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In campo si gioca col cuore

Il malore che ha colpito Christian Eriksen nel corso di una partita degli Europei di calcio ha richiamato l'attenzione sui possibili rischi di arresto cardiaco negli sportivi, che sono comunque minori di quelli della popolazione generale (anche se gli studi sono ancora controversi). Indiscutibile invece l'importanza, in questi casi, di effettuare rapidamente interventi medici, quali la rianimazione cardiopolmonare e l'utilizzo di defibrillatori automatizzati esterni. Spiega quanto accaduto Lorenza Pratali dell'Istituto di fisiologia clinica del Cnr.
campo

In campo si gioca col cuore e gli Europei di calcio hanno scosso fin da subito il pubblico, che ha assistito all’arresto cardiaco in campo del giocatore danese Christian Eriksen durante la partita contro la Finlandia del 12 giugno. Il corpo steso a terra ha generato apprensione e turbamento, per poi dare il via a discussioni e approfondimenti sul legame tra arresto cardiaco e pratica sportiva. Fatti come questo riportano all’attenzione i temi della prevenzione e dei rischi nei soggetti sportivi e ricordano l’importanza di un intervento rapido e consapevole, che può salvare la vita all’atleta vittima di eventi del genere.

Per poter comprendere il rapporto tra l’attività sportiva e il rischio di un arresto cardiaco è necessario innanzitutto chiarire la natura di quest’ultimo. “È importante differenziare l’arresto cardiaco dall’attacco cardiaco. Il primo è una condizione in cui il cuore smette improvvisamente di battere, mentre il secondo si verifica quando un trombo (coagulo) blocca il flusso ematico dei vasi del cuore e c’è la possibilità di un danno al muscolo cardiaco anche permanente”, spiega Lorenza Pratali dell’ Istituto di fisiologia clinica (Ifc) del Cnr di Pisa. “Nel momento in cui il cuore smette di battere per un ritmo anomalo, esso non è più in grado innanzitutto di fornire sangue al cervello, ma anche ai polmoni e a tutti gli altri organi. La persona vittima di arresto cardiaco perde dunque coscienza e smette di respirare. Se non si interviene immediatamente con la rianimazione cardiopolmonare precoce e la defibrillazione precoce, la vittima muore in pochi minuti”.

Il caso di Eriksen induce a chiedersi se il rischio di un arresto cardiaco sia più elevato negli sportivi.
Lo sport, si sa, è un alleato del benessere psicofisico, ma va operata una distinzione tra un’attività moderata e una molto impegnativa. “Gli studi pubblicati che associano il rischio di morte improvvisa alla pratica sportiva sono ancora controversi e dimostrano comunque che il rischio di morte improvvisa è maggiore nella popolazione non sportiva”, commenta la ricercatrice del Cnr-Ifc. “Per generare un aumento importante e duraturo della gittata cardiaca (la capacità di pompare il sangue in tutto l’organismo) durante l’esercizio, l’adattamento cardiovascolare prolungato è caratterizzato da un aumento del 10-20% delle dimensioni cardiache. In rari casi, questi aumenti sono simili a quelle presenti in alcune patologie primitive del muscolo cardiaco e la risoluzione del dilemma diagnostico può essere difficile. L’esercizio intenso può raramente innescare la morte cardiaca improvvisa aritmogena in un atleta che presenta una malattia cardiaca asintomatica. Stanno inoltre emergendo dati che indicano che un esercizio vigoroso, svolto per anni, può essere associato a un rimodellamento elettrico e strutturale negativo in cuori altrimenti normali”. Naturalmente, i benefici dell’esercizio fisico sono inconfutabili: praticato in forma moderata (almeno 30 minuti per tre volte alla settimana) è associato a maggiore longevità, a riduzione del rischio di neoplasie maligne, a ritardo dell’insorgenza della demenza ed è considerato un antidepressivo.  

Diverse cause possono determinare un fermo del cuore, ma esistono sistemi di prevenzione per limitare i rischi. “La maggior parte delle volte l’arresto cardiaco si realizza per un ritmo anomalo del cuore. Tra le altre cause, possiamo citare l’emorragia massiva, la riduzione eccessiva dell’ossigeno nel sangue e le alterazioni del livello degli elettroliti nel sangue, ad esempio il potassio”, continua l’esperta. “Nel caso di atleti giovani, l’associazione tra rischio di arresto cardiaco e sport è legata a un ampio spettro di patologie, quali malattie cardiache strutturali ereditarie (cardiomiopatie), congenite (origine anomala delle arterie coronarie) e malattie ereditarie dei canali ionici che si verificano con un cuore apparentemente normale all’autopsia. Nel caso di atleti di mezza età/anziani, la malattia coronarica aterosclerotica rappresenta la causa più importante di arresto cardiaco. Per limitare questi rischi di arresto cardiaco, è necessario fare uno screening, incluso l’elettrocardiogramma basale e da sforzo, che consente l’identificazione di atleti affetti da malattie del muscolo cardiaco in una fase pre-sintomatica, e la diagnosi può portare a una riduzione del rischio di arresto cardiaco durante l’attività sportiva. Considerando però che lo screening non può accertare con una sicurezza del 100% il rischio di morte improvvisa nel soggetto che pratica attività sportiva, è fondamentale la disponibilità di un defibrillatore automatizzato esterno (Dae) nei luoghi dove si pratica sport, perché fornisce una strategia preventiva di back-up per l’arresto cardiaco aritmico imprevedibile”.

Avere a disposizione defibrillatori può salvare la vita a chi è vittima di un arresto cardiaco. “La defibrillazione consiste nell’erogazione di una scarica elettrica al cuore. Negli ambienti pubblici i defibrillatori automatizzati esterni sono sempre più presenti e, grazie a corsi di pubblico accesso, c’è un incremento di soccorritori addestrati secondo norme internazionali”, dichiara Pratali. “Il Dae analizza il ritmo cardiaco per identificare la presenza di un ritmo defibrillabile. In questi casi, l’apparecchio guida l’operatore a erogare una scarica elettrica al cuore che ha la potenzialità di interrompere momentaneamente il ritmo all’origine dell’arresto cardiaco, in modo che possa ristabilirsi un ritmo cardiaco normale. Questo, associato a una rianimazione cardiopolmonare che nell’adulto consiste nell’alternanza di 30 compressioni toraciche e due ventilazioni con un dispositivo di barriera, permette di ripristinare la circolazione spontanea”.

 

Fonte: Lorenza Pratali, Istituto di fisiologia clinica, Pisa, email lorenza@ifc.cnr.it

(Da CNR- Almanacco della Scienza n.13/2021)

Laura Politi classe 1996, laureata in Lettere moderne e in Editoria e scrittura. Collabora con l’Almanacco della Scienza del Consiglio Nazionale delle Ricerche e scrive di cronaca e sport a livello locale su Abitare a Roma.

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