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Il botteghino. L’altare smarrito del calcio

Sole, pioggia, freddo, le file di prima mattina e quelle dell'ultimo minuto, la frenesia, la paura di arrivare e non trovare più nulla. Il botteghino è un altare smarrito del tifo e del calcio, proprio come quei biglietti che al tempo trattavamo come fossero un'ostia consacrata e che dopo molti di noi hanno conservato con la cura di una reliquia.
Roma

6,30×12…No! Non è il formato di una vecchia foto e neanche un biglietto di auguri, uno di quei cartoncini colorati che tanti anni fa riempivamo di parole. È il formato dei vecchi biglietti d’ingresso allo stadio, quelli che si acquistavano al botteghino in quell’angolo fuori l’Olimpico tra il settore della Curva Sud e i vecchi “distinti sud”. Tutti attaccati alla fede, tutti rigorosamente in fila in attesa del proprio turno, la domenica mattina, qualche ora prima dell’apertura dei cancelli. Oggi mi ritrovo in casa una specie di album, come quello mitico delle figurine Panini, diviso per campionati, con vecchi biglietti, intatti, alcuni quasi nuovi. Una splendida collezione di tagliandi colorati? No, una splendida collezione di ricordi che ognuno di quei rettangoli di carta si porta dietro, reliquie di una passione che si chiama Roma.

Marzo ’92

Tra i tanti, ne ho preso uno a caso: 29 marzo 1992, curva sud ingresso 15-21, per un Roma-Milan finita 1-1. Quanta passione su quegli spalti e quanta rabbia nel vedere una grande squadra che arrancava per cercare di vincere la partita contro il Milan di Mister Fabio Capello, imbottito di campioni. I rossoneri erano andati subito in vantaggio, sembrava “quasi” fatta per i lombardi fino a quando un mito della curva, Ruggero Rizzitelli, “Rizzigol” siglava, nel secondo tempo, il pareggio per i giallorossi. Lo stadio era gremito, allora non esisteva il sold out, noi vecchi curvaroli eravamo tutti lì al proprio posto a fare da dodicesimo in campo e forse siamo stati proprio noi a spingere quel pallone in fondo alla rete.

Roma - Milan

Obrigado

Un biglietto giallo, di lato il marchio Barilla, sponsor ufficiale che ha accompagnato la Roma per molti anni. E qui va aperta una parentesi di storia romana e romanista nel ricordo di quella parola tutta brasiliana che ne introduceva il nome: “Obrigado Barilla”, a pronunciarla Paulo Roberto Falcao da Porto Alegre. Facile da dire e da ricordare, di certo una delle poche parole brasiliane che i tifosi della Roma hanno immediatamente imparato. Per un periodo acquistando un certo quantitativo di pasta ti veniva anche regalata la maglia della Roma con il numero cinque sulla schiena, quel numero cinque che cambiò l’immagine giallorossa. Erano i tempi del tifo che scorreva nelle vene al ritmo di cori urlati a squarciagola e con le mani impegnate a a far rimbombare i tamburi.

Giugno ‘93

Dal campionato passiamo a un altro bellissimo ricordo, anche se purtroppo per noi siamo stati solo spettatori paganti di una Coppa Italia alzata al cielo da un’altra squadra, il Torino.
Era il 19 giugno del 1993, all’Olimpico si giocava la partita di ritorno della finale di Coppa tra la Roma e i granata. L’andata era finita male, perdemmo con un secco tre a zero, ma nulla era perduto se quel pallone calciato da Capitan Giannini avesse avuto una traiettoria solo di qualche centimetro in più verso la parte interna della porta sotto la curva sud. Non andò così, il pallone accarezzò maledettamente il palo e la disperazione del Capitano la ritrovi ancora sulla foto che ritrae il volto del Principe pieno di rabbia. E pensare che aveva tirato ben tre rigori e tutti e tre andati a segno. Al povero Marchegiani, allora portiere del Torino non restava altro che raccogliere il pallone in fondo alla rete. Qualche anno dopo si riprese la sua rivincita parando un rigore proprio a Giannini e sempre sotto la curva sud, in quel tempo però era il portiere della componente calcistica che si richiama alla regione. Quell’episodio mandò su tutte le furie l’allora Presidente Franco Sensi segnando, a mio parere, la fine di un rapporto e l’inizio del declino di Capitan Giannini come calciatore e capitano della Roma.

Roma-Torino

Un biglietto da 5 a 2

Tornando alla storia del biglietto, quella partita finì stranamente cinque a due per noi, ma non servì a niente. Quel largo punteggio in virtù della regola dei gol fuori casa che valevano il doppio decretò la vittoria della compagine torinese. Il biglietto, stavolta di colore blu, oltre alla Barilla ancora presente, riportava, nel retro un’altra onnipresente compagna dei colori giallorossi, la banca della capitale, gruppo Cassa di Risparmio di Roma.

All’olimpico in trasferta

Per concludere questa prima parte di ricordi legati ai tagliandi, arriviamo ora a un biglietto comprato in qualità di ospite. Cambiano i toni di colore, prevalgono i colori della squadra ospitante, il nome è rigorosamente più grande rispetto alla Roma così come anche il formato. Tra le mani mi ritrovo un tagliando (ostile) della squadra biancoceleste, un derby che ha segnato non solo la storia del calcio capitolino, ma anche un disgraziato evento che ha segnato per sempre le sorti di un calciatore.

Dicembre 2000

È il 17 dicembre 2000. Si gioca in notturna un derby tirato; la Lazio era campione d’Italia, noi invece eravamo di quel campionato i veri protagonisti lanciati verso una vittoria finale che strappava dalla maglia avversaria, la Lazio, lo scudetto. Il biglietto riporta la fila 61, quella in alto, ma la gerarchia di curva recita che per i protagonisti tifosi della Roma, spetta di diritto il solito posto, quello di tutte le partite, e nessuno lo toglie a chi per tanti anni è stato in curva. Non è una violenza e nemmeno una predominanza assoluta, non si è proprietari di quel seggiolino, spetta a te e basta! Quello che ricordo bene sono due episodi, diversi nella forma ma splendidamente storici.

Lazio - Roma

I due episodi del derby

Il primo vede protagonista Cafù che si divertì a fare ben tre sombreri al giocatore Nedved, allora centrocampista dei biancocelesti.
Il secondo è ben presente nella memoria dei tifosi giallorossi. Secondo tempo, minuto 70°, cross di Cafù, Zanetti colpisce di testa indirizzando la palla verso la porta, Peruzzi smanaccia, il pallone rocambola, colpisce Paolo Negro e s’insacca nella porta laziale…
Il resto è una bolgia madornale sugli spalti della curva, baci e abbracci tra tifosi, gioia immensa. L’autorete sancisce la vittoria della Roma, Negro diventa un nostro, ancora oggi, beniamino, questo è il calcio!
Il biglietto, una sacra reliquia.

(continua…)

 

 

 

Stefano Trippetta 66 anni, romano. Scrittore non per vocazione ma solo per passione rivolta alla città che fortunatamente mi ha voluto, scelto e cresciuto. Attraverso il filtro di una buona memoria sono riuscito a dividere questa grande madre: da una parte la Roma del cuore, la Lupa, tatuata con orgoglio; dall'altra quella razionale legata a ogni tipo di cambiamento, atteggiamento, costume.

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