Ci sono alcune cose nella vita che richiedono abilità naturali, lavoro di squadra e mesi di dedizione; gli sport sono un buon esempio. Ma quando queste attività richiedono l’arrampicarsi su persone per poi, a propria volta, attendere che altre si posizionino sulle tue spalle, ecco che termini come “pratica” e “spirito di gruppo” diventano fondamentali.
È il caso del Dahi Handi, rito tradizionale indiano associato alle festività dedicate alla nascita del dio Krishna. L’evento si svolge solitamente o in agosto o in settembre, coinvolge una moltitudine di persone e ha trovato una sua versione prettamente sportiva: il Jod Ke Tod.
La tradizione
Rituale come tutto ciò che attiene al sacro, la tradizione vuole che il Dahi Handi raffiguri il momento della vita del giovane dio in cui, salendo sulle spalle dei suoi amici, tentò di rubare del burro.
In effetti è proprio un gruppo di persone – uomini, donne o bambini che siano – che ancora oggi si cimenta nella prova. Allo scoccare del tempo, due squadre si affrettano a creare una piramide umana composta solitamente da meno di nove livelli che poi dovrà, con l’ultimo partecipante in cima, tentare di rompere un vaso di terracotta ricolmo di vernice.
La competizione
Verso gli anni 2000 qualcuno inizia a porre una questione: perché non rendere il Dahi Handi, già impegnativo di suo, ancora più competitivo?
È questo il momento in cui entra in gioco la Red Bull che dal Dahi Handi fa nascere il Jod Ke Tod, gli dà regole e procedure e lo rende uno sport ad ogni effetto.
La prova del giornalista
Nel 2019 la Red Bull invita il giornalista inglese Tarquin Cooper a cimentarsi nella competizione di Mumbai e lui, forte di british humor, osserva, impara e racconta il modo migliore per diventare un pilastro della piramide.
I Govindas
Così si chiamano i partecipanti e vale la pena ricordare che Govinda si chiama l’amico del Siddharta di Hermann Hesse, si allenano di notte, nelle ore che lasciano scampo dal caldo indiano, nelle piazze e nelle strade della loro città, creando un vociare che di poco sovrasta il solito rumore del posto.
Sport e rito
Di solito gli atleti del Jod Ke Tod compiono i rituali e cantano inni dedicati alle divinità lontano dagli occhi del pubblico.
Solo quando si disputano le finali, questi vengono eseguiti davanti agli spalti con il coinvolgimento di tutti i presenti.
Accade così che sacro e profano si fondono, la tradizione indossa la veste del divertimento e il suo significato profondo si rinnova per tutti.
Accade così che anche solo per un secondo, tutti sembrano tornare bambini, ammaliati davanti ad una disciplina che, nel suo divertire, a molti sembrerà solo un gioco.
Eppure, ogni volta che il rito ancestrale si compie, quel dio, da qualche parte, rinasce. E forse si diverte anche lui.