Ai ragazzini il nome di Ezio Vendrame non dirà nulla. Ai meno giovani, invece, dirà poco.
Qualcuno, cresciuto negli Anni Settanta, a malapena ricorderà la figurina Panini di un tizio capellone e con la barba, i calzettoni abbassati alle caviglie e la maglietta biancorossa del Lanerossi Vicenza.
Ezio Vendrame non è diventato un calciatore famoso, né un allenatore importante e tanto meno un commentatore televisivo di Sky. È diventato poeta e scrittore, quindi per definizione poco interessante agli occhi della maggioranza. Era già fuori dal coro quando calcava i campi di calcio, figuriamoci confinato nella lontana Casarsa della Delizia, cittadina del Friuli profondo nota più che altro per aver dato i natali a Pier Paolo Pasolini e per essere sede di una caserma di artiglieria.
Se avesse avuto un’altra testa, dicono gli esperti, sarebbe stato un fuoriclasse.
Un giocatore da grande club e da nazionale. Ma, come ha scritto Gianni Mura nell’introduzione all’autobiografia di Vendrame, Una vita fuori gioco: «Uno che sostiene che il gol è la cosa più insignificante di una partita, che è molto più divertente mirare il palo, uno che una volta ha dribblato il portiere e poi, a porta vuota, è tornato indietro perché anche un portiere è un uomo e bisogna dargli un’altra possibilità, uno così non deve fare carriera. E non vuole farla».
Infatti, Ezio Vendrame nel mondo del calcio non ha fatto carriera.
Se fosse vissuto altrove, magari in Inghilterra, e si fosse imbattuto in un regista alla Ken Loach, forse ci sarebbe lui al posto di Cantona come protagonista del film Il mio amico Eric. Invece il fantasista di Casarsa è uscito rapidamente di scena, ha continuato a vivere la sua esistenza da anarchico indisciplinato e solo di recente è ritornato a conquistarsi titoli sui giornali non per un gol o un tunnel, ma per i suoi libri.
Nato nel 1947 in una famiglia molto povera, Ezio cresce in orfanotrofio e l’infanzia difficile lo segnerà per tutta la vita. Come calciatore fa l’intera trafila nelle giovanili dell’Udinese, poi passa alla Spal, alla Torres e infine al Siena. A 24 anni debutta in serie A con la maglia del Lanerossi Vicenza, dove diventa ben presto uno degli idoli della tifoseria per il suo gioco sbarazzino e fantasioso. Capelli lunghi, calzettoni abbassati, dribbling ubriacante e atteggiamento scanzonato, Vendrame è uno di quei giocatori che sembrano fatti apposta per entusiasmare gli spettatori e far impazzire allenatori e dirigenti. Altro che “cassanate”… Vietato bere alcolici? E lui beveva come una spugna. Vietato fumare? Fumava. Vietato uscire dal ritiro per andare a donne? E Vendrame era fuori ogni notte. «Anche per questo non è diventato un campione – ha scritto ancora Mura – ma soprattutto perché ha capito fin da giovane che per diventare un campione avrebbe dovuto uccidere se stesso o quantomeno soffocare la sua voglia di libertà».
Malgrado la vita spericolata, di Ezio Vendrame a quei tempi si parla un gran bene
C’era chi lo paragona al talento nordirlandese George Best («Ho speso quasi tutti i miei soldi in alcol, donne e belle macchine. Gli altri li ho sperperati…»), chi al tenebroso argentino Mario Kempes.
Nel ’74 il Napoli lo porta sotto il Vesuvio, dove Luis Vinicio sta cercando di allestire una grande squadra. «Al Vicenza prendevo 10 milioni di lire – racconterà anni dopo in un’intervista – e quando andai a trattare l’ingaggio con Janich, d.s. del Napoli, pensai: “Ora lo frego, gli chiedo il doppio”. Quanto vuoi?, mi domandò. Venti milioni, risposi. Firma qua, replicò senza esitazione. Uscii convinto di aver raggirato i napoletani. In spogliatoio scoprii che l’ultimo della compagnia prendeva 60 milioni. Mi sentii lo scemo del villaggio».
Altri tempi, altri calciatori
Ma anche la conferma che per gente come Ezio Vendrame, sempre controcorrente, i soldi non sono tutto. A Napoli si ferma un solo anno ed è fallimentare. Non lega con la squadra, l’allenatore gli fa la guerra e lui colleziona appena tre presenze in campionato. A soli 27 anni la sua parabola è già in discesa. Torna in Veneto, al Padova, dove fra alti e bassi giocherà fino al 1977 nelle serie inferiori continuando a regalare emozioni, mattane e show provocatori. Li ha raccontati lui stesso nei suoi libri, dai titoli piuttosto espliciti: Un farabutto esistere, Se mi mandi in tribuna, godo, Vietato alla gente perbene, Calci al vento, fino al già citato Una vita fuori gioco: questi ultimi due pubblicati da Rizzoli.
Ezio Vendrame è uomo capace di fare un tunnel, a San Siro, a Gianni Rivera e chiedergli scusa subito dopo: «Perché Gianni era un artista, del pallone, e umiliarlo così, anche se il mio fu un gesto istintivo, mi dispiacque tantissimo». È il tipo da gesti irriverenti e clowneschi, come quando salta a piedi uniti sul pallone e vi rimane per alcuni istanti sopra, scrutando l’orizzonte ponendosi la mano “a taglio” sulla fronte per far capire ai compagni che non vede nessuno di loro libero a cui passare la sfera. O di soffiarsi il naso con la bandierina del calcio d’angolo. Un’altra sua bravata costa cara: durante un Padova-Cremonese in cui le due squadre avevano deciso di non “pungersi” e di dividersi la posta, lo scavezzacollo di Casarsa punta dritto alla sua porta, dribbla i compagni e si trova a tu per tu con il proprio portiere, fingendo di voler fare autogol. È il suo modo per far capire che non gli piacciono le partite “aggiustate”, ma sugli spalti uno spettatore muore d’infarto.
Nel 2005 prende parte come ospite al Festival di Sanremo. Come sempre dice la sua, senza peli sulla lingua, ma il pubblico dell’Ariston non gradisce e fischia. E lui, sorridente, chiosa: «È stato un trionfo, un vero trionfo».
Vendrame è morto il 4 aprile del 2020, a 72 anni, per un tumore
Avercene di Ezio Vendrame nel calcio di plastica dei giorni nostri.
(Per gentile concessione dell’Autore, il racconto è tratto da Fuori dal coro. Eretici, irregolari, scorretti di Giorgio Ballario, Eclettica Edizioni, 16 €)