Quota cento. Sembra passato un secolo, modo di dire, ma qui è davvero così. È il 1924, il 6 aprile è domenica, due settimane a Pasqua. In Italia si vota. Elezioni politiche per la Camera dei Deputati. 23 liste con 1306 candidati. Solo tre liste sono presenti in tutto il regno: Lista Nazionale, Partito Popolare Italiano, Partito Socialista Unitario. La cosiddetta Legge Acerbo prevede che la lista più votata a livello nazionale – con almeno il 25% dei voti validi – riceve i 2/3 dei seggi, il resto si assegna con il criterio proporzionale. Donne e “sottufficiali e soldati dell’Esercito, della Marina e dei corpi organizzati militarmente per servizio dello Stato” sono esclusi dal voto. Restano 11 milioni e passa di aventi diritto, 6 milioni e 700 mila lo esercitano, 4 milioni e 300 mila no. Tra chi non si presenta al seggio, giocoforza, ci sono gli azzurri della nazionale italiana di calcio. Sono a Budapest, alle 14.30 l’Italia scende sul campo del MTK per sfidare il colosso magiaro a cui restituiamo visita dopo il pari a reti bianche di un anno prima a Marassi.
La strada per Parigi
Dietro l’angolo ci sono le Olimpiadi di Parigi ed è meglio, parere del commissario unico condiviso dai vertici federali, affrontare squadre attrezzate a costo di brutte figure. Rischio più che concreto, soprattutto quando Genoa e Bologna, le due maggiori forze del nostro campionato, impongono ai propri giocatori di non rispondere alla convocazione. Vittorio Pozzo, il nostro C.U., la prende male, riesce a convincere solo il capitano genoano, Renzo de Vecchi. Con le sue 37 presenze in nazionale il “figlio di Dio” non può non dare l’esempio, deve fare da chioccia. Il resto della formazione è però tutto da inventare, da assemblare più rapidamente possibile.
Il calcio sul Danubio è l’eccellenza continentale
Austria, Cecoslovacchia e, per l’appunto, Ungheria sono dei veri maestri. Giocano a ritmi più compassati rispetto all’intensità britannica, si occupa il campo a zona, tutto gira attorno al numero 5 anche se i numeri sulle maglie ancora non ci sono. A Praga ne prendiamo cinque nel maggio ’23, a Genova quattro dall’ Austria a gennaio ’24. Il 6 aprile i quarantamila di Budapest pregustano una passeggiata, novanta minuti sgranocchiando pollo alla paprika senza sporcarsi.
In porta c’è l’esordio assoluto del portiere della Juventus, Gianpiero Combi.
Per un ventiduenne ha un raro senso della posizione, è essenziale, concede zero allo spettacolo, bello però quando va per la presa a due mani sui palloni alti. Adolfo Baloncieri, il nostro miglior giocatore in mezzo al campo, perno dell’Alessandria, viene dirottato in attacco. L’interista Luigi Cevenini, il mitico Cevenini III, per contro, arretra e si sistema in mediana. Sono gli accorgimenti del tecnico per far fronte all’emergenza. Nessuno degli altri titolari arriva a dieci presenze in nazionale. C’è il promettente terzino destro Rosetta della Pro Vercelli, Aliberti del Torino, Leopoldo Conti dell’Inter, Ardissone e Rosso sempre della Pro Vercelli, Monti III del Padova. Le chiavi del gioco in centro mediana sono coraggiosamente affidate a Felice Romano, argentino di origine ligure, in forza alla Reggiana. Per Felice, convocazione all’ultima ora. Salta su un treno per Budapest, dove incontra casualmente Monti III anche lui stessa meta. Non conoscono i compagni, non si sono mai allenati con la squadra, eppure Vittorio Pozzo gli chiede di dimenticare le difficoltà e darci dentro, per la maglia.
Sarà la più pesante sconfitta della nostra nazionale ad oggi
L’Ungheria ci schiaccia da subito, non è una barricata quella che si alza a protezione di Combi, è proprio la pressione che ci costringe a tirare calcioni e più lontano possibile. Reggiamo 15′, poi il mediano Jozsef Braun trova il vantaggio (17′) ed il raddoppio su rigore prima dell’intervallo. La diga cede di schianto nella ripresa: ventuno minuti (dal 49′ al 70′) e cinque reti, Combi incolpevole, avversari e palloni che sbucano fuori da tutte le parti. L’Ungheria rallenta e chiude in scioltezza, l’austriaco Seemann concede un rigore agli azzurri, per il goal della bandiera del terzo dei fratelli Cevenini.
È una lezione che serve, che resta
Della disfatta di Budapest solo quattro azzurri (Rosetta, Aliberti, Conti e Baloncieri) sono in campo sei settimane dopo per l’esordio olimpico. 1-0 alla Spagna a Colombes. Ci fermiamo nei quarti (1-2 dalla Svizzera), ma ci comportiamo onorevolmente e, tra l’altro, meglio dell’Ungheria che, macerata da tensioni interne, prende tre reti dal modesto Egitto.
Vittorio Pozzo lascia, ma tornerà
Così come l’Italia tornerà ad incrociare l’Ungheria sul suo cammino. Perdiamo 1-2 a Milano nel gennaio ’25, torniamo a Budapest a novembre sempre ’25 e pareggiamo 1-1, pareggio stretto, ci riprendono con un rigore dubbio a 20′ dalla fine. Vinciamo, finalmente, il 25 ottobre 1928 allo stadio del PNF, 4-3 di rimonta e sorpasso all’ 85′ con il torinista Libonatti. I rapporti di forza sono oramai rovesciati, l’Italia cresce e non si ferma più. A Budapest, maggio 1930, Coppa Internazionale, l’Italia straripa, Meazza tre reti poi Magnozzi e Costantino. Alla presenza numero 25, Combi blinda la porta e, a fine gara, corre da capitan Baloncieri per un abbraccio che è consacrazione, passato e presente.
1938. La partita delle partite
Sfidiamo l’Ungheria altre otto volte in otto anni, senza mai uscire sconfitti, prima della partita delle partite. La finale mondiale, domenica 19 giugno 1938 ore 15.00, stadio Colombes, Parigi. Siamo i detentori, abbiamo l’occasione di zittire detrattori di dentro e di fuori, ma soprattutto di confermare di essere i migliori dopo Roma, dopo Berlino, dopo le due coppe Internazionali del ’30 e del ’35. Norvegia, Francia di casa e Brasile sono state sfide asprissime, l’Ungheria di Sarosi è un osso ancora più duro. Il nostro primo tempo è perfetto. Il goal di Titkos, che risponde al vantaggio sprint di Colaussi, non ci turba, siamo oramai una corazzata che può attraversare qualsiasi tempesta, chiudiamo 3-1 il primo tempo e 4-2 il secondo, soffrendo ma sempre con una superiorità senza discussioni. Budapest 1924 non è cancellata, resta di monito, ma l’Italia di Vittorio Pozzo è andata oltre, dieci anni per conquistare il tetto del mondo, quattordici per continuare a guardare da lassù l’effetto che fa.
E le elezioni del 1924?
La lista nazionale ottiene quasi il 65 per cento dei voti e 374 deputati su 535. È un successo clamoroso, il numero uno della coalizione viaggia da Milano a Roma acclamato da centinaia di persone ad ogni stazione ferroviaria. Chiede pacificazione nazionale, lavoro per i prossimi cinque anni e la fine di tutte le fazioni per il bene d’Italia. Il 1929 sarà l’anno della crisi economica mondiale.
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