Il portiere rimane sempre un ruolo particolare e una volta, nei “polverosi campi” di periferia non era facile giocare in porta, anzi era quasi “eroico”.
Ti allenavi sulla terra e spesso la terra te la mangiavi. Poi, quando li vedevi col preparatore, quasi li compativi per quegli allenamenti che sembravano torture. Uno per tutti: schiena a terra, il preparatore gli manteneva le gambe rigide sedendosi sopra e loro, solo arcuandosi con la forza della schiena, arrivavano ad altezze che non avresti mai creduto possibile. E poi i campi, quei campi. I campi erano tutto “breccole, buche e serci” e per quanto il portiere avesse maglia e calzoncini imbottiti, la terra era dura e quando pioveva era ancora peggio. Di smettere non se ne parlava, “pozzanghere” e palloni galleggianti erano il male minore; dopo sarebbe venuta la “fanga” che non ti si toglieva più di dosso e dopo ancor, quando si seccava, il campo era se possibile ancora più duro di prima.
I coraggiosi
Così li ho sempre chiamati. Coraggiosi, per me questo sono i portieri e per questo li ho sempre ammirati.
Per questo e per altro ancora, io voglio bene ad Alfredo, amico mio che è inutile a starne a dire il cognome; lui è prima di tutto una bella persona e poi è stato un grande portiere. Vedete, ci vuole coraggio per uscire dai pali, volare in alto sopra le teste o tuffarsi in mezzo a una selva di gambe e piedi scarpinati. Ancora di più ce ne vuole a uscire uno contro uno, quando l’altro corre come un indemoniato verso di te e tu e lui siete ultimi uomini a duello per l’eternità. E poi, pensateci un momento; una punta può sbagliare anche tre gol, ma se sbaglia un portiere gli spettatori automaticamente si girano verso i suoi genitori con “aria commiserevole”, allora come adesso.
Alfredo, lui
Alfredo, l’amico mio, ha una sua storia. Esordì in Eccellenza, con la mitica squadra del Divino Amore di mr. Mosciatti che non aveva nemmeno 18 anni e tutti gli addetti gli pronosticavano una carriera importante. Purtroppo non andò così. Due moldavi ubriachi, contromano, causarono un incidente automobilistico nel quale rimasero coinvolti lui e il padre. Alfredo entrò in coma dal quale ne uscì dopo mesi. Un paio di anni più tardi si presentò al Moscarelli che era un po’ ingrassato e un po’ giù. Lo ricordo quel giorno. Ricordo quando mi disse “Me fai ricomincia’, Ne’?” potevo dirgli di no? Anche se mi confessò che, quando cambiava tempo, si buttava giù flaconi di Novalgina. Non gocce, no. Flaconi.
Alfredo ci ha messo testa e passione, grinta e denti stretti. Alfredo è ritornato il grande portiere che era, ma il treno delle grandi occasioni era passato e perso. Posso però dire che con me ha fatto la differenza che passa tra ra un campionato anonimo e uno vinto.
Matti, mezzi matti e portieri
Prima di un calcio di punizione alla sua barriera, quella che aveva posizionato, Alfredo urlava a “brutto muso“, era estremamente chiaro e tutti ci credevano quando diceva “si pio go’ perché v’aprite … io ve meno e nun sto a scherzà“. Non ve l’ho detto, ma Alfredo ha un fisico importante, come la sua faccia; se ti dice così ci credi e infatti la barriera non si è mai aperta. Nel nostro ambiente c’è un luogo comune che, tra i tanti, resiste nel tempo. “Er Portiere deve esse’ mezzo-matto” così si dice e sì, io sono convinto che sia proprio così perché per gettarsi tra i piedi di un attaccante in corsa ci vuole coraggio e anche un pizzico di follia.
La domanda, a questo punto, è d’obbligo.
Quando si diventa portiere?
Ad Alfredo lo chiedono spesso, soprattutto i bambini e lui, allora, si mette lì paziente e inizia a parlare. Lui parla e loro ascoltano. E ascolto anche io. “Fare il portiere è una cosa, essere portiere è tutt’altra” esordisce sempre così Alfredo. Potrebbe finire lì, ma invece non si ferma più.
“All’inizio tutti proviamo a fare il portiere. Ci mettiamo in porta e timidamente iniziamo a prendere confidenza con questo ruolo, che molti rifiutano di fare adducendo infinite scuse. Giocare come ultimo baluardo non è una scelta semplice, richiede coraggio e grandissime responsabilità, però nel comune pensiero collettivo aleggia sempre quel detto ignobile, che in porta ci va il più scarso o il più grassottello. Tutto inizia sempre per gioco come è successo anche a me e forse anche un po’ per caso. Un giorno ti accorgi che vuoi provare a spiccare il volo, consapevole che cadrai, ma ti senti pronto a farlo. In questo momento decidi di prendere una decisione, quella di fare il portiere.
Fare il portiere significa arrivare al campo, allenarsi sotto il profilo atletico e sull’agilità per migliorare i tempi di reattività. Equivale a togliere sempre qualcosa di pesante da noi stessi, togliere un passo, un decimo di secondo, togliere le paure e i pensieri che ci possono distrarre e far ragionare troppo. Un portiere deve essere attento, accorto, ma soprattutto istintivo. Quando riuscirai ad alleggerirti di tutto, capirai cosa significa essere un portiere. Essere un portiere è uno stato mentale che ci appartiene dal momento in cui viviamo per questo ruolo. In tanti decidono di mettersi alla prova, tentando di giocare in porta, ma soltanto alcuni ci restano e diventano portieri.
Questa è la differenza tra fare il portiere ed esserlo.”
Come si fa a non volere bene a uno così?
Lunga vita al calcio…