Blakey Johnston. Surfista da record

Infezioni, disidratazione, ipotermia e squali sono alcune delle sfide che Blakey Johnson ha dovuto affrontare nelle acque di Cronulla Beach, Australia. Una grande passione, una buona causa e una promessa da mantenere per battere il record mondiale della più lunga sessione di surf. È così, con 40 ore e 660 onde, che Blakey è entrato nella storia.
Blakey Johnston

L’oceano di notte è una massa oscura che sembra seguire il respiro di qualche bestia marina nascosta sotto la superficie. Si muove, su e giù, con un ritmo che è quasi impossibile predire. Il suo fascino però risiede proprio lì, nel suo esigere di essere compreso e ascoltato.
Eppure, stanotte c’è qualcosa di diverso. Improvvisamente un brusio anticipa l’accendersi di potenti lampade che sembrano squarciare il silenzio che caratterizzava Cronulla Beach, Australia. Poco alla volta la spiaggia inizia ad affollarsi: persone dallo sguardo assonnato, giornalisti e ragazzi che cercano di mettersi mute da surf con passi ancora impacciati. Ecco che improvvisamente la folla si apre per lasciar passare una figura vestita di nero, forse l’eroe delle leggende pronto a domare quell’antica bestia che non ha smesso un attimo di ruggire.
L’uomo dalla folta barba rossa è Blake Johnston.
Blakey, così tutti lo chiamano, è qui per fare la storia.

Blakey Johnston

Hi, humans!

Blakey Johnston è molto conosciuto a Cronulla: 41 anni, soprannominato Forrest Jump, gestisce una scuola surf dove è solito portare anche i suoi due figli piccoli.
Stanotte però è da solo mentre si cosparge per la prima (e non sarà l’ultima) volta un cospicuo strato di crema solare prima di lasciarsi avvolgere dalle onde.
Il suo piano è semplice: infrangere il record per la più lunga sessione di surf di sempre, arrivando a circa quaranta ore consecutive con l’obiettivo di raccogliere fondi e sensibilizzare la cura della salute mentale.
Per Blakey Johnston la sfida è personale: suo padre Wayne si è tolto la vita dieci anni fa e, quando era ancora piccolo ma già gareggiava per la Quicksilver, uno degli atleti più popolari dell’azienda, Andrew Murphy, ha subito la stessa sorte. “Mi ha segnato nel profondo” ha rivelato Johnston, “non sono gentile nei miei confronti. Mi dico di non aver alcuna speranza in quello che sto facendo. Sono molto cattivo verso me stesso. Faccio questo tipo di sfide per dimostrarmi che invece sono degno ed è questa la battaglia che voglio portare avanti”.
Ed ecco che, per il decimo anniversario della morte del padre, ha deciso di fare qualcosa di grande, qualcosa che davvero mettesse a tacere quelle voci nella sua testa. Da sportivo quale è, all’inizio aveva pensato a una corsa di seicento miglia fino a Queensland ma poi, dopo aver scoperto che il precedente record di surf mantenuto dal sudafricano Josh Elsin fosse di “sole” trenta ore con un ammontare di 455 onde prese, ha decisamente cambiato idea.

Blakey Johnston

Surfare con la gente che amo e fare la differenza

Con la determinazione come unica spinta nelle vene, Blakey Johnston si immerge finalmente fra le onde illuminate a giorno dell’Australia e così inizia la sua personale avventura. Le ore si susseguono veloci, intervallate da brevi pause (sempre con i piedi in acqua) per accertamenti medici e pochi sorsi di energy drinks. Il trucco è non cedere mai alla stanchezza, fermarsi solo per rimettere la crema solare e ripartire. Bracciata dopo bracciata, estasiato ogni volta che un amico, un allievo della scuola surf o semplicemente un appassionato decide di andare con lui in acqua a fargli compagnia. Le mani si intrecciano, parole di supporto vengono sussurrate ma in fondo quello che rimane è solo Blakey e il grande mostro marino che, dopo ore in sua compagnia, sembra aver deciso di tifare anch’egli per lui.
Verso le sette di mattina il precedente record ormai è un ricordo, sono passate le trenta ore e il neo Poseidone emerge, parzialmente, dalle acque per ringraziare tuti i presenti.
Tutti vi meritate di sentirvi pazzeschi” esclama prima di tornare in acqua. Mancano ancora dieci ore. Blakey sa di essere stanco, ma tornare sulla tavola accompagnato da tutta la sua famiglia non ha prezzo. Sua moglie e i due figli si avvicinano a lui, le tavole cozzano fra di loro e l’abbraccio che li cattura tutti insieme genera un applauso assordante dalla riva.

Blakey Johnston

Non ho paura

Ovviamente, non mancano i momenti difficili. Quaranta ore rimangono tante, distese fra ore di luce accecante e buio che non permette mai di scaldarsi del tutto. Blakey nei momenti più difficili cerca di ripetersi perché lo stia facendo, con le braccia pesanti e le mani ormai grinzose.
Con la mente vai dappertutto…penso a rendere orgoglioso me stesso e la mia famiglia. Mi sono imposto di non farne un dramma se altre persone possono correre più lontano e più a lungo di me. Ma è spiegare. Un minuto prima ti senti invincibile, quello dopo sei in lacrime. È come avere un disturbo bipolare a breve termine. È una situazione terribilmente altalenante”, ha confidato poi lui.
Eppure, quando anche la seconda alba dell’impresa ha finito di tingere di rosa l’acqua, verso le sette del mattino Blakey cavalca l’ultima onda della sua impresa, superando quota 660.

“Mi sento un po’ bruciato”

Esce finalmente dall’oceano appena i tabelloni segnano che l’impresa ha raggiunto quota 330 mila dollari in beneficenza. Blakey, preso in braccio da amici e da suo fratello, esclama “Mi sento un po’ bruciato”.
La storia è stata scritta, l’impresa portata a termine.
Blakey Johnston probabilmente non ha sconfitto del tutto i suoi mostri, ma ha saputo metterli a tacere, disegnando con la sua tavola un destino in cui chiunque (sportivo o meno) possa rivedersi.
Che il mare ti possa sempre essere da casa Blakey.

 

Giulia Colasante si affaccia al mondo nell'ultimo anno del secolo scorso, in tempo per sentirne raccontare in diretta, abbastanza per rimanerne incuriosita. Laureata in Filosofia all'Università di Roma Tre, per tentare di capire il futuro che l'attende studia Scienze Cognitive della Comunicazione e dell'Azione. Che attende lei, ma anche un po' tutti gli altri.

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