La prima guerra del football

Terra, campo, pallone. Sembra un gioco, ma non sempre lo è. Non lo è stato nel 1969 quando El Salvador e Honduras si sono scontrati per la qualificazione a Mexico '70. 100 ore di combattimenti e bombardamenti, 6.000 morti, 10.000 feriti non sono un gioco, sono la prima guerra del football.
GUERRA DEL FOOTBALL

I Campionati del mondo di Mexico ’70 sono stati tra i più iconici della storia del calcio. Dici Mexico ’70 e pensi al Grande Brasile di Pelé, Rivelino, Jairzinho, Gerson e Tostao, la squadra più bella di ogni epoca. Pensi a Italia- Germania 4-3, “la partita del secolo”, e ai suoi drammatici tempi supplementari. E pensi alla “parata del secolo”, quell’ incredibile balzo felino con cui Gordon Banks sradicò il pallone dalla linea di porta, dopo un colpo di testa a botta sicura di Pelé, nella partita vinta dal Brasile contro l’Inghilterra.
Questa meraviglia ebbe, però, un tragico e assurdo prologo un anno prima, quasi che il Dio del football avesse stabilito che a tanta abbagliante bellezza dovesse essere pagato un tributo salatissimo: una guerra, la guerra del football.
Una guerra vera, però, non un gioco.

Terra e pallone

El Salvador e Honduras erano, all’epoca, di gran lunga le squadre più forti della zona centroamericana, escluso il Messico, qualificato di diritto in quanto paese ospitante. Era scontato che sarebbero state loro a giocarsi l’altro posto disponibile per accedere al grande palcoscenico dei campionati del mondo. I rapporti tra i due paesi confinanti erano, però, molto tesi: negli anni, circa trecentomila campesinos erano emigrati, per lo più illegalmente, dal piccolo El Salvador in Honduras (quasi sei volte più grande, ma con la metà della popolazione di El Salvador) in cerca di terra da lavorare. Quando poi, negli anni sessanta, scoppiarono agitazioni tra i contadini dell’Honduras che chiedevano una riforma agraria che redistribuisse le terre, il Governo, anziché spartire i latifondi in mano alla United Fruits, scatenò una campagna contro i miserabili campesinos salvadoregni, istigando nei loro confronti l’odio della popolazione locale, nell’ennesima replica della solita guerra tra poveri.

Tegucigalpa 1969

In questo contesto avvelenato, l’8 giugno del 1969 a Tegucigalpa, capitale dell’Honduras, si giocò la partita d’andata dello spareggio per l’accesso ai mondiali dell’anno successivo. La nazionale di El Salvador, arrivata nella capitale honduregna soltanto il giorno prima, aveva trovato un’accoglienza a dir poco calorosa. Per tutta la notte, centinaia di tifosi locali si erano piazzati sotto le finestre dell’albergo dove alloggiavano i calciatori ospiti, scoppiando petardi, suonando i clacson delle automobili e facendo tutto quanto potesse impedire loro di chiudere occhio, senza, naturalmente, che la polizia muovesse un dito. Il giorno seguente, i giocatori di El Salvador, morti di sonno, vennero sconfitti 1-0.

guerra del football

 

Amelia Bolanos

Subito dopo che Leonard Wells, difensore dell’Honduras, ebbe segnato all’ultimo minuto il gol della vittoria, in Salvador la diciottenne Amelia Bolanos, che stava guardando la partita alla tv, corse alla scrivania dove il padre teneva la pistola e si suicidò con un colpo al cuore. Fu questa la miccia che fece esplodere definitivamente l’odio nazionalistico tra i due paesi confinanti.
Per la morte di Amelia Bolanos, “una ragazza che non sopporta di vedere la sua patria messa in gionocchio”, così scrissero l’indomani i giornali salvadoregni, fu decretato il lutto nazionale e furono proclamati i funerali di Stato, la bara della giovane fu avvolta dalla bandiera del Salvador e fu accompagnata dal picchetto d’onore, seguito dagli alti rappresentanti politici e militari del paese.

guerra del football

Pallone e carri armati

Quando, la settimana dopo, la squadra dell’Honduras atterrò a San Salvador per giocare il ritorno dello spareggio, trovò ad attenderla una folla decisa a linciarla. Per poter raggiungere l’Estadio de la Flor Blanca, i giocatori dovettero essere scortati dai carri armati dell’esercito e la partita, giocata in un contesto ambientale del genere, si concluse con una facile vittoria per 3-0 del Salvador, che avrebbe costretto le squadre a giocarsi la “bella”, per decidere quale delle due sarebbe andata ai mondiali messicani.

guerra del football

La Guerra del Football

La sera del 14 luglio del 1969 gli aerei dell’aviazione militare del Salvador bombardarono quattro città dell’Honduras, tra cui la capitale Tegucigalpa e l’esercito salvadoregno penetrò in territorio nemico.
Iniziava la più assurda delle guerre, durata appena cento ore e conclusa senza nè vincitori nè vinti, ma capace di fare, nella sua totale insensatezza, oltre seimila morti e diecimila feriti.
Gli unici ad essere soddisfatti di questa oscena mattanza furono i governi dei due stati, poichè Honduras e El Salvador avevano riempito per pochi giorni le pagine dei giornali di tutto il mondo, prima di venirne soppiantati dalla notizia dell’allunaggio dell’Apollo 11. Perché, come scrive Ryszard Kapuscinski nel suo La prima guerra del footbal, “…I piccoli stati del Terzo, del Quarto e di tutti gli altri mondi dei poveri possono sperare di suscitare qualche interesse solo quando decidono di spargere sangue. Triste, ma vero”.

 

La bella

Per la cronaca, la “bella” tra El Salvador e Honduras si giocò il 26 giugno 1969 allo Stadio Azteca di Città del Messico, e fu vinta 3-2, dopo i tempi supplementari, da El Salvador, che si qualificò per i mondiali messicani, dove, inserito nel gruppo 1 insieme a Messico, Unione Sovietica e Belgio, perse tutte e tre le partite, subendo nove gol senza riuscire a segnarne nemmeno uno.

 

Enrico Frabetti Ferrarese di nascita, friulano per amore, come GAleno col tempo ho finito per assumere la mia identità: non sono altro che un mendicante di bel calcio. Anarchico per indole, sono convinto che la sola forma di governo possibile sia la Democrazia Corinthiana.

ARTICOLI CORRELATI

Calicchia e Righetti a Tor Marancia

Agostino Di Bartolomei. Tor Marancia ricorda.

Con una targa apposta sul muro del palazzo dove è cresciuto e vissuto, Tor Marancia ricorda Agostino Di Bartolomei. Un’iniziativa voluta dal Comitato di Quartiere Ardeatino-Tor Marancia, sostenuta dalle Istituzioni e alla quale anche i Cavalieri della Roma non hanno voluto far mancare fattiva testimonianza di comune fede giallorossa.

Leggi tutto »
Luis Monti

Luis Monti. Di calcio e di leggenda

Come lui nessuno. Centromediano senza rivali. Forza, piedi e visione del gioco. Luis Monti è stato unico e non solo perché ha giocato due finali mondiali in due nazionali diverse. Due nazionali, due cuori, quello dei padri e il suo, che diventano uno. Leggenda, sì. Luis Monti è leggenda.

Leggi tutto »
Attilio Fresia

Attilio Fresia. Oltre confine

Alla voce “pioniere” il dizionario di Oxford dice: “Scopritore o promotore di nuove possibilità di vita o di attività, collegate specialmente all’insediamento e allo sfruttamento relativo in terre sconosciute”. Spesso visionari, sempre coraggiosi. Attilio Fresia, forse né l’uno e né l’altro. È però il primo calciatore italiano all’estero. Non è poco. 

Leggi tutto »
Barazzutti e Connors

Corrado Barazzutti. Il furto di Forest Hills

1977. Us Open. Forest Hills, più che campi un tempio del tennis. Corrado Barazzutti arriva con la Davis cilena conquistata, è in forma e va avanti sino a dove nessun italiano era mai arrivato. La semifinale lo vede contro Jimmy Connors. Poteva finire in ogni modo, ma quello che fa Connors va oltre l’immaginazione e segna una delle più brutte pagine del tennis.

Leggi tutto »
San Siro

San Siro Rock Star. Dove suonano le leggende

Una lacrima,un ricordo, un emozione. La musica live è legata storicamente ai luoghi. L’attimo, un fermo immagine è impresso in un abbraccio, in una canzone, al compagno che avevi vicino. E quel tempio, San Siro ne ha regalati a milioni di fans. Oggi, parlare di demolizione è come abbattere un’idea, una storia, cancellare un luogo di culto. Da esso la parola cultura. Solo per ciò che ha rappresentato, ospitato e celebrato, bisognerebbe elevarlo a “monumento della musica nazionale”. San Siro, la Scala del rock, come lo definì Mick Jagger. Oltre 130 concerti, il meglio del rock mondiale ha calcato il suo terreno di gioco. Bowie, Vasco, Marley, Stones. Quarant’anni ed oltre a suon di musica e non sentirli. Finché ce ne hai stai lì, lì nel mezzo.

Leggi tutto »
Armin Hary

Armin Hary. I 100 metri di Roma ’60

Armin Hary, forte di essere stato il primo a fissare il tempo sui 10 netti, arriva alle Olimpiadi di Roma da favorito. La gara regina dei Giochi Olimpici sarà serrata, ma Hary non deluderà le aspettative e sarà il più veloce. Veloce quanto la sua brevissima carriera.

Leggi tutto »



La nostra newsletter
Chiudi