Felix Baumgartner è storia antica. Di più, Felix Baumgartner affonda radici nel mito. Felix è Icaro che si brucia le ali per essersi spinto troppo vicino al Sole, hybris forse, ma forse natura inarrestabile che spinge a osare l’impossibile, desiderio innato che ci fa essere vivi e uomini, fuoco sacro che sovverte i limiti fino a quando i limiti, abituati a giocare con noi al modo degli dei, ci lasciano fare. Felix è avventura e provate a immaginare per un solo attimo quale piega avrebbe mai potuto prendere la storia dell’umanità se non ci fossero stati – e non ci fossero ancora oggi – visionari capaci di avventurarsi per primi dove nessuno è mai stato, capaci di lasciare segni e tracce per quelli che verranno dopo. Comodamente dopo. Felix è Ulisse che torna a casa esplorando l’ignoto che, prima di essere luogo, è l’animo sconosciuto che ci portiamo dentro. Felix è Enea che va via da Troia in fiamme caricandosi il passato sulle spalle – il padre Anchise – e prendendo il futuro per mano – il figlio Ascanio – perché anche lui, Felix, per natura e vocazione non avrebbe mai lasciato indietro nessuno.
Quando il volo irrompe nei cieli del Novecento, sogni e coraggio trovano nuove sfide.
A qualcuno, però, volare sembrò poca cosa e fu così che alcuni temerari iniziarono a fare acrobazie dentro e fuori quei primi aerei di tela, legno e spago. Wing walkers o dare devil, così chiamavano donne e uomini che dell’audacia iniziarono a fare spettacolo. Di loro mi piace ricordare Gladys Roy, la ballerina del cielo degli anni ‘20 dalla storia tragica, ma anche Colette Duval che nel 1957 fissò il record di caduta libera lanciandosi da 11.742 metri, e poi ancora Alessandro Guidoni, colonnello della Regia Aeronautica, nel 1927 tradito da un paracadute che stava sperimentando e che nel cielo vicino Roma gli diventa sudario.
Felix è tutti loro, è tutti quelli che nel cielo hanno trovato casa, anche quando questa è stata la loro ultima. Una vita in velocità e fuori dai luoghi comuni la sua. Abituato a saltare nel nulla e vedersi arrivare la Terra incontro, Felix non si è mai fatto scudo dietro un dito e non ha mai avuto remore nel dare voce alle sue idee, neanche quando esprimeva la sua stima per Victor Orban e il suo scetticismo verso la democrazia incompiuta.
Verso lo zenith
A 16 anni i primi salti, poi un continuo di lanci, gare, esibizioni e record fino allo zenit, il 14 ottobre 2012, quando Felix Baumgartner tocca il cielo con un dito e salta giù dai confini dell’atmosfera. Studio, allenamento, ricerche, anni. Salire a 38.969,4 metri chiuso in una capsula agganciata a un pallone ad elio, è un record. Saltare giù da 38.969,4 metri infagottato in una sorta di tuta da astronauta che lo deve tenere in vita, è un record. Scendere in caduta libera fino a toccare mach 1,24 – cioè 1357,64 km/h – e superare la velocità del suono, è un record.
Tutto questo accade nel cielo di Roswell, New Mexico, dove la narrazione del contatto extraterrestre si è dispiegata come forse in nessun altro luogo. Forse non ci poteva essere luogo migliore. Il 14 ottobre del 2012 Felix fa qualcosa di straordinario e regala all’avventura uno dei suoi momenti contemporanei più iconici.
Base 502
Compiuto l’impossibile, decide il ritiro dall’estremo. Da quel momento solo cose ordinarie per Base 502, questo il suo nome da base jumper. Proprio come il volo in parapendio a motore sul cielo marchigiano di Sant’Elpidio. È lassù che accade qualcosa che oggi conoscono solo lui e Dio. Un malore, un guasto o chissà cosa lo porta a terra senza controllo. Il viaggio di Felix Baumgartner finisce così. Unico uomo ad aver superato la velocità del suono, mi piace pensare che Felix abbia superato adesso anche quella della luce. Cieli blu Felix, cieli blu.
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