La vita di Bela Karolyi si chiama ginnastica artistica. Allenatore, definizione formalmente corretta ma per lui un po’ stretta, Bela ha idee chiare e pensa in grande; vuole aprire un’Accademia, scovare talenti, farli crescere. Crescere, appunto, non solo allenare. Lui vuole formare mentalità, carattere, visione, non solo insegnare la tecnica. Per una insondabile piega del destino apre l’Accademia in un paesotto della Romania orientale, Onesti, dove inizia il suo scouting andando a visitare la scuola elementare. Non va solo, con lui c’è la moglie Martha, allenatrice anche lei ed è una fortuna perché senza di lei Bela, forse, non avrebbe mai creduto ai suoi occhi. Davanti a loro la ragazzina si muove, salta e fa la ruota. I due la guardano, poi si guardano cercando conferma l’uno negli occhi dell’altra e capiscono. La bambina davanti a loro ha sei anni, ma quello è stato il suo ultimo giorno giorno da bambina.
La bambina si chiama Nadia Comaneci.
Inizia tutto così
Nel 1961 Romania significa Europa dell’Est, muro di Berlino, cortina di ferro, altro mondo. Il 12 novembre Nadia nasce qui, a Onesti, e qui vive la sua infanzia movimentata. Iperattiva, dicono. Forse è per questo che quando ha solo tre anni la mamma la iscrive a un corso di ginnastica. Per calmare i bambini, l’unico sistema è stancarli, così pensa. Non può sapere che quel giorno l’ha presa per mano e portata incontro al suo destino. Inutile dire che Nadia non si placa, anzi il movimento diventa il suo stato naturale. Nadia cresce giocando a fare ruota, capriole, salti e a sfidare equilibrio e gravità senza sapere nulla di equilibrio e gravità. Come ogni bambino, Nadia gioca mettendoci tutto l’impegno del mondo. Gioca, impara, diventa sempre più brava, gioca. Poi arriva il tempo della scuola. Quel giorno, in cortile, non fa caso ai due adulti che continuano a fissarla mentre lei salta e capriola come se nulla fosse. Lei gioca, loro la vedono nel futuro.

In Accademia
Ha sei anni Nadia quando inizia ad allenarsi nell’Accademia di ginnastica artistica di Bela Karolyi. Ora il gioco si fa serio. Bela non lascia tregua, allena corpo e mente, ordina sacrifici e dieta, più che ascoltare impone, senza mezzi termini, senza scuse, senza remore nel punire chi non rispetta le sue regole. Nel 1969 Nadia gareggia nel campionato nazionale; nessun risultato eclatante, solo un tredicesimo posto, ma ha appena 8 anni. Bela non fa sconti, il suo regime è duro, durissimo, ma Nadia è un talento, ha volontà e determinazione di ferro, agli allenamenti duri risponde allenandosi il doppio. Non è un obbligo, non è una fatica, ma una scelta, la sua. La scelta di Nadia. Nel tempo che verrà e sino ancora ad oggi, quando le chiedono di quegli anni, delle vessazioni di cui altre atlete hanno raccontato di aver subito da Bela, per lui Nadia ha solo parole di gratitudine.

Un destino scritto
Al campionato nazionale a squadre del 1970 Nadia vince e diventa la più giovane atleta rumena titolata. Nel ‘71 è a Lubjana per la sua prima gara internazionale, squadra rumena vs squadra jugoslava: vince il titolo individuale e contribuisce alla vittoria della squadra. Ha 10 anni e la ginnastica artistica è già tutta la sua vita. Ha 10 anni, gareggia, vince e non si ferma più. Titoli nazionali, internazionali ed europei, gare, contest, esibizioni; ovunque vada, la sua fama inizia a precederla e lei è la bambina da battere. Dettaglio non da poco; nel 1974 Bela Karolyi diventa allenatore della nazionale romena di ginnastica.
Dagli Europei norvegesi di Skien del ‘75 Nadia esce con quattro ori – individuale, parallele asimmetriche, trave e volteggio – e un argento per il corpo libero. Bambina, atleta, talento, campionessa: Nadia Comaneci, appena nominata Atleta Femminile dell’Anno dalla United Press International, è tutto questo insieme.

L’anno formidabile
Se il ’75 è stato un anno straordinario, l’anno formidabile nella vita di Nadia Comaneci non può che essere il ’76. Il 27 marzo è al Madison Square Garden di New York per l’American Cup, una delle gare più importanti del circuito del mondiale di ginnastica artistica. Il giorno dopo l’articolo del New York Times non lascia dubbi su quanto sia accaduto “Un vero prodigio di precisione, fin dall’esibizione al cavallo con un punteggio perfetto di 10, la quattordicenne rumena Nadia Comaneci ha dominato ieri il turno di qualificazione della Coppa America, la competizione internazionale di ginnastica. Un pubblico di 10.132 persone ha assistito alle esibizioni di ieri.”
Volteggio, preliminari e finale, esecuzione perfetta. Lo stesso articolo dice però anche altro: “…la signorina Comaneci non ha ricevuto alcun gesto di congratulazioni dal suo allenatore, Bela Karolyi, che considera questa competizione un riscaldamento olimpico, un’opportunità per la signorina Comaneci di abituarsi ai rigori del viaggio, al cambio di fuso orario e all’atmosfera del Nord America, prima della gara di Montreal.”
La vita non è fatta solo di record, medaglie e apprezzamenti che non arrivano. La vita è fatta anche di incontri, di persone che si sfiorano, che si perdono o che si ritrovano. In questi giorni Nadia scambia per la prima volta qualche parola con un ginnasta americano, Bart Conner. Sembra un incontro come tanti, uno di quelli che poi si dimenticano. Non sarà così.
Il 1976 è anche l’anno del Giappone. I continenti cambiano, i risultati no. A novembre alla Chunichi Cap di Nagoya Nadia esegue ancora alla perfezione volteggio e parallele e ancora il punteggio si fissa sui 10 netti. In fondo è quello che ci si aspettava da lei perché per andare da New York a Nagoya, Nadia è passata per il Montreal ed è lì che è diventata Nadia Comaneci, la leggenda.

Montreal ‘76
Le Olimpiadi canadesi devono far dimenticare l’orrore di Monaco ’72, la strage degli undici atleti israeliani uccisi nel villaggio olimpico dai terroristi palestinesi di Settembre Nero. Il 17 luglio nello stadio Olimpico di Montreal sfilano oltre 6.000 atleti – 212 gli italiani – che gareggeranno in 190 eventi per 23 discipline in rappresentanza di 92 nazioni. Sono meno del previsto: 26 nazioni africane hanno ritirato le delegazioni per protesta contro l’ammissione della Nuova Zelanda, rea di aver appena fatto giocare gli All Blacks contro il Sud Africa dell’apartheid. Il pubblico canadese è tiepido; costi ritenuti eccessivi e lavori in ritardo non hanno scaldato gli animi. In Italia invece c’è molta attesa, se non altro perché sarà la prima volta che vedremo in televisione le Olimpiadi a colori. Sarà l’unica soddisfazione visto che a Montreal registreremo il secondo peggior medagliere della nostra storia olimpica; i nostri unici ori si chiamano Fabio Dal Zotto nel fioretto e Klaus Di Biasi nei tuffi. C’è da dire che al Canada andò peggio, forse unico Paese organizzatore olimpico rimasto senza oro.
In effetti, in un’edizione olimpica che nel suo insieme si rivelerà tra le più dimenticabili, i protagonisti di Montreal sono altri. Il cubano Alberto Juantorena, campione di atletica non casualmente soprannominato el caballo; Teofilo Stevenson, cubano anche lui, pugile da leggenda, oro nei pesi massimi;l’ungherese Miklos Németh, oro nel giavellotto come lo era già stato il padre; la nazionale femminile di pallavolo giapponese, imbattuta fino all’ora; in negativo, anche il pentatleta russo Boris Onishchenko scoperto a truccare, c’è da dire con un certo ingegno, il congegno di assegnazione delle stoccate montato sull’arma. Per amor di Patria, ai nostri due ori possiamo aggiungere il significativo argento di Sara Simeoni, grande signora della nostra atletica. E poi c’è lei, la bambina che tutti attendono: Nadia Comaneci. Nessuno sarà deluso.

Il 10 a quattro cerchi
18 luglio, secondo giorno olimpico, la ginnastica artistica entra in scena. Con una rivalità serrata che la vedrà competere anche negli anni a venire con le sovietiche Olga Korbut e Nelli Kim, la protagonista assoluta al Palazzo dello Sport di Montreal, con i suoi 14 anni, 8 mesi e 6 giorni, i suoi 155 cm di altezza, i suoi 40 kg di peso e il suo body bianco è lei, Nadia Comaneci.
Alla routine obbligatoria alle parallele asimmetriche Nadia lascia tutti senza parole pubblico e giudici. Questi ultimi anche senza numeri. Il tabellone non è predisposto per scrivere il 10,00 e così, inizialmente, compare 1,00. L’equivoco dura un attimo ed è sottolineato dall’ovazione sugli spalti. Per altre sei volte Nadia fisserà il 10,00 sul tabellone e da Montreal uscirà con tre medaglie d’oro – individuale, parallele asimmetriche, trave -, un argento a squadre e un bronzo per il corpo libero.
Le medaglie sono storia, ma la leggenda è il primo 10 netto assegnato in un’Olimpiade.
E poi c’è il sorriso. Il sorriso che tra medaglie, applausi e flash dei fotografi non c’è mai stato. Nadia non ha mai recriminato per questo, non ha mai detto nulla sulla bambina che forse non è stata. Le devo credere. E allora mi viene da pensare che a Montreal le sia mancato il sorriso non per quello che aveva vissuto, ma per quello che dovrà ancora passare.

Dopo Montreal. Lo sport
Nadia è una stella ora. Dopo gli ori di Montreal ci sono quelli europei di Essen nel ’77 e di Praga nel ’79, gli ori mondiali di Strasburgo nel ’78 e di Fort Worth nel ’79, gli ori della Coppa del Mondo di Tokyo ’79, gli ori olimpici di Mosca ’80 – più forti dei favoritismi riservati alle atlete sovietiche – e il canto del cigno dei cinque ori alle Universiadi di Bucarest dell’81. Sorvolo sugli argenti e i bronzi. Anni sportivi intensi, ma anche di una vita inaspettata di cui parleremo dopo. Anni in cui, con lo sviluppo, anche il fisico di Nadia cambia impegnandola in una nuova sfida con sé stessa.
Nel 1981 accade anche altro, però. Il regime comunista di Ceausescu, che sin da subito ha piegato la vita di Nadia alle esigenze della propaganda di Stato, organizza un tour americano al quale partecipano tutte le ginnaste della nazionale, ma dal nome inequivocabile: Nadia ’81. Le ginnaste, ovviamente, sono guidate dall’allenatore Bela Karolyi con Martha al seguito. L’ingranaggio però si inceppa. Bela, Martha e il coreografo Geza Pozar scelgono la libertà – la stessa che forse alle sue ginnaste Bela non aveva mai dato –. Disertano e chiedono asilo politico agli Stati Uniti. Tutto normale in fondo. La cosa straordinaria è che Bela Karolyi diventerà l’allenatore di USA Gymnastics e, seppur in un crescendo di polemiche e accuse per i suoi metodi, farà grande anche la ginnastica artistica a stelle e strisce.
Nel 1981 Nadia si ritira dalle competizioni. Difficile pensare a una semplice coincidenza. Visti i suoi stretti rapporti con Bela, per il regime lei non è più un’atleta da esibire, ma da controllare strettamente. Sono anni difficili. Alle Olimpiadi di Los Angeles andrà in veste di osservatore aggregata alla delegazione romena, ma a Los Angeles c’è anche Bela Karolyi, solo che è dall’altra parte. La sua ginnasta, Mary Lou Retton, si metterà al collo un oro, due argenti e due bronzi. Nadia ha il divieto assoluto di parlare e anche solo di avvicinarsi a Bela.
Bela ha concluso il suo passaggio terreno il 17 novembre 2024, a 82 anni. Nadia non ha mancato di ricordarlo sul suo profilo social. Ancora una volta con gratitudine. Forse anche con un sorriso. L’affetto a volte percorre strade inaspettate.

Dopo Montreal. La vita
Al rientro a Bucarest dalle Olimpiadi canadesi, migliaia di persone circondano l’aeroporto per accoglierla trionfalmente. Per tanti lei è il volto di un riscatto nazionale, ma per il regime comunista del Conducator Ceausescu, Nadia è una pedina da muovere sulla scacchiera della propaganda. Regina, certo, ma pur sempre una pedina. Inizia così il periodo più grigio della sua vita. Ceausescu la fa entrare nella sua cerchia, le assegna onorificenze di ogni tipo, la nomina persino “eroe del lavoro socialista”. Non basta. Elena, la moglie di Ceausescu, è una vera zarina capace di tramare sul destino degli altri. Anche su quello di Nadia. Designato a succedere al padre è il terzogenito dei Ceausescu; irascibile, donnaiolo, violento, quasi alcolizzato, Nicu è l’identikit del dittatore perfetto. Elena pensa bene che Nadia possa essere il suo divertimento ideale, utile per distrarlo da donne che lui vorrebbe sposare e che a lei non piacciono. I pensieri di Elena però sono ordini e così Nadia diventa l’amante, o meglio, l’oggetto personale di consumo di Nicu. Nonostante questo, quando Bela nel tour Nadia ’81 le suggerisce di disertare con lui, Nadia non raccoglie l’invito, lo lascia andar via e torna in Romania. Il periodo di soggiogazione personale sta finendo, Nicu si è stufato del suo giocattolo, ma adesso l’essere stata così vicina a Bela la rende sospetta. La Securitate è la polizia segreta del regime, dire che non avesse modi gentili è un eufemismo. Nadia è messa sotto stretto controllo e ogni volta che la Federazione Ginnastica la inserisce nelle delegazioni da portare all’estero, il suo nome è depennato per motivi di sicurezza nazionale. Los Angeles sarà un’eccezione. Ogni cosa ha però il suo tempo.
La fuga
Il 9 novembre 1989 viene giù il simbolo di un mondo, il muro di Berlino. La dissoluzione dell’impero sovietico e delle nazioni satelliti del Patto di Varsavia inizia così. È metà novembre quando ad una festa Nadia conosce Constantin Panait. Modi affabili, tipo interessante, romeno ma già con passaporto americano, lui la convince di poterla aiutare ad andare via. Il 27 novembre Nadia s’incammina da Bucarest in direzione Ungheria, cammina per sei ore, ma non è sola. Con lei ci sono altre sei persone, tutte in fuga con la regia di Constantin Panait. Nel primo notiziario della mattina del 28 novembre Radio Kossut, dall’Ungheria, lancia già la notizia della fuga di Nadia. Il giorno dopo Panait, lascia tranquillamente Bucarest in macchina, attraversa il confine grazie al suo passaporto americano e raggiunge Nadia in un albergo della cittadina ungherese di Szeged, la prende e la porta all’ambasciata americana di Vienna per chiedere subito asilo politico. Il 30 novembre la notizia della fuga di Nadia Comaneci è battuta in prima pagina su tutti i giornali. La mattina del 2 dicembre Nadia scende la scaletta dell’aereo appena atterrato al J.F.K di New York. e respira aria nuova.
Il 24 dicembre Nicolae ed Elena Ceausescu, dopo un breve processo che li giudica colpevoli di una serie infinita di reati, sono giustiziati praticamente all’istante. Nicu è condannato a venti anni di carcere; scarcerato dopo tre anni, morirà nel 1996 per cirrosi epatica. La dittatura comunista romena finisce così.
La nuova vita
Tra le mille luci di New York, la nuova vita di Nadia Comaneci inizia con una zona d’ombra. Constantin Panait, il presunto amico che l’aveva aiutata a fuggire, esige il suo dazio e si rivela per quello che è; la porta in un albergo, la chiude in stanza, le toglie il passaporto, controlla ogni suo movimento. Nadia però è famosa, i giornali la cercano, le televisioni la invitano ed è proprio grazie a questo corto circuito che le cose cambiano.
Nei giorni di gennaio i giornali riportano che Nadia parteciperà a un talk show. Bart Conner, il ginnasta simpatico dell’American Cup, quello che a Montreal le diede un bacio piuttosto innocente, nel frattempo diventato commentatore sportivo, si presenta in trasmissione. Bart è all’antica, si presenta con dei fiori e forse Nadia non ricorda l’ultima volta che qualcuno gliene aveva regalati. Si parlano, lui le lascia il suo numero, la prega di chiamarlo se dovesse avere bisogno di qualcosa e magari anche se non le dovesse servirle nulla. Nadia è confusa. Passerà ancora qualche tempo nel giogo di Panait fino a quando lui sparisce nel nulla da dove era venuto. Ovviamente non prima di averle preso tutti i suoi soldi, sembra almeno 100.000 dollari. Libera, liberata, Nadia il foglietto con il numero di Bart non lo aveva mai buttato. Lo chiama. Si vedono. Rinasce. Riprende ad allenarsi, ritorna in forma, organizzano insieme delle esibizioni e, soprattutto, vanno a vivere insieme, nel 1991, in Oklahoma, dove aprono una loro Academy. Si sposeranno nel 1996, a Bucarest, dove ancora più di prima Nadia Comaneci è un simbolo nazionale; il matrimonio è trasmesso in diretta televisiva e, dopo il rito civile e quello cristiano ortodosso, il ricevimento è ospitato a Palazzo Cotroceni, sede della presidenza della Repubblica.
Dal 2006 Nadia divide la sua vita tra impegni imprenditoriali, di rappresentanza e da madre accanto al figlio avuto con Bart.

Il futuro
Il futuro è una vita capace di guardare avanti e di dimenticare quello che non serve. La bambina senza infanzia, la bambina che non sorrideva semplicemente perché non aveva avuto tempo per imparare a farlo, è diventata una donna realizzata che sorride alla vita.
Non è stato facile imparare a sorridere, ma adesso quel sorriso non glielo può più togliere nessuno perché sì, il futuro è un passato che non ritorna. Il futuro è un dieci per sempre.
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