Ottorino Mancioli. Il ritorno

Disegnatore di rara bravura, medico, Ottorino Mancioli ha saputo dare allo sport un'estetica e un'eleganza mai superate. Un'estetica che l'artista Matteo Parenti ha ripreso in suo omaggio, tridimensionalizzandone i disegni e realizzando installazioni che hanno impreziosito i recenti Internazionali di Tennis d'Italia
 Roberto Amorosino
Ottorino Mancioli

Io conto di essere nato una seconda volta, d’essere davvero risorto, il giorno in cui ho messo piede a Roma” disse uno straniero che George Eliot definì l’ultimo uomo universale a camminare sulla terra. È tornato a vivere nella sua città l’artista Ottorino Mancioli, nato a Roma nell’aprile 1908. Sempre più sciatta e distratta, sempre più unica e santa, del disordine e delle campane al vespro. È stato uno smash, quello che chiamavamo schiacciata, colpo potente e diretto che parte da sopra la testa e con un movimento rapido verso il basso chiude il punto nel tennis. Gioco, partita, incontro ed applausi per Matteo Parenti, designer d’avanguardia, l’indiscusso protagonista che riporta a casa “il più completo ed appassionato disegnatore di sport” prendendo a prestito semplicità ed efficacia dall’amico parà Gianni Brera.  

Matteo Parenti  

Siamo nel parco del meraviglioso Foro Italico – dove storia e sport vanno d’amore e d’accordo dal 1932 – in occasione dell’edizione 2025 degli Internazionali d’Italia di Tennis, quelli di un altro ritorno di un altro numero uno. Siamo, per l’esattezza, nell’area ospitalità (“Lea”) del villaggio destinato ad accogliere VIP e pochi altri fortunati.  Siamo un cuore che batte davanti a quattro meravigliose installazioni che spiccano verso il cielo romano di maggio, mese per sempre di Maria ed ora di Leone. Sono quattro “statue” d’alluminio opera di Matteo Parenti, quarantenne veneziano, ispirate ad altrettanti disegni di Mancioli realizzati a cavallo tra gli anni venti e trenta del secolo scorso, anni di idee ferventi e sogni alti. Alti come gli atleti raffigurati da Matteo, due metri e passa di grazia e volontà. Opere tridimensionali omaggio al gioco del tennis. Sintesi di movimento, armonia e coordinazione del gesto, veri e propri inni al dinamismo.  

Mancioli - Parenti - il tennista

Le quattro opere mirabilmente riprodotte – o, meglio, esaltate – da Matteo Parenti hanno sempre un solo tennista in azione.

Nei disegni originali qualche volta si intravede la riga del campo, qualche volta lo sfondo fa capire dove siamo, ma al centro di tutto c’è l’atleta, la grazia dell’atleta, il gioco e lo slancio. C’è il Carpe Diem. Sono semplici tratti di matita ad evidenziare l’eleganza, la classe cristallina ed il rispetto per tutto e tutti: ambiente, avversario, soprattutto il lavoro per arrivare. Non so se è futuro ardito, espressionismo, deco’ o razionale, so che eè maledettamente bello e, per favore, ascoltami Matteo: prendi in considerazione anche i suoi disegni del rugby che la poesia credo può andare ancora più in alto. 

Mancioli - Parenti

Dei legami e delle differenze

Così spesso viene descritto Mancioli, il poliedrico. Medico e sportivo, uomo di mare e di cielo, futurista senza etichetta, italiano ma con pezzi di cuori lasciati in terra di Spagna e d’Africa accanto ai suoi fratelli. Ha attraversato la trasformazione della società italiana, defilato rispetto alle lotte di potere ed ai salotti, ma mai distaccato dalla vita vera, inseguendo la perfezione del movimento dell’atleta. financo dei colori della moda, altra perla italiana. Un intreccio di tradizione e ribellione che troviamo in tante opere, alcune note troppe dimenticate se non quando cancellate. La ferita più dolorosa è il murale (70 metri x 2) dedicato ai grandi dello sport nazionale nella vecchia sede del Tennis Parioli di viale Tiziano a Roma di cui non c’è più traccia, vittima dell’ignoranza e dell’incuria dominante. Quindici sezioni con un pezzo di muro significativo dedicato al tennis con i ritratti dei nostri campioni di bianco vestiti con il pullover a V rigato di rosso. De Stefani l’ambidestro, Sabadini, Balbi di Robecco. Dice bene, denunciando lo scempio e l’indifferenza nel suo “Il tennis nell’arte” (Mondadori, 2018), Gianni Clerici – il nostro enciclopedico scriba – “Mancioli aveva, a suo modo, inventato i murales”.

Ottorino Mancioli

Sulle spalle del gigante

Come Ezra Pound per Confucio, Matteo Parenti ha mirabilmente tradotto Mancioli. Nell’epoca che ancora ci avvolge, di emarginazione e rimozione, Matteo ha difeso la memoria. Ha piazzato a modo suo un colpo vincente, palla da una parte e avversario dall’altra. “Se ho visto più lontano, è stato perché sono stato in piedi sulle spalle di giganti” diceva Newton di Galileo. Eppure, nonostante il risultato, mi sembra si sia persa un’occasione, confinando le opere in uno spazio per pochi, quando la marea di appassionati attraversa il viale, tra Casa delle Armi e palazzina Valla, ignara di tanta bellezza. Sembra di capire che le opere siano destinate al circolo del tennis del Foro Italico, di sicuro una buona, prima rondine, ma restiamo ottimisti auspicando maggior promozione e desiderio di dare sempre più spazio alla memoria ed al talento. 

E visto che siamo a mani giunte

Il viale del Foro è lastricato dalle targhe della Walk of Fame che celebra i nomi dei nostri sportivi più significativi. C’è chi sa, sente un brivido lungo la schiena ed è ben attento a non calpestare la targa ricordo, c’è chi non ha idea di chi siano – cito, provocatoriamente a caso – Giovanni Raicevich, Ondina Valla e forse altre leggende come Primo Carnera da Sequals o Agostino Straulino da Lussinpiccolo. Ecco io vorrei che l’Italia onori, con questo piccolo riconoscimento, anche chi lo sport lo ha reso grande, eterno, con il racconto e qualsiasi altra forma d’arte e divulgazione della memoria. Sento la voce di Enrico Ameri la domenica pomeriggio e prima di Nicolò Carosio, il pigiar tasti tra nuvole di fumo e vino rosso di Gianni Brera e, sì vivaddio, i silenziosi disegni di Ottorino Mancioli

Addendum

A proposito, lo straniero di cui parla George Eliot è Johann Wolfgang von Goethe. Due che di bellezza, nell’arte e nella natura, potevano conversare per ore. Contagiando l’ascoltatore colto e l’infinita guarnigione inclita, travolgendo i preconcetti con il più definitivo 6-0 6-0. Alle parole, Matteo e Ottorino, preferiscono un’altra comunicazione con pari, anzi più immediata, efficacia. A noi solo il compito di tenere gli occhi ben aperti e ricordare che “nulla dies sine linea“. 

 

Roberto Amorosino romano di nascita, vive a Washington DC. Ha lavorato presso organismi internazionali nell'area risorse umane. Giornalista freelance, ha collaborato con Il Corriere dello Sport, varie federazioni sportive nazionali e pubblicazioni on line e non. Costantemente alla ricerca di storie di Italia ed italiani, soprattutto se conosciuti poco e male. "Venti di calcio" è la sua opera prima.

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