Dunque, non tutti sanno che per la realizzazione del quartiere Ina Case al Tuscolano contribuirono grandi architetti come De Renzi, Muratori e Libera. Una piccola preziosità che, ancora oggi, porta nel quartiere giovani studenti di architettura a vedere da vicino un “quartiere a misura d’uomo”. La zona dove sorse era detta Cecafumo perché essendo prima abitata quasi esclusivamente da pastori soliti ad accendere fuochi, la zona era spesso pervasa da un fumo acre e accecante. Appunto.
Questa è la storia “romantica” del nome, come quella che nella zona Quadraro c’erano dei fabbricanti di botti che per essiccare le doghe lo facevano col fumo. La realtà, come al solito, è meno bella. All’inizio di via Lucio Sestio, davanti la Cappellina dove ora c’è un Consultorio, prima-prima quel vecchio edificio che si intravede era in realtà una Centrale elettrica a carbone che alimentava gli Studios di Cinecittà e il “tranvetto azzurro” che ci arrivava e che emetteva, per sua natura, un fumo denso, nero e “accecafumante”. Questo per introdurre il quartiere, ma un quartiere è anche altro. Un quartiere è persone. A volte persone speciali come Don Paolo Rossi.
Un prete di periferia
Nel contesto sociale di Cecafumo ad un certo punto esplose la figura di un giovane vice parroco, Don Paolo Rossi che fu decisivo per lo sviluppo culturale, fisico e spirituale dei giovani e di tutto il quartiere. Data la Sua “abbondante” mole (tanto mi perdonerà), meglio non dire che sia piovuto dal Cielo, ma invece fu proprio questo che accadde. Nella appena ultimata Casa delle Suore dell’Assunzione di via Viviani e dal suo “lussuoso” bilocale di 12 metri quadri scarsi messo a disposizione da Don Paolo Rossi, nasce uno sforzo sociale che porterà alla realizzazione di un campo sportivo, di un salone giochi con ping-pong, biliardini, biliardo e di un giardino per l’infanzia. Il tutto, ovviamente, a corredo della Catechesi propria di una Parrocchia.
Il calcio di Cecafumo
I primi tornei di calcio sono iniziati così. Le squadre si formavano nei vari cortili, strapieni di “ragazzetti”, e prendevano il cognome di chi aveva il coraggio di formarle, ad esempio Martinelli, Rossi o Bianchi. Insomma, forse più che squadre, grandi famiglie dove sono nate amicizie spesso durate una vita. Le tenute da gioco erano rimediate casa per casa. In pratica si giocava con quello che si trovava; gli scarpini non se li poteva permettere quasi nessuno e allora si giocava, mi dovete credere, con gli “scarponi militari de papà”.
I palloni erano altra storia da brividi. I palloni di cuoio avevano la camera d’aria interna, tipo bicicletta per capirci, tenuta dentro da un vero e proprio laccio. Aggiungete pioggia a piacere e capirete perché nessuno a Cecafumo, almeno nella mia generazione, era forte di testa. Il colmo dei colmi fu però quando i palloni iniziarono a rovinarsi. Il guardiano del campo, il mitico sor Zulian – e anche in questo caso vi prego di credermi – li dipinse con la cementite. In pratica il pallone era diventato un’arma impropria. Tutto questo sotto oculata regia e – è proprio il caso di dirlo – benedizione di Don Paolo Rossi.
Ricchi premi e cotillons
Per i vincitori del torneo c’erano premi ambiti. Impossibile dimenticare il trofeo dei cento formaggini stantii, supportato da altrettanta cioccolata, stantia anche quella naturalmente. Badate bene, stantia non era la marca. Sull’incarto c’era scritto che erano generosi doni del popolo americano che a noi arrivavano tramite la Pontificia Opera Assistenza. Un altro premio era una scatola di biscotti Fidesini; non erano duri, erano di marmo! Naturalmente, anche i biscotti avevano la stessa generosa provenienza a stelle e strisce e la stessa pontificia benedizione.
Aurora Tuscolano
Ora tutto questo farà sorridere, ma non potete capire quanto di tutto questo eravamo contenti noi. Avevamo poco e niente, eppure avevamo tutto. Non solo, ma fu proprio da quello spirito – forse persino Santo – e da quei tornei che si mise in moto un movimento sportivo spontaneo dal quale nacque la nostra prima società sportiva: l’Aurora Tuscolano, di chiara ispirazione clericale.
Don Paolo Rossi
Don Paolo morì d’infarto il primo gennaio 1974, non aveva nemmeno 50 anni. Mi viene da pensare che se avesse potuto scegliere come morire, avrebbe scelto così. Don Paolo è morto come era vissuto. È morto mentre celebrava la Santa Messa. Al suo funerale c’era tutto Cecafumo e tutti, veramente tutti, avevamo le lacrime agli occhi.
E poi c’è un’altra cosa: io a Don Paolo ci penso ancora.