tanto, si imparano nuove regole, quella della vita militare, certo, ma anche quelle essenziali della vita in comune, regole che ti insegnano a non lasciare mai il tempo al caso, regole del rispetto e della collaborazione con l’altro, regole che diventano un abito mentale da cui non ci si spoglia mai e che, nella vita da astronauta che allora non immaginavo di fare, sarebbero state indispensabili per vivere e lavorare nello spazio ristretto e senza uscita della Stazione Spaziale.
In quegli anni, pur senza risultati degni di nota, iniziai a dedicarmi al mezzofondo, in particolare ai 1.500, e al nuoto che ancora oggi nei momenti possibili coltivo, specialmente in mari rocciosi dove non ci si sdraia ma riposare ma si nuota e si può vedere il fondale.
Completato il percorso dei brevetti di volo, inizio i percorsi operativi di Reparto e poi come sperimentatore fino a quando, nel 1998, la vita cambia nuovamente direzione; l’Agenzia Spaziale Italiana pubblica un bando, cerca astronauti e io ho un profilo ideale, sono pilota collaudatore sperimentatore, partecipo e vengo selezionato. Sembrerebbe un percorso fatto a posta, al contrario tutto una casualità
La mia vita nello Spazio inizia così e detto in questo modo potrebbe anche sembrare una romantica avventura tra le stelle, ma sfatiamo un mito: dopo l’allunaggio del 1969, lo Spazio per noi astronauti è stato poco più di una navigazione di alta quota.
La Stazione Spaziale è in orbita a circa 400 chilometri da terra – per rendere idea, la Luna ne dista 400 mila -, dopo circa dieci minuti dal lancio ci troviamo già in microgravità e tempo poche ore siamo agganciati alla Stazione. Insomma diciamo che, considerando l’immensità di riferimento, la nostra attuale quota di Spazio è abbastanza limitata.
Pur depurando la figura dell’astronauta dalla suggestione del viaggio interstellare, che è ancora molto al di là da venire, senza alcun dubbio allenarsi per lo Spazio è un percorso lungo, coinvolgente sotto ogni punto di vista – tecnico, mentale e fisico – e scatenante un sistema di correlazioni complesse dell’uno con l’altro.
La permanenza nello Spazio, specialmente se di lungo periodo, fa perdere ogni riferimento abituale; tempo e spazio si declinano in dimensioni diverse e il nostro corpo, nella sua globalità psico-fisica, a questo reagisce e a questo, per usare un termine sportivo, deve essere allenato.
Nella microgravità non cambiano solo le attitudini fisiche del corpo, cambia il metabolismo e cambia il modo in cui il nostro cervello lavora perché ogni riferimento spazio temporale, ovvero le dimensioni più importanti del nostro ambito terrestre, è destabilizzato e il cervello deve elaborare nuove immagini relazionandosi con queste.
Nella micro gravità della Stazione Spaziale viviamo in assenza di peso che non è solo una sensazione fisica, ma una nuova raffigurazione mentale di noi stessi e adattarci a questo è uno sforzo, fisico certamente, ma non solo.
Nello Spazio nulla è ordinario e l’attività sportiva non fa eccezione a questo principio: nel timesheet quotidiano di un’astronauta con soggiorno di lungo periodo in Stazione Spaziale, diciamo oltre i 15 giorni, sono previste due ore di attività fisica, ad esempio corsa sul tapis roulant.
Banale? Provate a immaginarvi mentre correte stretti in una sorta di imbragatura elastica che vi permette di non galleggiare a mezz’aria e probabilmente cambierete idea al solo pensiero.
In ogni caso fare sport è indispensabile per ossigenare i muscoli e mantenerli nel tono giusto, ma ovviamente farlo in microgravità si porta dietro le sue criticità, tipo convivere con il sudore che diventa bollicine in sospensione sulla pelle piuttosto che con un’idratazione che nello Spazio non è mai cosa banale, o con una doccia che ovviamente non puoi fare oppure, più semplicemente, con una biancheria che non puoi certo mettere in lavatrice.
Piccoli disagi che però rappresentano un salto di paradigma e che devono essere risolti con procedure codificate e definite, anche se la reazione della persona, che io intendo sempre nella sua estensione psicofisica, è la variabile non programmabile, non addestrabile e del tutto individuale.
Noi ci prepariamo allo Spazio, peraltro con metodi diversi a seconda che si segua un percorso di addestramento americano o russo, il primo più standardizzato e il secondo più individuale, ma la risposta vera alle sollecitazioni per le quali ci addestriamo la scopriamo solo in missione.
Ci prepariamo a vivere in un ambiente in cui il fattore dirimente non è la forza, ma l’equilibrio ed è quello il vero sforzo che un impianto muscolare tonico e quanto più possibile allenato deve supportare, diventando strumento fisico della nuova elaborazione di immagini che il nostro cervello è costretto a fare.
La massa muscolare e il metabolismo in assenza di gravità vanno sotto stress e qui entra in campo un altro aspetto che, se vogliamo, con un po’ di astrazione possiamo ricondurre a un parallelo sportivo, ovvero l’alimentazione, il nostro carburante, aspetto che nella prospettiva spaziale di lunga durata sta facendo passi da gigante verso la generazione autonoma di alimenti, mentre ora è affidata a soluzioni di tecnologia alimentare che continuano a essere non particolarmente invitanti, digeribili con una certa fatica e dalle quali è praticamente scomparso il differenziale del sapore.
Oggi la scena spaziale vive una nuova stagione di entusiasmo, oltre che di accesa competizione in ricerca, sviluppo e dinamiche industriali, ma quello che abbiamo a portata di mano è non solo l’imminente ritorno sulla Luna, ma l’andare per rimanerci in pianta stabile, differenza sostanziale rispetto al 1969.
Il programma Artemis che porterà astronauti sulla Luna, è solo il primo passa di un insediamento umano stabile e del successivo balzo verso Marte, prospettive quindi di fascino assoluto e sfide grandissime.
Ovviamente la permanenza lunare pone una serie di questioni importanti per le quali gioca, rispetto alla permanenza in Stazione Spaziale, il differenziale della gravità, che sulla Luna è 1/6 di quella terrestre e che consente movimenti diversi da quelli che noi compiamo quando siamo in orbita.
La permanenza lunare in ambienti pressurizzati replicherà una condizione di vita simil terrestre e senza alcun dubbio avremo un piano di attività fisica quotidiana da rispettare e seguire con scrupolo, inizialmente per dovere, ma migliorando nel tempo le nostre condizioni di permanenza, sono convinto che somiglierà sempre più al piacere di quando facciamo sport da queste parti.
Non andremo a fare jogging tra i crateri, ma Base Luna avrà il suo angolo e, ne sono certo, a dimensioni ottimali raggiunte, la sua palestra.
Ho compiuto tre missioni spaziali, sono stato nello Spazio complessivamente per circa 864 ore di volo, a cui si aggiungono le circa 2500 ore di volo aeronautico.
L’esperienza che ho maturato mi dice che il vero valore differenziale per affrontare al meglio una missione sia mettere l’astronauta nella condizione di trovare una propria interpretazione del particolare ambiente che è la micro-gravità e, da questo punto di vista, l’attività fisica che si avvicini il più possibile all’equivalente terrestre sono convinto abbia un ruolo importante.
Lo Spazio è fatto di equilibrio, la persona è fatta di equilibrio, le relazioni tra persone sono fatte di equilibrio ed è l’equilibrio la vera forza che dobbiamo coltivare e allenare.
Su qualunque pianeta siamo e su qualunque pianeta saremo.