Geniale.
Quasi tutto quello che accadeva per strada per ingannare il tempo e divertirsi era geniale.
Geniale, perché come altro puoi definire la corsa dei carruoccioli?
È il 24 giugno del 1956 e Riccardo Carbone, quando scatta questa fotografia, è al Vomero.
Vomero, un cuore di Napoli
La corsa dei carruoccioli era un evento vero al quale tutti si preparavano; meccanici improvvisati, che costruivano l’oggetto del desiderio recuperando sapientemente quello che si trovava, così da farlo essere quanto più simile a un vero e proprio kart; piloti di riporto, che in quella stagione di vita e in quelle discese si sentivano tutti, anzi erano, come Nino Farina o Alberto Ascari; la città, quella fatta di parenti, amici, sodali o perfetti sconosciuti che si assiepavano dietro le transenne per assistere allo spettacolo e tifare e urlare come se ogni grido potesse far andare più veloci.
Cornice e cuore di questo spettacolo che gli scatti di Riccardo Carbone fanno sopravvivere al tempo, il Vomero, con le sue discese e le sue curve.
Geniale
E pare ancora di vederle quelle mani che animano una tavola di legno con due assi, ciascuno con una coppia di ruote, fisse quelle posteriori e girevoli comandate da uno spago o da un manubrio improvvisato quelle anteriori, dove le ruote erano di legno tornito che solo nelle versioni più dotate erano costituite da cuscinetti a sfera.
Esoterico
Perché quello a cui le mani lavoravano era una vera Opera con i suoi segreti, una sorta di trasformazione alchemica, un processo simbolico proprio come quello di Pinocchio che da burattino di legno affronta le sue prove iniziatiche e solo alla fine delle quali si trasforma in bambino, vera anima pulsante che nasce da natura morta.

Circense
Perché quello che accadeva sotto gli occhi della folla era spettacolo puro che arrivava fino al rischio dell’imponderabile di cui però nessuno si occupava e si preoccupava, perché non valeva la pena, perché quello che valeva era l’attimo, quello che valeva era lanciarsi e lasciarsi andare.
Irripetibile
Come l’emozione e forse il fremito e magari anche la paura del secondo, di chi stava dietro e che doveva bilanciare con il corpo traiettoria e velocità, scommettendo sulla sorte buona, ma anche su coraggio, destrezza, sguardo fulmineo in un’assenza di pensiero che si chiama istinto.
Un gioco di strada
La corsa dei carruoccioli era un gioco di strada, essenza dello sport, quindi, perché ogni sport è nato allo stato brado, per strada, come gioco, come sfida prima di diventare competizione.
Un gioco di strada perso nella memoria, certamente.
Ma probabilmente aveva ragione Jacques Maritain quando nelle sue Riflessioni sulla vita eterna scrive che nulla è perduto di ciò che è stato fatto, tutto è canto e poesia.
La fotografia di Riccardo Carbone ce lo ricorda anche oggi.