È capitato qualche tempo fa. Un mio ragazzo degli Allievi – beato lui, non ha neanche sedici anni – segna un gol decisivo, ma decisamente fortunoso. Io, in panchina, mi lancio in piedi, esulto e poi gli grido “Bravoooo…oggi hai fatto tredici”. È stato un attimo. Lui mi guarda, esulta certo, ma in quello sguardo c’era anche altro. Lui mi guardava, ma non capiva. Non poteva capire. In quel momento avrà pensato che, vista la mia tenera età, avessi iniziato a dare i numeri. Capisco. Il fatto è che lui non poteva sapere e allora, finita la partita, finito il rito dello spogliatoio, l’ho preso da una parte e gli ho raccontato un mondo. Il mondo del Tredici e del Totocalcio.
L’ho detto, non era colpa sua, lui non poteva sapere
Del Totocalcio nessuno gli aveva mai detto nulla, una schedina non l’aveva mai vista e vagamente sapeva che il tredici era un numero che portava fortuna, tranne però a tavola dove si cerca di evitarlo con una certa cura. E allora ho dovuto raccontargli come funzionava , cosa fossero l’1, X, 2 e soprattutto cose fosse l’agognato Tredici. In pratica cinquanta anni di turbolenta, appassionata e, lasciatemelo dire, fantastica vita italiana.
Le serate del Totocalcio
Noi che oggi siamo diversamente giovani abbiamo dedicato al Totocalcio intere serate di pizza a taglio diventata fredda, di birre stappate e poi “sgassate”, di mogli relegate in salotto tra di loro a parlar d’altro. Noi invece, gli amici di sempre, eravamo quasi sempre in cucina, tutti presi a maneggiare il sogno di una vita fantasmagorica mentre tiravamo giù numeri e previsioni.
Il vero luogo elettivo del sogno non erano però le nostre cucine, era il bar. A Roma così come in tutt’Italia, l’insegna luminosa verde e gialla con la scritta Totocalcio che svettava fuori dal bar era una pietra miliare, un punto cardinale verso il quale a una sottintesa ora stabilita amici e non amici convergevano per adempiere al rito della giocata.
L’amico Pitagora
Ovviamente in ogni gruppo di amici ce n’era almeno che svettava, un Pitagora della situazione, che con piglio serio e deciso esponeva i risultati di giorni di studio e spesso di notti insonni. Studio che, immancabilmente, prometteva di essere quello buono, quello che garantiva a sistema ridotto almeno un dodici e che, con solo un pizzico di fortuna, poteva incolonnare anche un tredici bello, tondo e soprattutto contante. Su ogni partita, prima di mettere il fatidico 1, X o 2 si ragionava a lungo e con competenza perché delle squadre noi conoscevamo veramente tutto. Altra grande attenzione era quella che si riservava alla compilazione certosina delle schedine a ricalco, con occhi, mani e testa concentrati per non sbagliarsi e soprattutto a fare in tempo prima che la ricevitoria chiudesse.
Il barista
Tutto questo avveniva sotto l’occhio attento del proprietario del bar che vedeva i suoi tavolinetti tondi di latta, quelli colorati in toni pastello di rosso, verde, giallo e anche azzurrino, affollati di persone che spesso consumavano poco per non togliere soldi alla giocata e alle quali, il più delle volte inutilmente, proponeva di comprare una quota del sistema sviluppato dal bar. Vuoi mettere tentare la sorte di tua mano rispetto a comprarla un tot a foglietto?
L’occasione mancata
Inutile dire che ognuno di noi ha avuto la sua occasione, quella mandata all’aria con un calcio di disattenzione o per una risata mancata della fortuna che proprio lì, su quel rettangolo di gioco e sul quadratino della schedina, si era voltata improvvisa e beffarda dall’altra parte.
Inutile dire della disperazione a posteriori, sono sicuro che ognuno avrà avuto la propria. Io ancora piango per un Catania-Inter e un Milan- Juventus dove cambiammo, all’ultimo minuto, una schedina praticamente già giocata.
Altri tempi, altri sogni
Insomma, tutto questo, ho dovuto cercare di raccontarlo al mio Allievo sedicenne. Mi ha ascoltato, si è fatto anche qualche risata, ma non so se abbia capito bene cosa tutto questo abbia veramente significato per noi, per questo grande pezzo d’Italia magari un po’ caciarona e anche sbruffona, ma che ai sogni ancora ci credeva.
L’ho guardato mentre andava via, l’ho visto tirare fuori dalla tasca il telefonino e iniziare a muoverci il dito sopra. Da qualche parte anche lui avrà i suoi sogni. Spero.