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San Giuseppe Due. Una feluca in Antartide (I)

27 giugno 1969: la feluca San Giuseppe Due, capolavoro di ascia e di vela, si lascia il porto di Anzio alle spalle. Non prende il mare per una gita, la sua destinazione è l'Antartide. Un'impresa marinara e scientifica da ricordare. La bella penna di Claudio Ressmann ne ha raccontato sul numero di luglio 2019 del Notiziario del Centro Studi Tradizioni Nautiche della Lega Navale. Un racconto che noi riproponiamo in due puntate perché la San Giuseppe Due, ad onor del nome, in Antartide andrà due volte
San Giuseppe Due

Non sono davvero molte le distrazioni per gli ospiti di una stazione antartica e quella di interessarsi a una nave arrivata di fresco è certamente tra le più apprezzate.
Immaginate la curiosità degli scienziati della base argentina di Deception, nell’arcipelago delle South Shetland, la mattina dell’ultimo giorno del 1970. Quando le prime luci dell’alba cominciarono a illuminare lo specchio d’acqua antistante gli alloggi, alla fonda, ormeggiato a pochi metri dalla riva, c’era un piccolo veliero, con scafo costruito in legno, munito di due corti alberi adatti ad altrettante vele latine.
Una feluca, per essere più precisi, la cui immagine appariva ancora più irreale su uno sfondo fatto di neve e di rocce scure, così lontano, e non solo metaforicamente, dall’ambiente mediterraneo.
A poppa garriva, grandissima, una bandiera italiana.
Il nome? San Giuseppe Due.

Un passo indietro

Per comprendere come una feluca potesse trovarsi in quella sperduta località dell’Antartide è necessario fare un salto indietro nel tempo. Sono i primi mesi del 1968 quando il veliero prendeva corpo a Torre del Greco, sullo scalo del cantiere di Antonio Palomba, maestro d’ascia di famiglia i cui scafi navigavano da almeno un secolo nei nostri mari.
Questa volta, però, l’impegno di mastro Antonio e di suo figlio Girolamo era ancora maggiore del solito. Il committente del San Giuseppe Due, il comandante Giovanni Ajmone-Cat, inserendo nel capitolato alcuni inconsueti e robustissimi rinforzi delle strutture più sollecitate, aveva fatto intendere quale sarebbe stato il primo viaggio del motoveliero: una crociera in Antartide. Oltre a ciò, i locali interni erano stati concepiti per sopportare basse temperature esterne mediante l’adozione di opportuni accorgimenti.

Legno e vele

Così la sagoma un po’ tozza dello scafo del San Giuseppe Due, realizzato con largo impiego di quercia, iroko e teak della migliore qualità, cominciò a prendere forma. Per le vele (due latine, controfiocco, fiocco e scopamare) ci si affidò al velaio Giovanni Ascione, sempre di Torre del Greco, che lavorò gli sferzi “all’antica”, cioè rispettando i canoni delle tradizioni marinare e relingando tutto a mano.
Una fatica ben compensata, se si pensa che le varie mute avrebbero brillantemente resistito ai gagliardi venti del Canale di Drake e che non avrebbero risentito delle con­dizioni climatiche estreme alle quali sarebbero state esposte. Per restare al piano velico, è da aggiungere che per le manovre correnti e dormienti vennero adottate, rispettivamente, cime di cotone e di canapa.

27 giugno 1969

L’allestimento del San Giuseppe Due impegnò completamente nella primavera del 1969 il comandante Ajmone- Cat e quello che sarebbe stato il suo equipaggio composto dal padrone marittimo Salvatore Castagnino, dall’albergatore Gianni Gallia, dal pilota civile Dario Trentin e dal motorista Franco Sferratore, finché tutto fu pronto ad Anzio per la partenza il 27 giugno.

Cinque mesi di traversata

Navigazione di trasferimento verso Gibilterra, prima, e verso sud, poi, con soste a Porto Vecchio, ad Almeria, a Gi­bilterra (dove sbarcava Trentin), a Las Palmas (con sbarco di Castagnino, Gallia e Sferratore e imbarco di Francisco Saavedra Ramirez e Josè Quevedo Santana), all’isola del Sale (con imbarco di Mike Weston), a Recife (con sbarco di Ramirez e imbarco di Carlos Alberto De Albuquerque), a Rio de Janeiro e l’arrivo il 17 novembre a Santos, dove imbarcava di nuovo Castagnino.
Come si può constatare una bella girandola di movimenti a bordo, ma si deve considerare che dalla partenza da Anzio all’arrivo a Santos erano trascorsi quasi cinque mesi e che i membri dell’equipaggio – tutti volontari – non potevano assentarsi dalle loro normali attività oltre un certo periodo di tempo.

San Giuseppe Due

Dal diario del comandante

La partenza da Santos alla volta di Buenos Aires avvenne il 23 novembre.
Il comandante Ajmone-Cat racconta così: “La nostra navigazione da Santos è stata piuttosto regolare fino a circa 100 miglia da Punta del Este dove il barometro sceso, in mezz’ora, da 770 a 741 e in un baleno il cielo si è coperto di nubi bassissime ed è venuto un vento da 70 nodi con mare 8 da due direzioni. Io ho cercato di rimontare con vela di trinchetto, poi sono andato sempre di bordata abbastanza stretta verso la costa dell’Uruguay che il mare in continuo aumento ha fatto qualche danno:
portato via il bompresso, storto un candeliere e sollevata una gruetta delle ancore. Comunque la barca il tempo lo reggeva benissimo e senza alcuno sforzo. Il vento era tale da non riuscire a stare in piedi sul ponte eppure non ho mai visto una sbandata oltre il trincarino. In sostanza non andava mai con l’acqua quasi ai bordi, né colpi di mare pesanti hanno mai invaso la coperta”.
Bravi dunque Antonio e Girolamo Palomba e i loro mastri d’ascia!

Da Baires in poi

Dopo una sosta a Baia Castillo, il San Giuseppe Due si ormeggiava a Buenos Aires dove sarebbe rimasto fino al 16 luglio. Nel frattempo sbarcavano De Albuquerque, Weston, Quevedo e Castagnino e imbarcava Gennaro Martuscelli. Le tappe successive furono Montevideo, Mar del Piata, Puerto Madryn (con imbarco di Francisco Di Iorio) e, finalmente Stanley, capitale delle isole Falkland/Malvinas.  Qui la feluca sarebbe stata sottoposta a revisioni per la parte velica e meccanica e l’equipaggio avrebbe frequentato un corso di sopravvivenza e di navigazione in zone polari offerto dal British Antartic Survey.
Il 30 no­vembre, salutato calorosamente dagli abitanti della cittadina, il San Giuseppe Due levava gli ormeggi alla volta di Ushuaia, raggiunta tre giorni più tardi, per una sosta durata fino a Natale.
La permanenza in quell’estremo lembo di terra abitata consentì anche a Ajmone-Cat di concordare con la Marina argentina il piano delle frequenze radio da adottare nei mesi successivi e di accogliere un nuovo membro d’equipaggio, il dott. Pier Luigi Airoldi, accademico del CAI, con l’incarico di supervisore del programma di ricerche glaciologiche della spedizione.

Lo Stretto di Drake

Anche in questa occasione lo Stretto di Drake non mancò di confermare la sua sinistra fama: la rotta per la prima tappa antartica, l’isola di Deception, che si snoda grosso modo per meridiano, fu percorsa con venti al traverso di grande violenza e con uno stato del mare variabile da 4 a 7, per una distanza di circa 800 miglia.
L’arrivo, come narrato all’inizio, avvenne agli sgoccioli del 1970. Festeggiato il Capodanno con il personale della base argentina, l’equipaggio dette immediatamente inizio al programma scientifico. Nei giorni successivi fu alla Whalers Bay, alla Baia San Giuseppe Due (una nuova formazione vulcanica visitata per la prima volta dal veliero con a bordo il glaciologo russo Leonid Govoracha che così la battezzò) e alle basi Almirante Brown (argentina) e Palmer Station (statunitense).

San Giuseppe Due

Vita a bordo

Le condizioni meteomarine in quelle settimane non furono le più favorevoli: faceva freddo, nevicava spesso, il vento era imprevedibile, passando in brevissimo tempo dalla calma piatta a raffiche forza 5/6. A questo occorre aggiungere la precarietà dei punti di fonda, raramente ben ridossati, per cui la vita dell’equipaggio del San Giuseppe Due non era delle più facili.
Il 15 febbraio 1971, quando si trovava alla fonda dinanzi alla base Almirante Brown, il comandante Ajmone- Cat scrive: “Lunedì – In nottata, dopo avere evitato gli urti di alcuni ghiacci spinti dal vento, un iceberg passa sul banco dove siamo anco­rati e prende sotto di sé la catena dell’ancora, trascinando la barca. Riesco a mantenermi fuori da un’eventuale collisione manovrando continuamente con la macchina finché, a prima mattina, a forza di energiche strappate a macchina indietro riesco a disimpegnare l’ancora e a portarla su un fondale maggiore da dove la devo salpare a mano (circa 3 lunghezze) per difettoso funzionamento del verricello; e tra l’altro l’ancora è resa più pesante da un ammasso di ferraglie in cui ha incagliato. Mantengo in mattinata la cappa con l’ancora appennellata e con tutta la ferraglia appesa con vento a raffiche da nord-est e molti ghiacci da evitare”.

Imbarchi e sbarchi

È da notare che il 2 febbraio Martuscelli, Di Iorio e Airoldi avevano lasciato il San Giuseppe Due per salire a bordo del piroscafo Baia Aguirre, che li avrebbe condotti in Argentina. Sa­rebbero stati sostituiti, il giorno 19 dal già citato Trentin e da due esperti noc­chieri, scelti dal direttore dello Sport Velico della Marina Militare, ammiraglio Dequal, per disposizione del Capo di Stato Maggiore della Marina, ammiraglio Roselli Lorenzini. Erano il sergente Salvatore Di Mauro e il sottocapo Franco Zarattini, giunti a bordo del rompighiaccio General S. Martin della Marina argentina.

Il viaggio di ritorno

Levata l’ancora il 23 febbraio per dare inizio al viaggio di ritorno, il San Giuseppe Due si trovò a dover affron­tare un vento impetuoso, levatosi tanto all’improvviso da non dare il tempo all’equipaggio di ammainare le vele. La situazione divenne ancora più difficile allorquando, all’altezza del 58° parallelo, sopravvenne un’avaria a un giunto dell’asse dell’elica, dimostratosi subito non riparabile con i mezzi di bordo, che costrinse il comandante ad attraversare il Canale di Drake con tutta la vela a riva, trasformando le due vele latine in motori di grande potenza in grado di far procedere la pesante feluca a una media di 12 nodi. Tutto ciò, come già accennato in precedenza, senza che avvenisse alcuna variazione al piano velico.
Il 4 marzo l’arrivo al sicuro e sospirato rifugio di Port Stanley per una sosta che sarebbe durata fino al 29 aprile. Il peggio era ormai alle spalle. Dopo tappe alle isole di Capoverde, alle Canarie e a Gibilterra, il veliero rientrava ad Anzio il 21 novembre 1971.

 

Il San Giuseppe Due torna, ma non si ferma.
Il prossimo mese la storia della sua seconda spedizione in Antartide

 

Claudio Ressmann ex Ufficiale di Marina, per venti anni direttore della rivista "Lega Navale".

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