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Garrincha, ma adesso che fai?

Garrincha, ma adesso che fai? Se proprio non me lo vuoi dire va bene così, anzi è meglio, anzi lascia che te lo dica io cosa fare.
Manè Garricha

Garrincha non avrebbe mai dovuto giocare a calcio.
Garrincha, invece, ha strappato vita al destino.
Non tutta, ma abbastanza per fargli lasciare un segno, leggero perché lui, Manoel Francisco dos Santos era Garrincha, leggero come un passerotto.
Ma sono proprio i segni leggeri e impalpabili che il tempo non riesce ad aggredire.
Per questo ancora oggi, dopo decenni, dopo che di lui si è scritto, detto e raccontato più di tutto, ebbene ancora oggi, a rivederlo in qualche vecchio filmato mentre scivola sul campo ingannando uomini e pallone, ti assale la mancanza della bellezza esplosiva del suo equilibrio imprevedibile e ti viene da chiedergli, proprio come si fa con un amico che non vedi da tempo: Garrincha, ma adesso che fai?

Quel giorno a Pau Grande

Vedi Garrincha, per quanto io mi sforzi, posso immaginare solo per difetto com’era Pau Grande quando sei nato. Cosa vuoi che ne sappia uno nato e cresciuto nel mezzo dell’Italia del boom e dell’auto per tutti, di una favela brasiliana degli anni trenta?
Di una cosa però sono sicuro: quel giorno di ottobre del ’33, sembra il 28, ma è una data su cui penso nessuno giurerebbe, tu sei nato affamato di vita.

GarrichaQui si dice che quei centimetri alla gamba sinistra te li abbia portati via una poliomelite, ma vallo a sapere se invece non ci sei nato insieme a tutte le altre cose che il Padreterno ti ha messo addosso; la spina dorsale disegnata a piacere, il bacino sbilenco, il ginocchio destro che guarda un po’ verso l’interno, quello sinistro che invece guarda un po’ verso l’esterno, gli occhi un po’ strabici che guardano senza convenzioni quello che vogliono vedere.

GarrinchaInsomma, nato un po’ così, ultimo di cinque figli e con un padre alcolizzato, il destino non sembrava averti fatto proprio un favore.
Quando sei nato non potevi certo saperlo, mangiavi, ridevi, piangevi e come tutti gli altri bambini sei cresciuto con poco e niente, scalzo a rincorrere stracci arrotolati che solo dopo sarebbero diventati un pallone.
La cosa straordinaria è che mentre chiunque altro ne avrebbe preso atto, tu invece te ne sei fregato.

Una grande risata

E immagino la risata che ti sei fatto quando quel medico che provò a misurarti l’intelligenza disse che eri stupido, praticamente un peso inutile da portare al Mondiale.
GarrinchaUna risata che sarà stata anche sguaiata perché delle misure a te non è mai importato nulla, magari ci avrai anche bevuto sopra cachaça e forse avrai anche fatto altro, perché se è vero che ti piaceva giocare a pallone, è anche vero che a bere e ad andare a donne non ti batteva nessuno.

Comunque eri in buona compagnia.
Edson Arantes do Nascimento, un ragazzino che allora non aveva ancora compiuto 18 anni e che sarebbe passato alla storia come Pelé, allo stesso test risultò avere un punteggio poco superiore al tuo.

Garrincha e Pelè

Svezia 1958

Era il 1958, ricordi? Il mondiale era quello di Svezia, il primo che avresti vinto nonostante le prime due partite saltate perché pare che non ti reggessi in piedi per la troppa vita delle sere precedenti.
Sia chiara una cosa, io non sono qui per farti la morale e poi, come non capirti, in Svezia fa freddo, che non ti vuoi riscaldare vicino a un corpo e con un po’ di alcool?  Che poi ci sia scappato anche un figlio, uno dei tuoi quattordici, è solo un dettaglio in più visto che nessuno di loro si ricorderà poi di te.

Comunque sia, domenica 15 giugno si gioca contro l’URSS, loro hanno il calcio scientifico, variante sportiva del materialismo storico, e in porta hanno un monumento, Lev Yascin, il Ragno Nero.
Vicente Feola ti fa giocare e tu sotto gli occhi del mondo fai impazzire i terzini sovietici che non riescono a capire da che parte li vuoi dribblare.
Ma non basta, questa è la partita dei tre minuti più belli della storia del calcio, i tuoi tre minuti, quelli di cui si racconta ancora.

L’alegria du povo

Dire sotto gli occhi del mondo non è un eufemismo.
Quello non fu solo il tuo primo Mondiale, ma anche il primo trasmesso in Eurovisione, qui da noi visto nei salotti buoni di chi aveva già la televisione, ma anche e soprattutto nei bar o nei circoli dove si assiepava chi ancora non se la poteva permettere.

garrinchaÈ così che il tuo nome inizia a passare di bocca in bocca, di giornale in giornale e non sei più solo l’idolo del Botafogo, ma di chiunque ami il calcio.
Soprattutto diventi l’alegria du povo, la gioia del popolo, perché il tuo calcio che infrange le regole dell’equilibrio è vitale e contagioso come un samba, esplosione di vita dove vita non ci sarebbe dovuta essere, dove nulla è scontato e tutto s’improvvisa. Anche il futuro.

Cile 1962

Anche nel tuo secondo Mondiale, in Cile nel 1962, il caso ci mette lo zampino.
Anzi, sarebbe meglio dire la gamba.

Il 2 giugno allo stadio Sausalito di Viña del Mar, giocando contro la Cecoslovacchia, Pelé s’infortuna; il suo Mondiale finisce lì.
Ma al Mondiale ci penserai tu; dribbli, scendi, salti, avanzi, segni quattro goal, fai impazzire giocatori e pubblico, con quelle gambe improbabili prendi in braccio il Brasile e gli fai vincere la Coppa, vieni riconosciuto come il miglior giocatore del torneo e diventi un eroe nazionale.

Una storia chiamata amore

Giochi come nessun altro, ma vivi anche come nessun altro e quando si vive come te, il tempo passa in un soffio.
Hai sposato Nair Marques che non avevi ancora 19 anni, dice che dovevi riparare, solo che poi con lei di figli ne hai fatti altri sette; due ne hai avuti poi con Iraci, la donna che hai amato lo stesso anche se eri sposato e va bene, inutile contare le altre che hai amato visto che di tante non ricordi neanche il nome.

Poi arriva lei.

Elza SoaresElza Soares la conosci nel 1961, l’anno dopo è lei la madrina del Mondiale e chissà forse quei quattro goal li hai fatti anche per lei, per farle capire che dopo nulla sarebbe stato come prima.
In effetti andò proprio così; vinto il Mondiale torni a casa e cambi tutto.
Sì, lo so, hai ragione, ma l’ho già detto, io non sono qui per farti la morale e tu non sei qui per scusarti, è andata così e basta e lei era bella da fare male.
Forse anche per questo non te lo perdoneranno, perché se tanti ti vogliono ancora bene, adesso qualcuno  inizia a volertene un po’ meno.

Il tempo di lasciare

Fino al 1966 giochi ancora nella Seleçao e sarai anche al Mondiale inglese che però si rivelerà un’avventura senza gloria.
Ma la vita che hai sfidato da ragazzino non ti ha dimenticato, è lì, aspetta, tanto lo sa che lei ha più tempo di te.

La storia con il Botafogo finisce, non ti trattano bene, ma non te ne curi, cambi città, cambi squadra più volte, bevi sempre di più, spendi sempre di più, spendi i soldi che hai, ma anche quelli che non hai, l’amore con Elza brucia tutto e vi brucia tutti e due.

Gli anni passano, tanti ti voltano le spalle, arriva la grande decisione.

Garrincha  la Lazio

Segui Elza in tournée, nel 1970 sei anche in Italia dove passi quasi inosservato quando ti alleni con Chinaglia e giochi in qualche campetto, poi torni in Brasile, giochi ancora un po’ e poi, il 19 settembre 1973, 130.000 persone riempiono il Maracanà per la tua ultima partita, Brasile contro Resto del Mondo.
Forse è inutile che lo dica, lo sai bene anche tu, ma quel giorno all’ala destra sei già un fantasma.

Anni difficili

È vero, sono anni difficili, hai ragione.
Ti accade di tutto e tu non fai nulla per impedirlo, ti lasci andare a quella fame di vita che però, adesso, è lei a divorare te. Ti lasci con Elza, hai altre amanti, fai altri figli, bevi l’impossibile, spendi l’impossibile.

Dice che nel 1980 sfili su un carro al carnevale di Rio e infatti ci sono tante foto che ti ritraggono lì sopra, l’aria smarrita, lo sguardo perso a ricordare chissà cosa.
Garrincha, sai una cosa? Io non ci credo.
Garricha carnevale Rio 1980Io credo che non ci fossi tu su quel carro, ma che in quel grande gioco delle sembianze che è il Carnevale, lì sopra abbiano messo uno che ti somigliava.
E adesso visto che abbiamo fatto un patto, non mi smentire, non mi sbattere in faccia la verità che tanto non servirebbe a nulla.

Appuntamento con la vita

L’appuntamento con la vita arriva il 20 gennaio 1983.
Ha aspettato la vita, ma neanche tanto, hai solo 49 anni, ma è come se ne avessi consumati tre volte tanti.
Dice che gli ultimi giorni li hai passati bevendo e senza mangiare nulla, può darsi, ma in fondo saperlo con certezza non cambia nulla.
Quello che cambia è che tu che eri l’alegria du povo te ne sei andato da solo, senza allegria, senza nessuno.
E questo no, non è bello.

GarrinchaAllora Garrincha, sai una cosa?
Se non me lo vuoi dire che fai adesso, va bene così, anzi è meglio, anzi ho cambiato idea, lascia che ti dica io cosa fare.
Dai Garrincha, finisci di allacciare bene quegli scarpini ed entra in campo, io mi metto comodo e mi guardo la partita.

Marco Panella, (Roma 1963) giornalista, direttore editoriale di Sportmemory, curatore di mostre e festival culturali, esperto di heritage communication. Ha pubblicato "Il Cibo Immaginario. Pubblicità e immagini dell'Italia a tavola"(Artix 2015), "Pranzo di famiglia. Una storia italiana" (Artix 2016), "Fantascienza. 1950-1970 L'iconografia degli anni d'oro" (Artix 2016) il thriller nero "Tutto in una notte" (Robin 2019) e la raccolta di racconti "Di sport e di storie" (Sportmemory Edizioni 2021)

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