Armin Hary. I 100 metri di Roma ’60

Armin Hary, forte di essere stato il primo a fissare il tempo sui 10 netti, arriva alle Olimpiadi di Roma da favorito. La gara regina dei Giochi Olimpici sarà serrata, ma Hary non deluderà le aspettative e sarà il più veloce. Veloce quanto la sua brevissima carriera.
Armin Hary

La gara più attesa del programma di atletica leggera dei giochi della XVII Olimpiade era sicuramente la corsa dei 100 metri piani uomini. L’attesa, divenuta negli ultimi giorni quasi spasmodica, era dovuta principalmente al duello, che si preannunciava di grande interesse storico-agonistico, fra il tedesco Armin Hary e la triade (tanti erano gli atleti ammessi per regolamento ad ogni singola specialità) degli scattisti statunitensi, forti, oltre che del loro valore atletico intrinseco, anche di una tradizione a loro favorevole, in forza di una serie di successi maturati negli anni precedenti l’evento olimpico romano.

Un uomo fuori del comune

Adesso quando agli americani si presentava la opportunità di continuare la striscia di vittorie iniziata a Los Angeles nel 1932, all’orizzonte della specialità era apparso con tutto il suo formidabile bagaglio psico-fisico e tecnico, quello che sarebbe diventato per molti, ingiustamente, il prototipo del “ladro di partenze”: il tedesco Armin Hary, atleta che risultò invece essere un grande talento umano, in possesso di requisiti fuori del comune.

Armin Hary chi?

Nato a Quierschied, nella regione della Saar, il 22 marzo 1937, Armin era figlio di un minatore, in gioventù lottatore piuttosto famoso. Dopo esperienze da calciatore prima (giocò ala sinistra in una squadretta locale), e da ginnasta poi, Hary a 16 anni si avvicinò all’atletica. La sua prima apparizione fu sulla pista di Aschen dove corse i 100 metri in 11.9.
La prima vera occasione di rinomanza nazionale la ottenne però dal decathlon, specialità nella quale totalizzò 5.376 punti, primato della Saar, che gli consentì, a fine stagione, di figurare fra i primi quindici specialisti del suo paese. Fra le discipline del decathlon Hary eccelleva, neppure a dirlo, nella prova dei 100 metri. Fu quindi a questa che il suo allenatore lo indirizzò a cominciare dalla stagione 1957.
Già ventenne, in una gara nazionale ad Oberhausen, Armin Hary ottenne un 10.4 che gli permise di entrare per la prima volta nelle graduatorie stagionali mondiali. Nel 1958 lasciò il club di Saaebrucken per trasferirsi a quello, molto più importante, del Bayern di Leverkusen. Insieme al posto nella squadra di atletica i dirigenti della Bayer, colosso della chimica mondiale, offrirono al giovane Armin anche un posto di meccanico di precisione in una delle aziende del loro gruppo. L’ingresso nella squadra del Bayern coincise con l’incontro con quello che sarà per anni il suo coach, Bertl Sumser, che analizzò a fondo le caratteristiche psicofisiche e tecniche del giovane Hary, già all’epoca estremamente interessanti.

Una promessa mantenuta

Armin Hary ormai più che una promessa, corse in sette occasioni i 100 metri in 10.3 e in 10.2 in altre tre occasioni.
In quella stessa stagione il prof. Herbert Reindell, per conto della clinica dell’Università di Friburgo, fece alcuni test su atleti tedeschi di diverse categorie e specialità. Si venne così a scoprire che il fisico di Armin Hary aveva la capacità di sopportare allenamenti atletici di intensità largamente superiore a quella che potevano svolgere gli altri atleti. Il cuore di Hary non era ancora completamente sviluppato e quindi non sottoposto fino a quel momento a logoranti sedute di training.
Hary fu quindi selezionato per i Campionati Europei di Stoccolma 1958 dove sconvolse tutti i pronostici; si aggiudicò gara e titolo correndo in 10.3 (10.35), lasciando il secondo ed il terzo posto a Germar e Radford, entrambi cronometrati in 10.4.

Partenza bruciante

Che Armin Hary avesse preceduto d’un soffio lo sparo dello starter, lo svedese Erik Elmasater, medaglia d’argento sui 3.000 siepi alle Olimpiadi di Londra 1948, apparve subito evidente alla maggior parte dei presenti. I tecnici chiesero la foto della partenza, dalla quale si ebbe la conferma dell’avvio anticipato. La foto, apparsa in seguito sulle riviste specializzate, ci mostra chiaramente che Hary è in netto anticipo sugli avversari nello stacco delle mani dal terreno al momento dello sparo. La sua affermazione a Stoccolma non si deve quindi solo alla rapidità in partenza e al suo fisico armonioso (1.82 x 72 kg) e ben muscolato che gli consentiva una straordinaria accelerazione, ma anche alla evidente falsa partenza, lasciata impunita dallo starter.

Rapido, non solo veloce

Il neurologo Herbert Reindell che aveva sottoposto Hary ed altri atleti tedeschi ad accurati esami, affermò che i suoi tempi di reazione erano quattro volte più rapidi di quelli di un uomo medio. Le ricerche avevano stabilito che il tempo medio di reazione di una persona normale era intorno ai 15 centesimi di secondo, mentre quello del miglior sprinter tedesco degli ultimi anni, Heinz Futterer, considerato uno dei più rapidi partenti europei, era valutato sugli 8 centesimi.
I test dimostrarono che il tempo di reazione di Armin Hary era uno stupefacente 3 centesimi e quindi si poté affermare che lui partiva sì prima degli altri, ma non prima del colpo di pistola.

I 10 netti respinti

Il 6 settembre 1958 a Fridrichshafen Hary corse i 100 metri due volte, praticamente senza concorrenza. Una prima volta corse in 10.3 rallentando vistosamente negli ultimi 10 metri, poi chiese di poter correre una seconda volta i 100 metri e sorprendentemente venne accontentato dagli organizzatori.
Questa volta l’impegno fu totale. Armin Hary chiuse la prova in un fantastico 10.0 (vento + 0.20) battendo i connazionali Eduard Fenenberg e Karl-Heinz Naujoks.
La Federazione tedesca ebbe grossi dubbi nel convalidare questo risultato per il fatto che Hary aveva preso parte ad una prova non prevista dal programma. Il presidente federale Max Danz chiese che venisse controllata la regolarità della pista,  impianto fuori dal giro delle grandi manifestazioni tedesche. Gli accertamenti rivelarono che la corsia nella quale aveva gareggiato Hary aveva una pendenza, in favore di corsa, di 10,9 centimetri, quasi un centimetro in più dei 10 ammessi dal regolamento internazionale. La richiesta di omologazione del primato del mondo non venne quindi inviata alla IAAF con sollievo di tutti: giudici, cronometristi e dirigenti tedeschi.

Il 1959 fu un anno negativo

Hary venne sconfitto in più di una occasione e patì le sconfitte tanto da rinunciare ai campionati nazionali. Entrò poi in contrasto anche con la sua società, il Bayern Leverkusen, che lo squalificò per un mese e si inimicò i responsabili della nazionale che non videro di buon occhio la sua decisione di andare a trascorrere un periodo di allenamento a San José, su invito del college californiano, sotto la guida di preparatori locali. Ma Hary ormai aveva deciso e partì per gli Stati Uniti insieme al saltatore con l’asta danese Henk Visser.
La fama del suo brutto carattere lo aveva però preceduto e non gli agevolò certo l’approccio con i club americani, all’epoca piuttosto restii ad aprire le porte agli stranieri se non per motivi di studio.
Hary comunque non era andato negli Usa a cercare una facile laurea, come malignò qualcuno, ma per allenarsi seriamente e trovare nuovi stimoli. Soggiornò presso il San Jose College, la vecchia Università di Ray Norton che sarà suo avversario a Roma, dove se non altro imparò ad allenarsi con continuità e con quella tenacia che a volte gli era venuta a mancare in Germania.

Nel 1960 cambia tutto

Tornato in Germania, Hary lasciò il posto di meccanico di precisione presso l’industria ottica di Leverkusen dove aveva lavorato fino ad allora e si impiegò come venditore di apparecchi radio e televisioni presso i magazzini Kaufhof di Francoforte.
Si tesserò per una nuova società, la sezione atletica dello F.S.V. Frankfurt Football Club e iniziò la preparazione per i Giochi di Roma sotto la guida dell’allenatore Haefele che aveva già seguito Heinz Futterer, il campione europeo del 1950.
In tutta quella stagione non conobbe sconfitte.

Anche per Hary arrivò il “day of day”

Il 21 giugno 1960 era in programma a Zurigo, sulla pista del Letzigrund, una delle prime ad aver sostituito il fondo in cenere con un materiale coerente chiamato “rottgrand”, una riunione internazionale denominata “Meeting di Olimpia”, praticamente una preolimpica ad inviti organizzata dallo Zurich Athletic Club.
Armin Hary non era stato invitato in quanto i responsabili della squadra tedesca avevano comunicato la sua indisponibilità a partecipare ai meeting, al fine di preservarne le energie in vista delle Olimpiadi. L’ indisposizione di alcuni degli atleti invitati, fra i quali Germar, Futterer e Berruti, e le pressioni esercitate dagli organizzatori che volevano al via il campione europeo dei 100 metri, convinsero i tecnici tedeschi a chiamare, sia pure all’ultimo momento, il loro più forte velocista.
Hary ebbe la notizia dell’invito solo otto ore prima dell’inizio delle gare e sorse il problema di trovare un posto sull’aereo per Zurigo i cui posti erano tutti occupati. La cessione ad un passeggero di due biglietti per la finale del campionato tedesco di calcio, a quell’ora praticamente introvabili ma non per alcuni amici di Hary, fece recedere questi dal viaggio in Svizzera a favore del velocista tedesco.

Hary
(Zurigo 1960. Armin Hary in pista)

Zurigo

Alle 18.30 del 21 giugno Hary venne prelevato dall’aeroporto internazionale di Zurigo e alle 19.15 fece il suo ingresso sul terreno del Letzigrund. Le serie dei 100 metri erano in programma alle 19.45 e quella che lo vedeva impegnato era l’ultima.
Mentre completava il suo riscaldamento Hary ebbe modo di assistere alla partenza delle prime serie e si rese conto che lo starter, lo svizzero Walter Tischler, sostituto dello starter ufficiale Albert Kern, infortunato ma presente al Letzigrund con le grucce, lasciava intercorrere pochissimo tempo fra il “pronti” e lo sparo.
Con questa consapevolezza Hary si schierò alla partenza della sua serie con avversari il franco-senegalese Abdoulaye Seye, i francesi Claude Piquemal (alcune cronache indicano però in Meunier l’atleta francese che avrebbe partecipato a questa gara) e Paul Genevay, lo svizzero Heinz Müller, l’italiano Pasquale Giannone ed il connazionale Jurgen Schlüttler dell’ASV di Colonia.

12.000 spettatori erano in trepida attesa

Un attimo, uno sparo e Armin Hary, in quarta corsia, era già avanti all’allineamento dei concorrenti e spingeva come una furia. Il suo vantaggio crebbe a vista d’occhio e chiuse la gara con un margine enorme nei confronti del pur quotato Seye.
La giuria era perplessa ed anche i cronometristi sembrarono esitare nell’assegnazione dei tempi. Il pubblico, rumoreggiò in quanto aveva chiaramente notato che qualcosa non aveva funzionato alla partenza.
Si era visto il sig. Walter Tischler agitarsi, ma il suo secondo colpo, che sarebbe stato sacrosanto tanto l’avvio di Hary era stato anticipato rispetto agli altri, non era arrivato.
Venne intanto comunicato un ordine di arrivo provvisorio: primo Hary in 10.0 (ma si seppe poi che i tre cronometristi avevano preso questi tempi: 9.9-9.95-10.0 ed il crono extra addirittura 9.8), secondo fu Seye in 10.3/10.53, terzo Piquemal (Meunier?) in 10.4/10.72, quarto Schlüttler, 10.5/10.77, quinto Giannone, 10.6, sesto Genevay, 10.6 e settimo Müller, anch’egli 10.6.

La rilevazione automatica del tempo di Hary fu 10.16

A questo annuncio il pubblico manifestò il suo disappunto a tal punto che il Giudice arbitro Willy Weibel, un ex velocista che aveva partecipato ai Giochi di Parigi del 1924, fece comunicare che erano in corso accertamenti sulla regolarità della gara. Weibel convocò a sé lo starter e anche i concorrenti. Hary candidamente confessò di essere partito prima dello sparo, ma di aver atteso invano il segnale di richiamo. Il sig. Tischler ammise di aver rilevato la falsa partenza, ma di non aver avuto i riflessi pronti ad azionare la seconda pistola che teneva nella mano di sinistra per sparare il colpo di richiamo.
Queste dichiarazioni indussero Willy Weibel a comunicare l’annullamento della prova e la ripetizione della medesima alle ore 20.20.

Gara a tre

Alla partenza per la ripetizione della gara, si presentarono solamente Schlüttler, che corse in seconda corsia, Müller, che occupò la terza ed Hary al quale venne assegnata la quarta. Walter Tischler si fece da parte e venne sostituito da Albert Kern, che depose per un attimo le grucce ed entrò in servizio. Kern era lo starter che proprio su quella stessa pista il 7 luglio 1959 aveva avviato la gara dei 110 ad ostacoli, al termine della quale Martin Lauer aveva stabilito il nuovo primato mondiale con il tempo di 13.2.
Lo starter in questione era quello al quale il compianto Prof. Calvesi aveva attribuito il nomignolo di: “Zaccaria: pronti, via !” proprio per la rapidità di esecuzione nella fase più delicata dello start.
La partenza di questa nuova prova avvenne con un avvio regolare, anche se i più attenti osservatori notarono che l’intervallo fra il “fertig” ed il “gun” era stato ancora molto breve.
Müller contrastò Hary per una decina di metri, ma poi il tedesco si involò. Schlüttler non fu mai in gara.
Armin Hary fu un portento di potenza, coordinazione ed agilità. Volò verso il traguardo con una progressione impressionante e con uno stile che incantò il pubblico.

I primi 10 netti della storia

Armin Hary fu un portento di potenza, coordinazione ed agilità. Volò verso il traguardo con una progressione impressionante e con uno stile che incantò il pubblico che ebbe subito la sensazione che qualcosa di clamoroso era avvenuto. Lauer si avvicinò al recinto dei cronometristi, poi si slanciò verso Hary, lo abbracciò e lo indicò alla folla che lo applaudì freneticamente.
Una rapida consultazione dei cronometri e poi lo speaker scandì il risultato: primo Hary in 10.0, (tempi dei tre cronometristi: 10.0-10.0 e 10.1) nuovo record del mondo, secondo Müller, 10.3/10.62 (record svizzero eguagliato), terzo Schlüttler, 10.4/10.71, con il suo nuovo primato personale.
Il vento venne rilevato in favore di 0.90 m/s. mentre l’apparecchiatura di cronometraggio Longines, registrò il tempo automatico di 10.25.
Armin Hary comunque era l’uomo che aveva ottenuto il primo 10.0 della storia dei 100 metri, prestazione che era stata caratterizzata da tre componenti: atleta veloce, pista veloce, sparo veloce!

A Roma da favorito

Armin Hary era anche il primo europeo ad aver dato al vecchio continente il primato assoluto dei 100 metri senza comproprietà.
In passato il record mondiale dei 100 metri era sempre stato solamente eguagliato da un europeo: così era successo per l’olandese Christiaan Berger (10.3 il 26 agosto 1934 ad Amsterdam), per il “naturalizzato” inglese Emmanuel Mc Donald Bailey (10.2 il 25 agosto 1951 a Belgrado) e per il tedesco Heinz Futterer (10.2 il 31 ottobre 1954 a Yokohama).
Hary si presentò così come il favorito per la conquista della medaglia d’oro ai Giochi di Roma.
Molte cose sono state dette sul brutto carattere del tedesco e sulla sua grande presunzione che lo portò perfino a snobbare il grande Jesse Owens, con il quale poi a Roma posò a lungo in foto scherzose che li ritrassero insieme in posizione di partenza. Ma quanto messo in atto da Armin Hary a Roma durante la finale dei 100 metri non aveva niente di fantasioso. L’operazione fu sicuramente studiata a tavolino dal velocista tedesco e dal suo manager al fine di procurarsi vantaggi attraverso una doppia sponsorizzazione.
Il tedesco durante la finale indossò scarpette chiodate prodotte dalla Puma, con il classico contrassegno blu anziché nero, ma quando si presentò sul podio per la premiazione ai suoi piedi figuravano scarpette bianche con le tre fasce blu, cioè scarpe costruite dalla concorrente Adidas!
Ci furono ovviamente fiere proteste da parte delle due case produttrici, entrambe tedesche, che minacciarono richieste di danni; ma poi la federazione mise tutto a tacere.

Veloce anche la carriera

Quella di Armin Hary sarà comunque una carriera ad alto livello ma breve, circoscritta praticamente a tre soli anni, dal 1958 al 1960. Una contusione al ginocchio destro, riportata in un incidente automobilistico il 26 novembre del 1960 lo costrinse prima ad un fermo di oltre un anno e mezzo e poi al definitivo abbandono delle piste. Una decisione sulla quale influì sicuramente anche la sospensione comminatagli dai suoi dirigenti per aver accettato un rimborso per spese non sostenute e per aver ricevuto un compenso di 4.000 marchi per un articolo ritenuto diffamatorio dalla federazione tedesca.
La Lega d’Assia gli comminò una squalifica per tutto il 1961, ma la federazione tedesca ridusse il provvedimento a quattro mesi. Intervenne nella questione anche il CIO ed uno dei suoi massimi esponenti, Otto Mayer, arrivò addirittura ad ipotizzare il ritiro ad Hary della medaglia conquistata a Roma, e la sua esclusione definitiva dalle prossime Olimpiadi.

Hary e Owens
(Roma 1960. Jesse Owens e Armin Hary)

Altre strade

Armin Hary comunque subito dopo i Giochi cercò di mettere a frutto la sua medaglia d’oro.
Scrisse un libro, “10.0 (Armin Hary)” pubblicato nel 1961, tentò la via del cinema e del giornalismo, fu anche presentatore in televisione di telepromozioni per conto di una ditta di apparecchiature microfoniche.
Nel 1966 sposò Christine Bagusat, con la quale era fidanzato da alcuni anni, figlia di un facoltoso industriale tedesco, ed andò a vivere nel castello di famiglia di Possenhofen in Baviera. Si dice che ai tempi dei Giochi romani la coppia fosse in crisi e la causa di ciò ricadesse sul comportamento di Armin, sensibile al richiamo del gentil sesso. Sembra anche che Hary il giorno della finale, poco prima di lasciare il Villaggio Olimpico, avesse ricevuto una telefonata molto minacciosa da parte del padre di Christine, il quale lo aveva redarguito molto severamente per il suo atteggiamento.
Nel 1980 Hary venne arrestato insieme ad un amico per aver truffato, nel contesto di complicate operazioni immobiliari, la Società dei Condomini della Chiesa Cattolica per una somma quantificata in un milione di marchi, e aver inoltre arrecato danni alla Arcidiocesi di Monaco di Baviera per parecchi milioni di marchi. Nel 1981 giunse notizia di una sua condanna a due anni di reclusione inflittagli dal Tribunale di Monaco. Ma questo nulla ha a che fare con la sua figura e carriera di atleta.

I 100 metri di Roma

Alla gara dei 100 metri erano iscritti 65 atleti in rappresentanza di 48 nazioni. Con solo tre defezioni, i partenti furono 62 e le nazioni 46.
Erano presenti tutti i migliori velocisti del mondo degli anni 60, con le sole eccezioni delle “vittime” dei trials americani (Charles Tidwell, Bobby Morrow, che non potè difendere, come era nei suoi progetti il titolo olimpico vinto a Melbourne, Willie White e Bill Woodhouse), di Livio Berruti, che aveva optato per la gara dei 200 metri, e del russo Leonid Bartenyev che corse solo nella staffetta 4×100. I sessantadue atleti (fra questi il solo che non si presentò alla partenza su il nigeriano James “Jimmy” Omagbemi) furono divisi in nove batterie.
Lo starter chiamato ad avviare le partenze delle varie fasi dei 100 metri uomini era Primo Pedrazzini di Milano, giudice di comprovata esperienza e di lunga militanza nella specialità. Insieme a lui operarono Camillo Sivelli, un avvocato modenese, e Ruggero Maregatti di Milano, l’unico dei tre ad avere un significativo passato da atleta. Primo Pedrazzini avviò anche la gara dei 200 metri.

La prima batteria

La prima batteria si corse alle ore 9.00 di mercoledì 31 agosto, in condizioni atmosferiche perfette. Nessun problema per l’agilissimo cubano Figuerola che vinse in un eccellente 10.4, tempo che insieme a quello ottenuto dal venezuelano Esteves nella terza batteria ed i tempi di Radford e Budd della nona batteria, rimarrà la migliore prestazione del primo turno eliminatorio.
Il cubano, che impressionò molto per la sua azione di corsa, distanziò nettamente il norvegese Bunaes ed il russo Konovalov.

La batteria di Hary

Fu quindi la volta di Armin Hary impegnato nella seconda batteria con il keniano Antao, il pakistano Khaliq e lo svizzero Müller, giunto secondo a Zurigo il giorno del primo 10.0 della storia.
Hary, prima di schierarsi alla partenza, si avvicinò allo starter Primo Pedrazzini e gli strinse la mano quasi a suggellare un patto di non belligeranza con il giudice italiano, che si dice avesse trascorso, alla vigilia dei Giochi, notti insonni pensando al momento in cui avrebbe avuto allo start per la prima volta il tedesco, del quale aveva letto e sentito dire cose “agghiaccianti”.
Il tedesco partì con molta cautela, quasi a voler tranquillizzare lo starter circa la sua intenzione di non creargli, e crearsi, eccessivi problemi.
Hary corse con grande scioltezza e sul traguardo si fece superare da Seraphino Antao, velocista ventisettenne, originario dell’India ma residente in Kenia, che nel 1963 aveva conquistato il titolo di campione dell’impero britannico sulle 100 e 220 yards. Terzo fu lo svizzero Müller, al quale evidentemente portava fortuna correre insieme ad Armin.

Sorpresa Esteves

Sorprese il diciannovenne venezuelano Horacio Esteves, futuro primatista mondiale dei 100 metri, che vinse la terza batteria in 10.4 davanti all’antillano Johnson e a uno svogliato Dave Sime, il cui stile di corsa, andatura impettita e passo lungo, non piacque ai tecnici. L’americano comunque corse in un buon 10.5 e lasciò il quarto classificato a tre decimi di secondo di distanza. Al settimo posto, e quindi ultimo, in questa batteria giunse l’etiope Neggousse Roba, che aveva partecipato, sempre nei 100 metri, anche ai Giochi di Melbourne, finendo egualmente ultimo nella seconda batteria del primo turno.

Perchè ci occupiamo di Neggousse Roba, velocista da 11.0?

Desideriamo ricordarlo in quanto, terminata l’attività agonistica, Neggousse intraprese la carriera di allenatore ed in questa veste ottenne gloria e fama che gli erano state negate dalle sue non eccelse doti di velocista. Neggousse cessò di gareggiare dopo i Giochi di Roma e cominciò subito ad occuparsi del connazionale Abebe Bikila che guidò alla seconda medaglia d’oro della maratona a Tokio. Fu inoltre preziosa guida e coach di altri due grandi del fondo, Mamo Wolde e Miruts Yifter.

Altre batterie

Nessun problema per l’altro primatista mondiale, il canadese Jerome, che vinse la quarta batteria davanti al francese Delecour, correndo al risparmio ma senza mettere in mostra le sue abituali straordinarie doti di agilità e scioltezza. Tempo: 10.5 per entrambi.
I tedeschi dopo Mahlendorf persero il loro secondo uomo nella ottava batteria. Manfred Germar infatti, sofferente per un mal di denti che lo affliggeva da alcuni giorni, corse in un disastroso 11.0 finendo quinto e pertanto venne eliminato.
Ancora due tempi (10.4) fra le prestazioni migliori del primo turno nella nona batteria vinta dall’inglese Radford sull’americano Francis Joseph Budd, detto “Frank”, velocista del Philadelphia Pioneer Club, studente di marketing alla Villanova University, atleta che non sarebbe mai potuto arrivare a partecipare ai Giochi Olimpici senza la “lotteria” dei Trials.
Durante tutte le batterie spirò un leggerissimo vento contrario alla direzione di corsa dei concorrenti oscillante fra gli 0.14 e gli 0.46 m/s. I tempi medi di intervento dello starter Primo Pedrazzini, appositamente cronometrati, furono di 22.366 fra il comando “Ai vostri posti” ed il “pronti” e di 1.844 fra il “pronti” e lo sparo.

Il secondo turno

Alle 16 di quello stesso pomeriggio si corsero le batterie del secondo turno. La giornata era assolata e la temperatura di 29°C ancora soddisfacente per una giornata di fine agosto. Gli atleti migliori non si nascosero più e scoprirono le batterie, manifestando chiaramente le loro intenzioni.
Nella prima batteria Horacio Esteves, partito in prima corsia, con 10.5 regolò il possente bahamense Robinson e l’incerto Ray Norton autore di una pessima partenza.
Armin Hary nella seconda batteria si produsse nella sua “blitz-start”, ma partì regolarmente senza lasciare dubbi e corse in un eccellente 10.2, nuovo primato olimpico, regolando l’americano Sime (10.3) che stava chiaramente ritrovando la sua forma migliore ed il polacco Foik (10.4).
Grande lotta nelle ultime due batterie dei quarti di finale.
Nella terza Frak Budd corse ancora in 10.4. Lo stesso tempo del cubano Figuerola che si classificò secondo davanti al britannico Jones (10.5).
Quattro uomini sulla stessa linea per l’arrivo della quarta ed ultima batteria del secondo turno. Ci volle il fotofinish per dare una classifica alla più incerta delle gare dei turni eliminatori. La vittoria andò al canadese Jerome, davanti all’inglese Radford ed al keniano Antao: tutti con 10.4, un tempo che assunse maggior valore tenuto conto del vento contrario misurato in 2.31 m/s.
I velocisti statunitensi, attesi con grande interesse e curiosità da pubblico e tecnici, non lasciarono grande impressione in questa prima giornata dei 100 metri. A parte Budd, che era il meno quotato dei tre selezionati, Norton e Sime non convinsero affatto. Dei tedeschi si salvò solo Armin Hary, mentre meglio fecero gli inglesi che portarono due uomini in semifinale.
Anche al termine di questo secondo turno furono resi noti i tempi medi dello starter: 24.900 fra il comando “Ai vostri posti” ed il “pronti” e 1.575 fra il “pronti” ed il via.

La prima semifinale

Le due attese semifinali erano in programma alle 15.40 di giovedì 1° settembre.
Il tempo rimase bello e gli anemometristi inoperosi; gli apparecchi non registrarono vento sulla pista dello Stadio Olimpico.
Nella prima semifinale, dopo appena cinquanta metri, ci fu la grossa sorpresa del ritiro del canadese primatista mondiale Harry Jerome per uno stiramento muscolare sul quale qualche giornalista avanzò dubbi. L’atleta tuttavia fu visto cadere e rotolarsi a terra dolorante.
La prova venne vinta dall’inglese Radford che, nel tempo di 10.4, ebbe ragione del cubano Figuerola e dell’americano Budd, tutti classificati con il suo stesso tempo di 10.5.

La seconda semifinale

David Sime dovette ammainare bandiera ancora una volta contro Hary che corse e vinse in 10.3. In questa seconda semifinale si ebbero le prime schermaglie in partenza. Sime, preoccupato della fama di Hary, mise alla prova lo starter italiano Pedrazzini; tentò di anticipare la partenza, con l’unico risultato di una pronta sanzione. Hary tentò di prendere in contropiede il suo avversario più pericoloso cercando di indovinare la partenza di Pedrazzini, che invece lo bloccò con il secondo colpo.
Il nervosismo dei due più seri candidati alla vittoria finale non si trasmise agli altri atleti. Fu il giovanissimo Esteves, per nulla intimorito dalla fama di Hary, ad invitarlo alla calma. Questi raccolse evidentemente l’invito in quanto al terzo tentativo partì prudentemente e nei primi metri rimase dietro agli avversari. Poi si distese e dominò la gara. Alle sue spalle Sime e Norton fecero valere la loro miglior classe, riuscendo a qualificarsi a spese di Jones, eliminato dopo l’esame del foto-finish, di Esteves e di Antao, manifestando tuttavia quelle difficoltà che di lì a poco la finale punirà in maniera inesorabile.
I tempi medi dello starter per le due semifinali furono: 22.250 e 1.600.

C’era molta elettricità nello Stadio Olimpico durante le semifinali

Armin Hary fu incitato a gran voce dagli sportivi tedeschi, presenti in grandissimo numero sulle tribune dello stadio e le sue quotazioni per la vittoria finale si impennarono decisamente.
I velocisti americani avevano chiaramente dimostrato di non trovarsi in grandissima condizione e l’interruzione della loro lunga tradizione di vittorie olimpiche sembrò inevitabile. Essi si sarebbero dovuti guardare, oltre che da Hary, anche da Radford e Figuerola, atleti che avevano fino allora ben impressionato, ed erano decisi a non fare la figura dei comprimari.

Neppure due ore divisero le ultime due qualificazioni dalla attesissima finale

Quando gli atleti entrarono in pista sorprese l’abbigliamento casual di Armin Hary che, al posto della divisa ufficiale della Germania, indossava un paio di pantaloni di una tuta azzurri e sulla maglia di gara, con appuntato il n. 263, una camicia con collo a “v” a scacchi verdi e grigi che portava fuori dei pantaloni. In testa, al contrario degli americani che portavano berrettini da baseball di varie fogge e colori, il tedesco indossava un cappello chiaro a larghe falde che assomigliava molto a un copricapo in uso presso i cow-boy americani. Un borsone blu da marinaio a tracolla conteneva gli attrezzi per la sistemazione dei blocchi e due paia di scarpette da corsa di marca diversa.

La finale

Alle 17.30 precise i sei finalisti sono nelle rispettive corsie
Il loro allineamento, partendo dalla corda era il seguente: Sime, Budd, Norton,  Figuerola,  Radford, Hary.
Il RTI dell’epoca non prevedeva, come quello in vigore oggi, che gli autori dei migliori tempi nelle semifinali fossero privilegiati con la assegnazione delle corsie centrali. Si procedeva per sorteggio in ogni turno di gara e pertanto i favoriti Sime ed Hary partirono in posizione antitetica, uno in prima l’altro in sesta corsia.
Lo starter, assistito da Lucci e Ragni, invitò i concorrenti a prendere il loro posto ed essi si collocarono sui blocchi di partenza.
Appena Pedrazzini ebbe pronunciato il “pronti” Sime scattò via come una furia, seguito da Hary, senza attendere il colpo di pistola che lo starter giustamente risparmiò tanto era stata evidente la falsa partenza. Per richiamare i concorrenti fu sufficiente il comando “al tempo”.
Il RTI attribuiva allora allo starter la discrezionalità di sancire o meno la falsa partenza in caso di avvio contemporaneo da parte di due o più atleti. La regola è vigente anche oggi e in gergo, quando la circostanza si presenta, si dice che lo starter “ha tenuto per sé la falsa partenza” nella incertezza di attribuirla ad uno dei concorrenti fra quelli che si sono avviati per primi.
Pedrazzini, prudentemente, optò per la non belligeranza e non assegnò la falsa partenza ad alcun concorrente.
Figuerola approfittò della interruzione per chiedere un attimo di tregua e per poter sistemare meglio i suoi starting-blocks.

Armin Hary
(Roma 1960. La partenza della finale dei 100 metri)

Secondo tentativo

Al secondo tentativo Armin Hary partì con apparente regolarità, ma Pedrazzini non ebbe incertezze e fermò la gara assegnando la falsa partenza al tedesco.
Lo stadio esplose in una salva di fischi, per lo più provenienti dal pubblico tedesco, diretti allo starter, colpevole secondo loro, di aver punito ingiustamente un innocente. La falsa partenza produsse una enorme pressione psicologica su Hary che era ad un passo dal veder compromesse le sue possibilità di vittoria. Sarebbe bastata un’altra sola incertezza in partenza e addio titolo olimpico, ma il tedesco dimostrò di avere, oltre i muscoli, anche i nervi d’acciaio, seppe placare la forte agitazione e superare lo stato di tensione.
La gara comunque finalmente si avviò.
Pedrazzini in effetti accorciò tempi di intervallo fra “il pronti” ed il via. I dati rilevati dai cronometristi registrarono un tempo medio di 19.300 fra il primo comando ed il “pronti” e solo 1.500 fra il “pronti” e lo sparo.

Cronaca di corsa

Armin Hary in questa circostanza fu ovviamente più prudente ed al via sembrò avviarsi quasi con un leggero ritardo rispetto ai suoi avversari, fra i quali il più lesto fu il cubano Figuerola. Cinque metri furono però sufficienti al tedesco per lanciare la sua corsa ed imporre la sua indiscussa supremazia. Dopo quindici metri Hary raggiunge il cubano e passa nettamente primo con un vantaggio che incrementò fino ai trenta metri, Norton e Budd erano chiaramente in difficoltà.
A metà corsa iniziò la rimonta dell’inglese Radford che, oltre ad Hary, aveva davanti a sé sulla sinistra anche l’americano Sime.
Il finale di Sime e Radford fu di una violenza entusiasmante, ma Hary aveva accumulato un vantaggio tale che la grande rimonta dell’americano non riuscì a colmare.
Il filo di lana si avvicinava sempre di più, finchè Hary non lo tagliò con la parte alta del petto, a testa dritta, con le braccia aperte all’indietro, spiegate come due ali.
In quello stesso istante, dalla parte opposta della pista, Sime nel tentativo di trovare una disperata soluzione alla corsa ormai compromessa, si lanciò verso il traguardo abbandonando il contatto con il suolo imitando lo stile di arrivo di Charles Paddock, il suo famoso predecessore.

Armin Hary
(Roma 1960. Armin Hary dopo la vittoria dei 100 metri)

Primo!

Hary superato il traguardo si piegò sulle ginocchia, barcollò, poi ritrovò l’equilibrio e percorse alcuni metri al passo. Respinse il primo dirigente che gli si slanciò contro ed andò ad appartarsi in un angolo della pista, subito circondato dai compagni di squadra, che commentavano le fasi dell’arrivo sull’esito del quale però ancora non si pronunciava nessuno.
Sime intanto, dopo il suo disperato tentativo, era caduto disteso per terra lungo la pista e lì era rimasto quasi attonito, ancora incerto sull’esito della gara. Si era poi rialzato lentamente e si era toccato le graffiature procuratesi nella caduta.
L’occhio dei giudici percepì la vittoria di Hary, ma essi non si fidarono e consultarono gli strumenti della Omega.
Trascorsero pochi minuti, che ad Hary e Sime dovranno essere sembrati una eternità, poi la voce dell’altoparlante comunicò l’ordine di arrivo e sancì la prima vittoria sui 100 metri in una Olimpiade di un atleta tedesco.
Armin Hary sorrise ma non si abbandonò a scene di entusiasmo; strinse molte mani, ma dette l’impressione di essere terribilmente stanco e stressato dalla tensione che lo aveva attanagliato fino a pochi attimi prima.
Il velocista tedesco aveva corso ancora una volta in 10.2 eguagliando nuovamente il record olimpico da lui stabilito il giorno prima. L’accredito a Sime dello stesso tempo fu chiaramente un’ingiustizia.
La vittoria olimpica di Armin Hary convinse tutti del suo effettivo valore.

Tutti…o quasi

Sono giudizi opinabili. Nello sprint il responso del campo è più determinante di tutti i giudizi che si possono formulare sulle qualità di un velocista che poi soccombe nei confronti diretti con l’avversario.
Anche il vecchio Jesse Owens, che avendo osservato Hary in allenamento negli Stati Uniti, aveva mosso dubbi sul suo primato del mondo affermando che al massimo il tedesco valeva 10.1, si rimangiò il suo affrettato giudizio e disse: “Penso che Hary sia senz’altro il migliore velocista del mondo ed ora che l’ho visto impegnato in una gara ad alto livello credo veramente che abbia fatto 10.0. La sua partenza poi è qualcosa di veramente portentoso!
Una testimonianza preziosa sull’argomento venne dall’inglese Peter Radford. L’uomo che nella finale di Roma era nella corsia vicina a quella del tedesco disse che Hary adottava un sistema di partenza perfettamente in linea con le norme regolamentari, ma che si basava molto sulla “vulnerabilità” dello starter.

La Regola 162

Ricordiamo che la Regola 162 del RTI in vigore alla vigilia dei Giochi di Roma (aggiornato con le modifiche deliberate dalla IAAF a Melbourne il 4 dicembre 1956), imponeva allo starter di sparare il colpo di pistola “quando tutti i concorrenti erano pronti“.
Ebbene cosa faceva Hary? Egli rispondeva al comando “pronti” dello starter, ma raggiungeva la posizione lentamente. Solo quando, ovviamente in via presuntiva (ma Hary era un volpone e conosceva bene le abitudini dei sui avversari), tutti gli altri erano ormai fermi sulla posizione di “pronti” si “decideva” a raggiungerla anche lui con la consapevolezza che in quel momento lo starter, esasperato dalla lentezza del suo movimento ascensionale e preoccupato che gli altri atleti si “muovessero” dato il tempo trascorso, avrebbe azionato la pistola e dato in via alla gara.

Europa vs USA?

Con Hary la vecchia Europa mise in dubbio l’invulnerabilità dei velocisti americani che ricevettero un altro duro colpo alcuni giorni dopo, quando il nostro Berruti tolse loro anche il titolo dei 200 metri.
Nonostante la riscossa europea, sul piano complessivo dei risultati e del potenziale umano i velocisti degli Stati Uniti, nonostante l’assurda tortura dei Trials, rimanevano a nostro avviso ancora i migliori del mondo, anche se a molti di loro la pratica e i successi ottenuti in atletica sarebbero serviti per avere accesso a sport professionistici in grado di assicurare loro lauti guadagni.

Bibliografia:

Bonacina Giorgio, “I più veloci”, Longanesi, Milano, 1977
Gregori Claudio, “Livio Berruti”, Vallardi, 2009
Pallicca Gustavo, “Ai Vostri posti, pronti, via”, Fidal, Roma, 1996
Quercetani L. Roberto e Pallicca Gustavo, “A world history of sprint racing (1880-2002)”, SEP Editrice, 2006
C.O.N.I., “Rapporto Olimpico”, Roma, 1960

Gustavo Pallicca Starter internazionale con una passione per i racconti, la fotografia e la storia dell'atletica. Stella d'Oro del CONI al Merito Sportivo (1936-2023)

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