Hugo Pratt non ne ha mai scritto, ma sono sicuro che non sia un azzardo pensare che tra il maestro della letteratura disegnata ed Helenio Herrera ci sia una certa affinità ideale.
Nel paradigma di vita che nel 1910 vede Helenio Herrera nascere a Buenos Aires e morire nel 1997 a Venezia nel suo palazzetto di Rialto, a guardar bene c’è una grande impronta prattiana
Argentina, vita avventurosa e amore per Venezia ricorrono nella vita di tutti e due, e all’esoterico Pratt il soprannome di Mago guadagnato da Herrera sui campi di calcio avrà fatto sicuramente sorridere.
Hugo Pratt amava e giocava il rugby, ma era consapevole della portata profonda e rituale del calcio, ne realizzò un portfolio e si era addentrato anche nelle storie del Tlachtli scritte da Hernan Cortes, il più famoso tra i conquistadores, che aveva descritto con dovizia di particolari il gioco che i nativi praticavano rincorrendo, appunto, una palla.
Anche se calcistica, la vita di Helenio è stata un’avventura, proprio come quella di Corto Maltese, l’alter ego di Hugo che si muoveva nei territori avventurosi degli archetipi e insondabili dell’esoterismo, e guarda caso proprio Mago è il nome con cui Helenio è stato consegnato alla storia del calcio.
Avventurosa la vita di Helenio Herrera.
Nato povero da famiglia andalusa emigrata in Argentina, Helenio diventa presto emigrato di ritorno con tappa in Marocco e conosce da subito la rabbia, la rivalsa e la voglia di conquistare il mondo.
A otto anni, incredibilmente, Helenio tira di boxe sul ring e, in veri match, inizia a prendere a pugni la sorte.
Il calcio arriva dopo, ma lui ci mette dentro tutto quello che ha.
Nel 1925, a quindici anni, sbarca il lunario facendo lavori di fatica, ma gioca anche in prima squadra con il Racing di Casablanca; gioca e si fa notare.
Nel 1929, rocambolescamente arriva a giocare a Parigi con il Club Français.
In Francia cambierà diverse squadre: è un inizio di carriera all’insegna della sregolatezza e sarà cosi ancora a lungo fino a quando, da mediocre giocatore avido di vita, nel 1944, inizia ad allenare.
Nel 1948 approda in Spagna; è ingaggiato dal Real Valladolid, ma è solo una tappa e nel 1949 passa all’Atlético Madrid.
È così che diventa il Mago
Helenio vince due campionati con l’Atlético Madrid.
Con il Barcellona ne vince altri due ai quali aggiunge una Coppa di Spagna e una Coppa delle Fiere.
Il ciclo spagnolo si chiude nel 1960 quando Angelo Moratti lo ingaggia come allenatore dell’Inter ed è un’apoteosi: vince tre scudetti, per due volte la Coppa dei Campioni e per altre due la Coppa Intercontinentale.
Nel 1968 passa alla Roma e nei cinque anni in cui la allenerà vincerà una Coppa Italia e una Coppa Anglo Italiana.
La carriera si chiude con un ulteriore passaggio all’Inter, una consulenza tecnica con il Rimini e un ingaggio finale con il Barcellona.
Dopo il calcio dal vivo, a lungo Helenio lo commenterà in televisione ma, di fatto, il calcio per lui sarà sempre quello della rivalsa, della tenace e meticolosa ricerca della vittoria
Meticolosa perché Helenio era famoso anche per la sua abitudine a prendere appunti e lo faceva sempre, così in allenamento come in partita.
E anche in questo ricorre la similitudine con Hugo Pratt, cresciuto con la nonna che da bambino lo invitava a disegnare quello che vedeva.
La normalità del successo
Negli anni sessanta Herrera era all’apice del successo e il suo mito fortissimo, eppure l’illustrazione de L’Intrepido, rompe l’aurea e ce lo restituisce in uno scenario di vita familiare.
La scena è quella idealizzata della Milano del boom economico; sullo sfondo fabbriche e cantieri e, nel mezzo di palazzi in costruzione o appena edificati, in uno sterrato, anzi un pratone come si chiamavano allora, un campetto improvvisato vede il Mago giocare con il figlio Helenio junior e i suoi amici.
La porta, vale la pena di notare, è quella segnata da una pila di libri e da una cartella a far da pali, dove tanti di noi boomer hanno giocato.
La normalità del Mago è restituita così da una scena ideale nella quale, al tempo, si son riconosciuti tutti, icona di un successo che guardava ancora alle persone e non solo alla loro rappresentazione mediatica.