Ci sono alcune notti di stadio che lasciano un segno indelebile, che non si può dimenticare tanto facilmente, e non si parla di risultati, di partite vinte, di passaggi di turno per una fase successiva. Alcune sono partite giocate per onorare la maglia, ma la maggior parte delle volte si onora un’amicizia tra professionisti che hanno avuto la fortuna di giocare in ruoli diversi, ma con la stessa maglia, stessi colori, stessa identica passione.
A cosa mi riferisco? Partiamo dalla data: 23 maggio 1991
Stadio Olimpico, Gran Finale recita il biglietto, la manifestazione è tutta interamente dedicata a lui, a Marazico, a Bruno Conti da Nettuno. Lo stadio è pieno, la Curva Sud ancora di più. Tutti con una bandierina che porta il volto del giocatore, Bruno Conti per l’appunto. Siamo veramente tanti e tutti carichi. E pensare che meno di ventiquattro ore prima lo stesso stadio era gremito di tifosi per una partita importante, altro non era che una finale della Coppa Uefa, gara di ritorno tra Roma e Inter. L’andata giocata appena qualche giorno prima finì 2 a 0 per i nerazzurri, difficile da rimontare lo svantaggio, ma la tifoseria romana e romanista non abbandona mai la propria squadra. La Roma vinse la partita di ritorno ma il punteggio non fu sufficiente a ribaltare le sorti di quella maledetta finale. Eravamo delusi di quanto era successo la sera prima ma quello che stava per accadere contava quasi molto di più di una finale di Coppa.
In campo c’è un certo numero sette, Bruno Conti, e scusate se è poco
Presenti a dare l’ultimo saluto c’erano tutti i suoi ex compagni di squadra, Tanto per ricordarne qualcuno: Paulo Roberto Falcao e come non dimenticare il Capitano di quel numero sette, Agostino Di Bartolomei. Una splendida partita giocata ancora alla grande e se non fosse stato per il fiato mancante, qualcuno poteva ancora fare la sua bella figura la sera prima…Il bello come sappiamo tutti a volte ha un tempo determinato, stavolta non ci sono repliche, sono soltanto novanta splendidi minuti da riuscire a guardare senza stropicciarsi gli occhi da quell’emozione che abbraccia chiunque sia tifoso di una squadra di calcio, a noi della Roma invece ci mette una marcia in più, e ci fa piangere lacrime di gioia. Il giro del campo di Bruno Conti è stato un susseguirsi di batticuore fino al momento cruciale della splendida serata, il lancio dello scarpino sinistro in Curva. Il resto fa parte della storia di tutti coloro che erano presenti sugli spalti, e non eravamo pochi.
La sera del Principe
Un’altra serata con la stessa trama ma con un finale completamente diverso, fin troppo diverso: l’addio del Principe, Giuseppe Giannini. Anche in quella occasione non eravamo i soliti, c’erano persino tante famiglie a dare l’ultimo saluto al Capitano Giuseppe Giannini, al Principe di Roma. Il clima era fin troppo elettrico, diventato ancora di più da corto circuito quando sopra lo stadio passò un areoplanino con la scritta “Lazio campione d’Italia”. Forse tutto è andato storto proprio da quel fatidico volo con più passaggi sopra la testa di noi tifosi romanisti. Ricordo ancora bene la data, (e chi la dimentica): 17 maggio 2000.
La festa tradita
Giuseppe Giannini avrebbe dovuto celebrare il suo ritiro, una serata di festa rovinata dalla gente, perché sono convinto che non erano tifosi tutti coloro che una volta entrati in campo hanno letteralmente rovinato campo, porte, emozioni e lui, il Principe. È successo di tutto, sembravano cavallette che in pochissimo tempo, trovato un cancello aperto (?) dalla parte della Curva Sud sono entrati, prima alcune decine, poi centinaia e migliaia di pseudo tifosi, per disonorare quella serata, colpire al cuore colui che è stato per molti anni capitano e idolo della tifoseria giallorossa. Per fortuna a dare un briciolo di senso a quella maledetta serata è stato Renato Zero con il suo intervento e la sua canzone “Amico”. Doveva essere una serata bella, diventò una serata da cronaca nera.
Per Agostino. Ancora una volta
Concludo questo mio album di notti di stadio con una data memorabile, appena pochi giorni dopo l’addio di Giannini. Il 20 maggio 2000, allo Stadio Olimpico, zona Tribuna Monte Mario viene “recitata” la vita di uno dei più grandi calciatori che la Roma abbia annoverato nelle proprie file, un romano divenuto subito leader di questa squadra e poi capitano della magica Roma del 1983, Agostino Di Bartolomei. Una Recita? Teatrale? Ebbene sì! Sul palco allestito sotto la tribuna d’onore alcuni attori celebrano il ricordo di “Ago”. Il Direttore Artistico Ugo De Vita, nelle vesti di Agostino, Eleonora Brigliadori, una splendida Marisa, ovvero la moglie e tanto per non farci mancare nulla, uno strepitoso Flavio Bucci, nel ruolo struggente del papà di Agostino. No eravamo tanti, eravamo gli innamorati di quel capitano dalla triste storia finale. Un religioso silenzio ha accompagnato il susseguirsi degli interventi teatrali, tutti presi da quella storia, diversa dai soliti articoli di cronaca, più vera e più di cuore. Al termine, tanto per non rimanere completamente impassibili, Bruno Conti, per lui più che compagno di squadra conviene dire un fratello, è riuscito a dire solo poche parole, interrotte dalle lacrime. Non solo le sue, ma di tutti noi.
Dettagli. Forse
Termino questo breve racconto con due scene che mi hanno colpito molto. La prima riguarda il servizio d’ordine, ovvero c’erano agenti presenti anche accanto alle porte dei bagni (mentre la sera prima chissà perché, chissà per cosa, non erano in molti a controllare lo Stadio e in modo particolare il campo…) la seconda invece uno strumento utilizzato per l’illuminazione in ambito teatrale conosciuto come occhio di bue. Una luce bianca sul dischetto di rigore e un pallone…