Non è stato bello, di più.
La cortina di fumo che aleggia nei sogni si era disvelata.
È stato incontrollabile perché non avevamo mai visto così nitidamente.
Ci credevamo perché era tutto possibile, perché era stato possibile svettare in mezzo all’aria a pochi minuti dalla fine e infilarla alle spalle di Buffon.
Sotto la loro curva. A casa loro.
Ci credevamo anche razionalmente, per questo avevamo paura e ragionevole sicurezza al contempo.
Perché un calcio così e 91 punti nessuno di noi li aveva mai visti.
Mi direte “vabbè ma conta vincere (verissimo! ndr), ancora stai a pensare a ciò che sarebbe potuto essere e non è stato?”.
Certo. Ma è stata una delle emozioni più forti della mia vita.
Quella calcistica sicuramente.
Perché chi ha questa malattia non può farne a meno…perché non ricordo nulla da dopo il gol in poi eccetto mio padre e mio fratello addosso a me, per terra e senza voce; perché chiamai il mio amico per andare a Capodichino nel cuore della notte e perché per 48 ore non ho lavorato, non ho pensato ad altro, non ho fatto nient’altro che rivedere il 26 che la insaccava.
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