Louis Zamperini non ha avuto una vita comune: figlio di immigrati italiani in America, atleta olimpico, soldato, naufrago, prigioniero di guerra, eroe in patria e infine marito e padre amorevole.
Una vita da film, un vita da Unbroken, il film che Angelina Jolie dirige e produce nel 2014 traendo ispirazione dal libro Unbroken: a world war II story of survival, resilience and redemption, biografia scritta da Laura Hillenbrand e che fa avvicinare la regista a Louie, suo anziano vicino di casa di cui prima non sapeva nulla e al quale nel film farà dare volto e voce dall’inglese Jack O’Connell.
Il secolo di Louis Zamperini.
Louis Zamperini nasce nel 1917 a Olean, vicino New York, da una famiglia di veronesi emigrati e come tanti sbarcati a Ellis Island. Quando lui ha due anni la famiglia si trasferisce a Torreance, in California, ma Louie non ha una bella infanzia e fin da subito viene considerato un emarginato: parla poco inglese, poco italiano, viene deriso e angariato. Allontanato da tutti inizia a combinare guai e quella che gli si prospetta davanti è solo una cattiva strada.
Il fratello maggiore Pete per fargli occupare il tempo, ma soprattutto per poterlo controllare, lo fa entrare nel gruppo di atletica della scuola, dove presto viene notato per le sue capacità; nel film viene ritratto in maniera esemplare il rapporto tra i fratelli, Pete appare quasi come un maestro per Louie, lo incoraggia sempre a dare il meglio di sé e gli ripete come un mantra If you can make it, you can take it, ovvero se puoi sopportarlo puoi farcela.
Un sogno da inseguire.
Louis Zamperini dunque trova nello sport la sua vera vocazione, ma anche la salvezza da una vita allo sbando, lo porta ad avere una popolarità inaspettata, diventa per tutti Torrance Tornado, il Tornado di Torreance, e ha finalmente un sogno da rincorrere, il sogno della vita: partecipare alle Olimpiadi.
È tenace Zamperini e al sogno lui gli va incontro.
Nel 1936 è a Berlino, gareggia nei 5.000, non vince, ma proprio all’ultimo suono di campanella ha la soddisfazione di far registrare il giro più veloce.
Berlino 1936 doveva essere una tappa di una vita olimpica che lo avrebbe dovuto portare a Tokyo nel 1940.
Il mondo però cambia, s’incendia e brucia sogni e vite. Nel 1940 le Olimpiadi a Tokyo non si svolgeranno e Louis Zamperini invece che a correre sulla pista di uno stadio con i cinque cerchi olimpici, si ritrova aviere a bordo di un bombardiere a stelle e strisce.
La guerra e i campi
Nel 1943 l’aereo di Louis Zamperini è abbattuto e precipita nell’Oceano Pacifico.
Miracolosamente lui e altri 2 compagni sopravvivono all’incidente, diventano naufraghi nell’Oceano e altrettanto miracolosamente vanno alla deriva per 47 giorni in mezzo al mare cercando di rimanere vivi su delle zattere di fortuna.
È un miracolo sopravvivere, un miracolo raggiungere terra, ma l‘incubo non è finito: le Isole Marshall sono in mano ai giapponesi e loro vengono catturati.
Una prova durissima che lo segnerà per sempre
Qui Louis Zamperini cambia ancora una volta vita.
Trascorrerà due durissimi anni in un campo di lavoro dove il sogno e il ricordo dello sport lo aiuteranno ad andare avanti e gli saranno scudo per lo scherno dei soldati del campo che lo sfidano a fare l’atleta anche lì. È proprio in queste occasioni che Louie viene visto più volte ripetere il mantra di Pete come una preghiera alla quale attaccarsi per sopravvivere al suo inferno in terra.
All’interno del campo non solo la vita è estremamente dura, ma Zamperini è anche vittima delle vessazioni del sergente Mutsuhiro Watanabe, soprannominato l’uccello, il quale vede nell’atleta il soggetto preferito da umiliare e piegare. Anche qui torna il ricordo della corsa e degli allenamenti intensi e Louie capisce che anche in una situazione avversa come quella in cui si trova, deve spingere ancora di più, proprio come se fosse ancora all’ultimo giro dei 5.000 di Berlino.
Oltre la bufera
La guerra finisce e si porta via la prigionia.
Louis Zamperini torna a casa e per l’ennesima volta cambia vita.
Adesso non è solo un ex olimpionico e un reduce. La sua storia passa di bocca in bocca e gli dipinge addosso l’aura dell’eroe.
Ma forse lui vorrebbe solo dimenticare.
La vita va avanti, Louie si sposa con Cynthia, diventa padre di due figli, ma il ricordo dei campi è un tarlo che non lo abbandona e lo fa soffrire di stress post-traumatico; sarà la moglie, fervente cristiana evangelica, che lo aiuterà a trovare pace nella fede.
Sarà la sua salvezza. A una vita di odio e rancore, Louis Zamperini ne preferì una d’amore e perdono che lo porterà addirittura a voler incontrare alcuni dei suoi aguzzini per poterli abbracciare e dire loro che li aveva perdonati definitivamente.
Watanabe, lui sì prigioniero per sempre dei demoni che aveva scatenato, fu l’unico a rifiutare l’incontro
Il sogno ritorna
Più volte Louis Zamperini ha ricordato come non fosse stato il dolore fisico a farlo stare male, quanto il fatto che lo avessero svuotato di qualunque tipo di dignità e che solo il suo passato da mezzofondista lo avesse aiutato nei momenti più difficili.
In questo senso celebre è la sua citazione I’d made it this far and refused to give up because all my life I had always finished the race, emblema della sua perseveranza e di come sia importante arrivare fino in fondo alle proprie battaglie e finire la gara.
Il cerchio della vita riserva sempre sorprese e a Louis Zamperini riserva il ritorno di un sogno.
Nel 1998 Louis tornerà a Tokyo invitato a portare per un tratto la torcia olimpica in occasione dei Giochi invernali di Nagano.
La torcia che lui aveva lasciato sempre accesa anche nei momenti più bui della sua vita.
Louie non potrà assistere alla prima di Unbroken, il suo ultimo giro lo corre il 2 luglio 2014, qualche mese prima dell’uscita del film.
Si dice però che la sera, quando anche gli ultimi ragazzi hanno smesso di allenarsi, sulla pista di atletica del liceo di Torreance, nel profilo del giorno che lascia spazio alla notte, a volte si veda un’ombra leggera con un cappellino rosso fare la sua corsa.