Search
Close this search box.

Aleksander Doba. Dall’Atlantico al Kilimanjaro

Una vita avventurosa iniziata quasi per caso, quando Aleksander sale a bordo di un kayak in occasione di una gita aziendale. Sale e non scende più. Sale e in kayak attraversa tre volte l'Oceano Atlantico in solitaria. Sembra tanto, ma non basta perché poi ci sono i lanci con il paracadute, il volo a vela e la montagna. Questa è la storia di una vita avventurosa e delle sue sfide. Fino all'ultima. Fino al Kilimanjaro.
Aleksander Boda

Il Kilimanjaro viene “battezzato” ufficialmente intorno al 1860. Serve un nome affascinante, qualcosa che riesca a fare breccia (ancora di più) nelle manie sconcertate degli esploratori europei che si trovano davanti i suoi 5.895 metri. Ecco che il pensiero di una “Piccola montagna splendente”, come dovrebbe essere chiamata in lingua swahili, diviene calzante, anche grazie alle sue attività vulcaniche e al paesaggio quasi lunare che conduce sulla sua cima più alta, il Kibo.
È una vecchia storia, una di quelle più antiche di sempre: il fascino dell’ignoto, la promessa di perdersi in un mondo che non vuole farsi domare, ma forse è proprio per questo continua ad attrarre spiriti liberi e irregolari. Tra di loro, Aleksander Doba che questa fascinazione ha inseguito tenacemente. Ovunque. Anche sulla cima del Kilimanjaro. Prima di vederlo qui sul tetto del mondo della Tanzania dobbiano fare un passo indietro e passare nell’immensità dell’Atlantico. Proprio come ha fatto lui.

Aleksander Doba

Una vita fra le onde

Olek, così gli amici chiamano Aleksander, nasce vicino Poznàn nel 1946. La vita scorre tranquilla per tanti anni: un lavoro stabile presso un’azienda di prodotti chimici, qualche scampagnata nel weekend, nulla di più. Un piccolo mondo che lo fa vivere sereno. Almeno per un po’. Almeno fino al 1980 quando qualcosa cambia, in maniera silenziosa, quasi impercettibile, ma cambia. Nulla di più semplice di una gita aziendale, nulla di più casuale che provare per la prima volta un kayak, nulla di più straordinario di un amore a prima vista, nulla di più ferocemente intimo che vedere all’improvviso quello che non aveva mai visto. Una vita seduto dietro la scrivania lo ha reso quasi estraneo al proprio corpo che, seppur atletico, sembra essersi ridotto a semplice mezzo di trasporto. Nel kayak invece Olek si ricongiunge con la promessa di avventura ancestrale, con la possibilità di tendere anima e corpo oltre ogni limite, spinto semplicemente dal desiderio di dire “e ora?”.
La compagna di viaggio per l’uomo è una voce nuova, un monito a non tornare indietro, ma piuttosto a spingere lo sguardo sempre un po’ più in là. Per fortuna non è il solo.

Il primo viaggio

Nel 1999 Aleksander Doba organizza un viaggio di ottanta giorni nel mar Baltico; viaggia per 4.227 chilometri insieme ad una compagnia di canoisti che poi coinvolgerà anche nella circumnavigazione del lago russo Baikal. Tutti sono ispirati da quell’uomo dalla (ormai già bianca) lunga barba che non si tira mai indietro, anche quando nel 2003, a 53 anni suonati, vince i campionati universitari polacchi di kayak.

Non sembra mai abbastanza

Olek appare quasi placido quando osserva la cartina del mondo e con un dito traccia le possibili rotte come farebbe un bambino lasciato solo in compagnia della sua fantasia. È così che, insieme alle spinte di un professore universitario originario della sua Polonia, nel 2003 organizza  una prima traversata dell’oceano Atlantico. L’idea è “semplice”: partire dal Ghana per arrivare in Brasile, usando due kayak separati da poter poi legare durante la notte per dormire vicini.
Purtroppo il viaggio si rivela fin da subito fallimentare: non sono passate che 48 ore dalla partenza che i due tornano sulle coste africane, probabilmente mal organizzati e senza la giusta attrezzatura.
Olek promette a sé stesso di non organizzare mai più un viaggio in compagnia, ma l’idea di una traversata simile non lo abbandona ed è così che iniziano anni di allenamento, prove, esperimenti e, soprattutto, di grande amore per tutto quello che fa.

La prima traversata atlantica

Nell’autunno del 2010 è tutto pronto: la traversata sarà da est verso ovest, dal Senegal fino in Brasile. Sono lui e Olo, il kayak giallo di sette metri. Il viaggio è lungo e tutt’altro che semplice: novantanove giorni di umidità e caldo oltre ogni misura, colpi di sole e sale marino che non lasciano via di scampo. All’arrivo le sue condizioni sono estreme: i vestiti bagnati gli hanno irritato la pelle, l’assenza dei suoi apparecchi acustici l’ha fatto sentire isolato e le unghie di mani e piedi ormai non ci sono più.
Aleksander Doba è il primo uomo ad aver compiuto una simile traversata in kayak eppure in Brasile lo attendono solo un giornalista e l’ambasciatore polacco. Olek però non sembra rimanerci male e, anzi, cerca persino di continuare la sua avventura  spingendosi lungo il Rio delle Amazzoni, ma ben presto è costretto a rinunciare. Finalmente ritrova la strada di casa e torna in Polonia dove la moglie e il figlio, che hanno seguito a distanza la sua avventura, sono contenti di vederlo soddisfatto e si cullano nell’idea che questo sarà l’ultimo capitolo di una passione che si sta facendo estrema. Si illudono.

Aleksander Doba

La seconda traversata atlantica

Olek è pronto nuovamente a stupire. Decide di ripetere l’impresa del 2010, ma questa volta vuole macinare ancora  più miglia e sceglie la traversata più lunga possibile, da Lisbona fino alla Florida. Sua moglie continua a credere che, nei tre anni necessari per prepararsi, qualcosa riuscirà a fargli cambiare idea. Lo spera fino alla mattina stessa dell’ottobre 2013 quando, insieme a suo figlio, minaccia il marito di non accompagnarlo in aeroporto. Olek se ne dispiace, ma va comunque. Il richiamo del mare è veramente troppo forte. Il viaggio è ovviamente estremo e gli riserva ancora più imprevisti di prima. Dopo alcuni mesi il suo telefono smette di funzionare e si vede costretto a inviare un segnale di soccorso; raggiunto da una nave greca rifiuta gli aiuti che gli sono forniti, chiedendo solo di poter avere il proprio telefono riparato. Inutile dire che i marinai, sbigottiti nel dover lasciare in mare aperto un uomo emaciato, dai capelli così chiari da sembrare bianchi e con la pelle scottata dal sole, nulla possono per convincerlo a mollare tutto e salire a bordo con loro.
Poco tempo dopo, però, Olek è costretto a fermarsi a Bermuda, dove rimarrà quaranta giorni per ripararsi dai venti sfavorevoli e per riparare il timone di Olo. Riprende il suo viaggio il 25 marzo, lanciando il kayak in acqua dalla nave Spirit of Bermuda, per poi proseguire fino in Florida dove arriverà il mese successivo. Questa volta il suo è il ritorno di un eroe. Riceve il premio People’s Choice Adventurer of the year dalla National Geographic Society; lui si presenta alla cerimonia in jeans e si rifiuta di ringraziare in inglese.
A sessantasette anni, Aleksander Doba qualche libertà in più se la può anche permettere.

Nell’Atlantico per un’ultima volta

Ad Olek non basta mai e fermarsi gli deve sembrare qualcosa di veramente impssibile.
Nel maggio 2017 torna in acqua per affrontare una nuova traversata dell’Atlantico, questa volta dalla costa ovest verso est, dal New Jersey alla Francia. E questa volta sì, sarà l’ultima per davvero.
Viaggia per 110 giorni, lotta contro tempeste e venti forti che danneggiano  il timone del suo kayak e lo costringono ad accettare l’aiuto di un mercantile di passaggio. Anche questa volta il capitano della nave non lo vorrebbe lasciar andare, ma anche questa volta non c’è verso di fermare Olek che, facendosi beffa dei suoi settanta anni, torna in acqua per completare la sua missione. Anche questa volta con successo.

Il ritorno a casa

Olek torna a casa provato, ma incredibilmente ogni volta è più forte di prima. Mette in pausa i viaggi, ma la voglia di avvebntura lo morde e così inizia a saltare con il paracadute e mette all’attivo 250 ore di volo con l’aliante.
Eppure qualcosa sembra mancare. L’idea di un grande viaggio conclusivo inizia a prendere forma.
Olek ha già affrontato acqua e aria e ora, per completare gli elementi primordiali, gli mancano terra e fuoco. Torna davanti alla cartina, la risposta è davanti ai suoi occhi. Senza incertezze punta il dito su un segno marrone. Punta il dito quasi seimila metri di montagna con il suo vulcano ancora attivo. È il Kilimanjaro e sembra che sia lì proprio per lui. Sembra che lo attenda da sempre.

Aleksander Doba

In cima al Kilimanjaro

Nel 2021 Aleksander Doba parte per la sua ennesima impresa, contento di liberare ancora una volta il suo spirito di avventuriero. Fa parte di una spedizione con persone provenienti da tutto il mondo, ognuno con le proprie esperienze, ognuno con le proprie avventure, ma succede spesso che durante le cene sotto lo sguardo vigile della montagna, siano proprio i racconti dei suoi lunghi viaggi nell’oceano a tenere banco. Lui stesso si ritrova a rimuginare su tutti quei giorni passati da solo in mare aperto e, improvvisamente, si rende conto di quanto non abbia (quasi) mai avuto paura. Alla fine della sua prima traversata aveva avuto il timore che l’incubo di quelle giornate infinite, isolato da tutto, lo avrebbe inseguito per sempre. Invece no, quello che lo insegue è ricordo delle amicizie inaspettate, dei tramonti infiniti, delle albe folgoranti e della felicità straordinaria che lo stordiva ogni volta che toccava terra, orgoglioso di avercela fatta solo con le sue forze.

In vetta

La scalata procede e il 22 febbraio 2021 Aleksander Doba , all’età di settantaquattro anni, arriva in cima al Kilimanjiaro.
La scalata è stata difficile, ma lui non si è mai tirato indietro, contento anche di non aver accusato il mal di montagna che invece ha colpito diversi dei suoi compagni.
Eppure qualcosa non va. Si sente stanco, ha bisogno di un paio di minuti per riprendere fiato.
I suoi compagni lo chiamano per una foto, ma lui preferisce sedersi un attimo su un sasso per godere il panorama. È tutto così bello, bianco e luminoso. Finalmente la luce del sole non gli ferisce gli occhi, ma piuttosto sembra invitarlo a rilassarsi.

Aleksander Doba

In pace

Olek ascolta la voce, fa quello che gli dice e chiude gli occhi. Sarà l’ultima volta. Ora finalmente riposa. Olek muore così, tranquillo e in cima al mondo. I compagni di spedizione diranno di averlo visto addormentarsi, senza dolore, senza fatica.
Di Aleksander Doba e della sua vita avventurosa rimangono una biografia, un documentario della sua prima traversata atlantica e i suoi dieci Guinnes World Records. Rimane però soprattutto l’esempio di un uomo che nell’avventura non ha mai cercato fama, ma solo la possibilità di superare sé stesso e i propri limiti.
Ad Aleksander Doba, uomo che ha saputo essere avventura, tutti rendiamo omaggio.

 

 

Giulia Colasante si affaccia al mondo nell'ultimo anno del secolo scorso, in tempo per sentirne raccontare in diretta, abbastanza per rimanerne incuriosita. Giornalista pubblicista, laureata in Filosofia e in Scienze Cognitive della Comunicazione e dell'Azione, continua a studiare il futuro che attende lei, ma anche un po' tutti gli altri.

ARTICOLI CORRELATI

Monica Seles

Monica Seles. Il giorno più lungo del tennis

È il 30 aprile 1993 quando, al torneo di Amburgo, Monica Seles è pugnalata alle spalle da uno squilibrato tedesco, tifoso morboso di Steffi Graf. L’assalto le provocherà ferite sia fisiche che psicologiche, ma lascerà anche un segno profondo nella storia del tennis.

Leggi tutto »
Abdon Pamich

Abdon Pamich. 90 anni da campione

Abdon Pamich, una leggenda in marcia. Da sempre. Da quando aveva 13 anni costretto a marciare per lasciare Fiume, lasciata di gambe, mai di cuore. Una vita sportiva ineguagliata, una vita da testimone che si porta dentro. Novanta anni lo scorso 3 ottobre. Auguri e tanta strada, Abdon. 

Leggi tutto »
matrimonio Luis Vinicio

Luís Vinicio. Il matrimonio di un campione

22 giugno 1957, Basilica di San Francesco. A piazza Plebiscito la gente si accalca e l’aria è quella della festa grande. Luis Vinicio e Flora Aida Piccaglia si sposano e i tifosi sono lì per vivere e festeggiare un momento di felicità corale con il loro capocannoniere. Una felicità che noi respiriamo negli scatti, mai più visti da allora, di Riccardo Carbone .

Leggi tutto »
Naghol

Naghol. Il Bungee Jumping sacro delle isole Vanuatu

Ogni anno, nel periodo tra aprile e giugno, i giovani vanuatesi dell’Oceano Pacifico si ritrovano per costruire trampolini da cui poi tuffarsi, assicurandosi solo a lunghe liane strette alle caviglie. Lo scopo è propiziare il raccolto dell’anno, ma anche superare un rito di passaggio necessario per diventare adulti. 

Leggi tutto »



La nostra newsletter
Chiudi