I pionieri e l’amore sconfinato per il calcio.
Noi italiani prendiamo a modello, da sempre e come tutti d’altronde, il calcio d’oltremanica.
Loro, gli inglesi, stravedono per uno dei nostri padri della Patria. Storia o leggenda che sia, qui si parla d’amore e di maglie sudate.
Belle solo quando sudate. Vincenti, ma questo conta meno, anche se la Juventus, per questo, non è seconda a nessuno.
Da Nottingham a Torino e ritorno. Molto più di novanta minuti, molto più di un gioco.
Affari tuoi, Juventus
Una mosca. Chi non avrebbe voluto essere una mosca in talune circostanze del proprio tempo o di ogni tempo – della storia dell’uomo – per vedere come effettivamente sono andate le cose. Per vedere se la verità è stata manipolata o più semplicemente per vedere la faccia dei protagonisti in certe situazioni, che la storia mica sempre la racconta giusta.
Per me, di grandi passioni e poche pretese, non avrebbe avuto prezzo poter ronzare attorno ai dirigenti del club FC Juventus quando, immagino emozionatissimi, si trovarono davanti il pacco arrivato puntuale da Nottingham per soddisfare la richiesta di nuove maglie da gioco, anzi giuoco come si scriveva allora, per sostituire il rosanero (maglia rosa papillon nero) adottato nei primi sei anni di attività pedatoria dalla prima squadra di Torino.
L’identità non è mai un vezzo
Una nuova maglia è non solo vezzo, ma esigenza vera e propria di una divisa che resista ai frequenti lavaggi, che duri per un po’, senza sbiadire come quel pink che strappa sorrisi sotto i baffi e non spaventa l’avversario.
Se ne occupa Tom Savage, il marchese che marchese non era ma sapeva far goal, con la Juventus da due anni. Lui viene da Lenton, quartiere della città consegnata a noi da chi sapeva come fare per rubare ai ricchi e donare ai poveri.
Tom Savage non ruba, chiede ai suoi vecchi amici di mandare un kit completo del Nottingham Forest, squadra di vertice a livello nazionale con già 38 anni alle spalle. Maglia rossa e forte influenza italiana, ma ci arriviamo più avanti. Una storia alla volta.
Tom Savage, tutto orgoglioso, apre il pacco, pollice ed indice che si toccano per tirar fuori la prima maglia.
È a strambe strisce bianco e nere verticali.
Nessuno capisce, qualcuno sbraita, ma lui sa.
E prova a spiegare con un filo di voce.
È una muta del Notts County, l’altra squadra di Nottingham.
Si affretta ad aggiungere “è il più vecchio club inglese, 1862, tra i fondatori della Football League, 1888“.
Nasce così, per caso, un legame di fratelli diversi che solo il tifoso, quello vero, può apprezzare fino in fondo, fino alla fine viene da dire.
Oggi il Notts County è impantanato nella National League, la quinta fascia del calcio inglese, un gradino sotto la League Two, equivalente alla nostra D, ma ben più competitiva, non fosse altro che per il numero più ridotto di squadre.
Oggi i tifosi del Notts County cantano “it’s like watching Juve” quanto i magpies (gazze non zebre) vincono ben giocando.
Si spiega così l’8 settembre 2011 quando i due club si affrontano, bellissima idea, per la partita inaugurale dello Stadium (Luca Toni, 1-1 finale) dei nove di fila.
Amore a prima vista
Nessuna intenzione di rispedire le maglie indietro né di sostituirle quando logore.
Il sigillo definitivo è due anni dopo (1905) con il primo titolo di campioni d’Italia per i ragazzi del D’Azeglio. C’è chi racconta che il buon Tom sapeva tutto e che avesse espressamente chiesto ai suoi amici del Notts di spedire le maglie, ma a noi – mosche bianconere – piace pensare a quel momento di meravigliosa incredulità.
E pensare che fino a pochi anni prima il Notts County era marrone e blu…
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