Io lo so perché mi mancherà Gigi Riva. Noi boomer siamo cresciuti a partitelle e ginocchia sbucciate. Giocavamo a pallone dove capitava, per strada, nei campetti incastonati nella citta che si allargava, rincorrevamo il Super Tele o il Super Santos e qualche volta anche il pallone di cuoio, quello che ci voleva lo spillone per gonfiarlo. Giocavamo con le Superga in tela blu, i mocassini e persino gli improbabili sandali estivi, ma chi di noi non ha urlato mentre smarcava e spintonava per arrivare a rete “...Rivaaa, Rivaaa, ecco Riva…tiro…goaaaallll!!!” e poi via, braccia al cielo proprio come fossimo lui. Proprio lui che nessuno di noi era, ma che tutti noi sognavamo di essere.
1969 e dintorni
Ero piccolo, un po’ troppo per ricordare. Di quella stagione 1969/70 non ricordo lo scudetto del Cagliari, ricordo la mia cartella rossa da prima elementare. Per me Gigi Riva non è stato il re dello scudetto sardo e direi neanche quello di Mexico ’70. Di Gigi Riva mi sono appropriato più o meno un paio d’anni dopo. Per me Gigi Riva si chiamava Andrea, sì. Andrea Mori per la precisione, che non era un calciatore, ma un mio compagno di classe delle elementari. Non l’ho mai più visto da allora, ad un certo punto girò voce che avesse cambiato città. Il fatto è che Andrea Mori tifava Cagliari. Un ragazzino di una scuola elementare di quella che allora era periferia romana che tifava Cagliari. Non aveva parenti sardi Andrea, ma lui aveva capito prima di tutti noi. Lui tifava Cagliari per Gigi Riva. Non l’ho più visto e non so cosa abbia fatto poi nella vita, ma vorrei dirgli che aveva ragione, faveva bene a tifare Gigi Riva e anche Cagliari.
Un calcio normale
Andrea, il mio amichetto Andrea, era fuori moda. Tifava per un calcio normale, il calcio che poi, crescendo, avremmo chiamato e rimpianto come romantico. Tifava per una squadra che non avrebbe mai più vinto uno scudetto e che se non fosse stato per Gigi Riva forse non avrebbe mai vinto. Era un calcio normale, un calcio con un campionato poteva ancora essere vinto da una squadra fuori dagli schemi, senza finanza, ma trainata da un campione, uno di quelli che nascono, nascevano, una volta ogni tanto. Un calcio giocato negli stadi senza copertura, figuriamoci se potevamo immaginare che saremmo finiti a guardare le partite da tribune con l’aria condizionata.
Rombo di Tuono
Campione Gigi Riva, uno che con il pallone faceva quello che voleva, Rombo di Tuono a detta di Gianni Brera che invece era uno che faceva quello che voleva con le parole, tanto da inventarsele proprio come il nome – non soprannome, per favore, nome, nome vero, magari da capo indiano di un’altra vita, ma non soprannome – dato a Gigi Riva.
Potente come pochi, lucido come pochi, silenzioso come pochi, un carattere spigoloso come le linee del viso, forte come quelle gambe che davano potenza e, sempre a detta di Brera “aravano il campo”.
Goal, gambe e miliardi
Lombardo di Leggiuno, Gigi Riva prima sgambetta nelle squadre locali, Laveno Mombello e Legnano, e poi arriva al Cagliari. È il 1963, aveva 19 anni. Con il Cagliari giocherà fino al 1977, ma è qui che rimarrà una vita. Sardo di adozione, cuore e carattere Gigi Riva amava la Sardegna diventata anche sua e amava la maglia, da calciatore prima, da tifoso poi. La maglia dello scudetto, soprattutto, quella bianca con i quattro mori e solo l’11 sulle spalle. Nessuno sponsor, nessun nome, neanche il suo che mica si usava prima scrivere il nome sulle spalle dei giocatori.
315 presenze e 165 goal con il Cagliari, 42 presenze e 35 goal con la Nazionale, uno Scudetto, l’oro degli europei ’68, l’argento di Mexico ’70, 2 gambe rotte e un’infinità di scudetti rifiutati, quelli che avrebbe conquistati se non avesse rifiutato il miliardo di lire per il trasferirsi alla Juventus.
Un miliardo del 1973 la generazione dell’euro non ha la più pallida idea di quanto tanto fosse. Gigi Riva lo sapeva bene, ma sapeva ancora meglio che la sua scelta di Cagliari non era in vendita.
Ecco, è per tutto questo che so che mi mancherà Gigi Riva anche se del Cagliari non sono mai stato
Mi mancherà perché ad Andrea Mori ogni tanto penso ancora, perché anche io ho smarcato con le ginocchia sbucciate sentendomi Gigi Riva, perché un miliardo nel 1973 valeva una montagna infinita di scatolette di soldatini dell’Atlantic e qualcuna in meno di quelle, più care, dell’Airfix.
Gigi Riva mi mancherà perché Rombo di Tuono non è il nome di un calciatore, ma un nome da grande capo indiano che sarebbe andato d’accordo con Aquila della Notte, alias Tex Willer, e con lo Spirito con la Scure, alias Zagor.
Nel mio pantheon personale ci sono tutti e tre.
Pantheon, già. Siete proprio sicuri che Rombo di Tuono non sia il nome di un dio?