La Federazione Italiana Canottaggio (FIC) è del 1888. La Libertas Capodistria nasce nello stesso anno.
Il bilancio ai Giochi Olimpici per il nostro remo è di 10 medaglie d’oro, 13 d’argento e 14 di bronzo. La sesta federazione sportiva più medagliata del nostro sport. 37 podi totali di muscoli e sacrificio, spazzando l’acqua con il remo contando i colpi, movimento e ritmo sempre diversi, sempre cercando di avvicinare il traguardo che si allontana.
Qui diciamo della medaglia di cinque canottieri di voga istriana alle Olimpiadi degli italiani, quelle di Los Angeles del 1932.
Il medagliere del ‘32
La decima per Olimpia, dieci anni per la nuova Italia. Sono i Giochi del primo villaggio olimpico, della cerimonia d’apertura in grande stile, del podio dal primo più su al terzo più in basso, del riscatto americano dopo il mezzo flop di St. Louis. Sono le Olimpiadi degli italiani, definizione non nostra e quindi più bella.
L’Italia vuole fare bene, farà benissimo.
Sono 102 gli atleti azzurri che partecipano ai Giochi della X Olimpiade, Los Angeles, Stati Uniti. Tutti uomini, perché il governo “forte” tanto forte non deve essere se i paletti li mette la Santa Sede. Da qui l’espressione patti (lateranensi) chiari, amicizia lunga?
Quattordici giorni di gare, chiudiamo con dodici medaglie d’oro, dodici d’argento e, quando la monotonia è musica, dodici di bronzo. Bottino straordinario che vale il secondo posto nel medagliere generale alle spalle dei padroni di casa presenti con la bellezza di 474 atleti, ben più di un terzo del totale dei partecipanti.
E poi il remo, di cui parliamo. Toscana, Lazio e Istria. Grandi storie. Siamo quinti nel medagliere della disciplina e dietro solo agli americani nel numero complessivo di medaglie.
Canottieri nostri
La spedizione del canottaggio porta lustro, sfiora l’oro ma non lo afferra. Sono venti atleti, tre equipaggi (su quattro) rientrano in patria con una medaglia al collo: argento per l’otto ed il quattro con, bronzo per il quattro senza. Li vediamo eleganti e sorridenti all’incontro con il primo ministro alla vigilia della partenza a bordo del Conte Biancamano, il transatlantico che non ha idea di cosa il destino può riservare. Li rivediamo al ritorno, stanchi ma felici, accolti dall’affetto di una Nazione fiera.
Il canottaggio si svolge in un impianto nuovo di zecca, il gioiellino Marine Stadium a Long Beach, spalmato su quattro giorni (10-13 agosto) di tutto esaurito.
I livornesi leggendari
L’otto livornese Scarronzoni (Unione Canottieri Livornesi 1919) si presenta forte di tre successi europei, ma il pronostico è tutto per l’armo locale di Berkeley con i britannici, freschi di Henley Royal Regatta, come outsiders più accreditati. In batteria, Cambridge abbassa la cresta, netta la supremazia dei nostri, mentre gli americani confermano le credenziali, il cronometro ci riconosce comunque otto decimi di vantaggio nel confronto a distanza.
Scarronzoni eredi dei leggendari equipaggi dei gozzi a dieci remi, quelli che nei giorni di burrasca correvano in aiuto – senza motore, solo braccia – delle imbarcazioni incapaci di entrare in porto. Scarrocciavano, spostamento laterale rispetto alla rotta stabilita per via del vento, e da qui il soprannome che è leggenda: due titoli europei, dieci italiani, due argenti olimpici (il bis a Berlino 1936), tredici anni ai massimi livelli.
La finale dei due decimi
La finale è mozzafiato, la bellezza della barca regina si conferma. Attorno a metà percorso, ai 34 colpi intensi degli americani i nostri rispondono con 40 più affondati. I timonieri si sgolano ed il pubblico altrettanto, davanti noi e poi davanti loro, ai trecento il nostro allungo sembra decisivo, ma gli universitari rientrano e si piomba appaiati su quel filo immaginario sull’acqua. Il gran baccano diventa silenzio, attesa. La giuria dice USA e l’impressione in effetti era quella, vittoria di rimonta, ma i due decimi di differenza, registrati manualmente, sono generosi. Il boato di sollievo della folla racconta molto di più del margine minimo.
Aniene 1892
Il bronzo è del quattro senza, anche qui il metallo poteva essere più pregiato. L’equipaggio dell’Aniene 1892 è di gran lunga il migliore in batteria, ma in finale i britannici dimostrano di aver meglio preservato uomini ed energie dove cediamo anche ai tedeschi, bravi a migliorarsi di quasi quindici secondi rispetto al turno di recupero.
Libertas Capodistria. Il cuore brucia
Il quattro con della Libertas Capodistria, invece, alla fine è quello che brucia di più. La solita storia di quando il favore del pronostico diventa boomerang. L’assenza di Danimarca e Svizzera, i due avversari più ostici del vecchio continente, restringe la rosa dei rivali accreditati a Polonia – molto bene nelle qualificazioni – ed americani, sempre temibili nel bacino amico. Nella finale a quattro, l’equipaggio della Libertas Capodistria controlla destra sinistra, sapendo di poter contare su un rush conclusivo a cui nessuno può rispondere. Sottovaluta però la partenza razzo dei tedeschi, a cui la prova in più del ripescaggio è servita ad affinare tattica e consapevolezza. La reazione dei nostri è tardiva o, meglio, la tenuta dei tedeschi è inaspettata. Sul traguardo ci arriviamo di gran rimonta ma non basta, ancora due miseri decimi ci vanno di traverso.
Il remo di Venezia Giulia e Dalmazia
Sfilacciata dalla storia negata, la forza dei canottieri di Venezia Giulia e Dalmazia merita uno spazio tutto suo.
Si parte dal XIV secolo quando il doge Giovanni Soranzo detta regole precise per le competizioni tra barche rivali nello spazio d’acqua tra San Marco e il Lido. Equipaggi fino a 50 uomini, sorteggio per decidere le formazioni a bordo, primo premio 200 ducati. Sul Tamigi, per dare un’idea, si arriva a gareggiare nel 1700, la prima Boat Race è del 1829, otto vogatori con timoniere e banco fisso, il seggiolino scorrevole arriva più tardi. L’influenza inglese, attraverso Amburgo, arriva alla costa istriana e sino alla Dalmazia: appassiona i giovani ed i meno giovani una disciplina che è forza fisica, ma soprattutto conoscenza e padronanza della tecnica.
Il Reale Circolo Canottieri di Capodistria prende il nome libertà, è il club nautico di Porta Isolana. Il nome cattura il vento che soffia da nord, le case in cortina riparano dallo scirocco e dal fiato pesante delle saline impaludate. Al circolo trovi l’artigiano, l’insegnante, lo studente. La selezione si basa su impegno, educazione civica, retto sentire. La politica c’entra, ma moderatamente, lo spirito è laico e repubblicano, la stagione è una e dura tutto l’anno: irredentista.
Libertas Capodistria
La storia del quattro con verso i Giochi americani racconta lo spirito che pervade la Libertas. La barca scende in acqua tutti i giorni, affronta avversari che sono ad una manciata di miglia marine, la Pullino di Isola d’Istria, e altri avversari virtuali. Non c’è una lira, il fuoriscalmo è logoro, inaffidabile, tanta forza nelle braccia ma poca voce per reclamare il giusto. La Federazione non risponde alla richiesta di un sostegno finanziario, serve una botta di ingegno. Un giorno di allenamento come altri, solo un po’ più freddo – per purissimo caso e come no – la barca centra uno spuntone metallico che era lì da sempre, e da sempre facilmente evitato, ultimo elemento di un cartello segnaletico smantellato. La barca si apre come un apriscatole, non ci sono chiacchiere, davanti all’evidenza arriva la nuova barca. Da imbarcare, destinazione Long Beach.
La Libertas Capodistria onora la bandiera italiana
Lo fa ai Giochi, ma non solo.
Libertas non è solo un nome. Libertas si schiera e paga pegno. Distruzione pressoché completa del circolo nel 1916 e confisca di tutto, barche e materiali, nel 1947.
Anonima e benedetta la mano che protegge l’archivio storico sociale ed il patrimonio dei trofei che raggiungono, non si sa come, Trieste.
La sana rivalità sportiva con la Pullino spiega i grandi risultati.
L’argento di Los Angeles risponde al magnifico oro del quattro con di Amsterdam 1928. La Libertas torna argento a Londra 1948, mentre è di Parigi 1924 il bronzo di un’altra grandissima realtà dimenticata, la Diadora di Zara. Dal sacrificio territoriale si salvano la Timavo di Monfalcone e la Nettuno di Trieste, già protagonista dell’Europeo 1938, quello dell’inaugurazione dell’Idroscalo di Milano.
I cinque del quattro con
Al di là dell’acqua, la storia del canottaggio tra Adriatico e Carnaro va ben oltre queste pillole rabberciate qui alla meno peggio.
La prua del Conte Biancamano spacca le onde, velocità venti nodi, mentre i nostri canottieri cantano sul ponte, faccia al vento: “Rematore la barca l’è pronta/ se tu vuoi venir a remar/ remeremo all’altra sponda/ giovanetto remator” (canto popolare rovignese).
I cinque della Libertas Capodistria sono: Bruno Vattovaz, timoniere, 1912-1943; Giovanni Plazzer 1899-1983; Riccardo Divora 1908-1951; Bruno Parovel 1913-1994; Giovanni Scher 1915-1992.
I cinque di Capodistria: nomi, città, storie italiane scritte sull’acqua.
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