O Rei si nasce
Pelé è inutile spiegarlo.
Edson Arantes do Nascimento era un bambino che puliva scarpe e giocava con palle fatte di stracci, perché ad averli i soldi per comprare un pallone a Bauru, anni quaranta, nell’immenso Stato di San Paolo del Brasile.
Ma in fondo che vuoi che sia per uno che a meno di 16 anni diventa titolare in prima squadra del Santos, a 17 gioca in nazionale e a 21 viene dichiarato tesoro nazionale dal presidente brasiliano Jânio Quadros per scongiurarne la vendita all’estero e sorvoliamo su tutto quello che ha fatto dopo.
Il pallone per Edson Arantes do Nascimento, in arte Pelé, è un destino e lui è o Rei.
Pelé. L’uomo da abbattere
Alf Ramsey era uomo che sapeva del mondo e aveva occhio lungo.
Nel 1962, quando diventa allenatore dell’Inghilterra, inizia subito a ripetere che quel Mondiale, quello che avrebbero giocato in casa, sarebbe stato cosa loro.
Ramsey mette su una bella squadra, individualità forti, una squadra che può competere, certo, ma chissà.
Il Brasile, Campione del Mondo nel 1958 e nel 1962, è la squadra da battere e gli inglesi, padri nobili del calcio che non avevano ancora mai vinto nulla, lo sapevano bene.
In molti, e non solo inglesi, sapevano però che c’era anche un uomo da battere, o forse da abbattere, un uomo che aveva un numero, il 10, e un nome, Pelé.
La suggestione della saudade
Nel 1966 dalla copertina dell’Intrepido Walter Molino ci racconta una storia leggera.
Con un tratto grafico che disegna un’epoca e che lo farà essere uno dei più apprezzati disegnatori italiani, Molino restituisce al giovane lettore dell’Intrepido l’immagine di un Pelé malato di nostalgia per la lontananza dalla giovane moglie, con la quale si intrattiene a lungo al telefono, togliendo magari tempo prezioso agli allenamenti, come sembra ricordargli un trafelato Feola, l’allenatore della nazionale brasiliana.
In fondo la saudade è anima del Brasile, potrebbe anche essere andata così.
Ma in questo caso la saudade è solo una suggestione romantica.
La realtà fu diversa.
Il Mondiale del 1966
Sin dall’inizio, il Mondiale del 1966 non fu come tutti gli altri.
Le polemiche ci furono sin dall’assegnazione all’Inghilterra, proseguirono con la partecipazione della Corea del Nord, sarebbero passate per la strana storia della Coppa Rimet rubata e qualche tempo dopo “casualmente” ritrovata sotto un albero grazie a un cagnolino di provvidenziale curiosità, esplosero con il ritiro delle squadre africane e della Corea del Sud e il tutto messo insieme sarebbe stato solo il preludio delle polemiche finali.
Polemiche che, per quanto ci riguarda da vicino, furono quelle che scoppiarono a seguito della clamorosa sconfitta che subimmo dalla Corea del Nord con relativo rientro a casa anticipato, forti contestazioni di piazza e successivo esonero di Edmondo Fabbri.
Ma non fummo gli unici a tornare a casa.
La storia inglese di Pelé
La storia inglese di Pelé inizia l’11 luglio del 1966.
A Wembley la regina Elisabetta apre ufficialmente il Campionato del Mondo e l’Inghilterra ottiene uno scialbo pareggio a reti inviolate con l’Uruguay.
La storia inglese di Pelè si svolge però in tre puntate e non a Wembley, ma al Goodison Park di Liverpool, perché lui e il Brasile a Wembley non ci arriveranno mai.
A Liverpool il terzo girone diventa un tutti contro il Brasile.
O meglio, un tutti contro Pelè perché, di fatto, Bulgaria, Ungheria e Portogallo è contro di lui che giocano anche se, in effetti, l’Ungheria non ne avrà occasione.
Il 12 luglio il bulgaro Zekow, cannoniere di gioco rude, sotto gli occhi indifferenti dell’arbitro tedesco Kurt Tschenscher, lo colpirà duro al ginocchio e Pelè è costretto a fermarsi per quattro giorni.
Il 15 luglio l’Ungheria, come se il tempo fosse tornato indietro a quando era la grande Ungheria di Puskás, batterà il Brasile per 3 a 1.
Il 19 luglio il Portogallo trascinato da un grande Eusebio batte il Brasile per 3 a 1. Gli uomini allenati da Otto Glória picchiano forte, ma George McCabe, arbitro inglese, lascia fare. Picchia forte João Pedro Morais, difensore dello Sporting Lisbona, basso, agguerrito, capace di infilarsi nel campo e di segnare, ma capace anche di colpire e fare male, come fa con Pelè.
Il regolamento al tempo non prevedeva sostituzioni.
Pelè sarà in campo per tutta la partita, ma lo farà zoppicando vistosamente ed è l’ombra di se stesso.
Il Brasile che era arrivato a Londra forte di due titoli consecutivi conquistati, esce dai Mondiali.
Pelé è stato abbattuto e in aperta polemica con l’arbitraggio e il sistema inglese, dichiarerà che non avrebbe mai più giocato un Mondiale.
Nei fatti non andò così, e noi ce ne saremmo accorti quattro anni dopo, nella finale mondiale di Città del Messico, persa 4 a 1 con marcature aperte proprio da Pelè.
Le finali di Wembley
Il 30 luglio del 1966 a Wembley l’Inghilterra batterà 4 a 2 la Germania Ovest, sarà campione del Mondo, ma è anche un trionfo di polemiche per due goal, il terzo e il quarto, che sarebbero stati da annullare.
Di fatto il Mondiale del 1966 sarà ricordato come quello della coppa rubata.
Tornando ai nostri giorni, non possiamo non osservare l’analogia con le polemiche seguite al rigore concesso all’Inghilterra nella partita contro la Danimarca, rigore che ne ha determinato la vittoria e l’accesso alla finale europea.
L’11 luglio del 1966 a Wembley iniziano i Mondiali che passeranno alla storia del calcio come quelli della coppa rubata, l’unica vinta dall’Inghilterra
L’11 luglio 2021 a Wembley, l’Inghilterra incontrerà l’Italia per giocare la sua prima finale di campionato Europeo.
La storia inglese di Pelé è solo una storia del secolo scorso.
Forse.