Wearable technologies. Innovazione da indossare

Wearable technologies, innovazione da indossare con tessuti e oggetti intelligenti che dialogano con l'atleta, ne monitorano i parametri vitali, ne migliorano condizione rispetto al contesto ambientale e perfomance sportive. Saremo ancora "solo" atleti?
Wearable tecnologies

Negli ultimi anni il mondo dello sport ha accolto le novità appartenenti al campo delle wearable technologies: dall’orologio che monitora l’organismo a nuove attrezzature per l’allenamento, la tecnologia ha fatto grandi passi avanti anche in questo ambito.

I tessuti funzionali

Particolare rilevanza nell’ambito delle wearable technologies, per il basso impatto ambientale e per la sofisticata nanotecnologia, hanno i tessuti funzionali, realizzati con varie tecniche e caratterizzati da proprietà utili a chi pratica attività fisica.
“Con la definizione tessuto funzionale si intendono materiali che offrono prestazioni extra ottenute utilizzando particolari lavorazioni e finissaggi, ossia trattamenti compiuti per migliorare le caratteristiche del tessuto, o ricorrendo a materiali sintetici chimicamente modificati per la realizzazione filati”, spiega Irene Bonadies dell’Istituto per i polimeri compositi e biomateriali (Ipcb) del Cnr.

“L’impiego delle nanotecnologie ha avuto negli ultimi anni grande diffusione in molti campi, compreso quello tessile, in particolare nella realizzazione di nano-compositi, strutture in cui nano-cariche vengono inserite all’interno di matrici polimeriche. L’inserimento può avvenire prima del processo di filatura o nella fase di finissaggio di fibre o tessuti anche naturali, attraverso strategie come rivestimento per immersione o a spruzzo, elettrofilatura e stampa 3D. Grazie alla presenza di materiali e/o di strutture nanodimensionali sulla fibra/tessuto (ad esempio, nanotubi di carbonio, grafene, biossido di titanio, nanocapsule) è possibile conferire a essi diverse proprietà tecnologiche e funzionali, scegliendo opportunamente la matrice polimerica. La struttura e la morfologia di particelle e capsule può inoltre essere regolata e può essere controllato il rilascio sia nello spazio che nel tempo e anche mediante attivazione da stimoli esterni”.

Tessuti intelligenti

I tessuti quindi non sono più passivi, ma agiscono su chi li indossa.

“Si può trasformare un tessuto in un sistema per il rilascio di sostanze bioattive, facendogli assumere un ruolo attivo durante il suo utilizzo, in modo che risponda a determinate condizioni o patologie presenti o che potrebbero generarsi con l’utilizzo, come ad esempio la formazione di microrganismi quali microbi e batteri che crescono con il calore e l’umidità e possono causare cattivi odori, alterazione dei colori, formazione di macchie, trasmissione di infezioni, allergie ed eczemi”, prosegue la ricercatrice del Cnr-Ipcb. “Oltre ad avere vari effetti sull’uomo, sia sotto il profilo del comfort che della salute, la proliferazione batterica danneggia progressivamente anche i tessuti”.

Per evitare procedure dannose sia per l’ambiente che per la persona che indossa quei particolari tessuti si è fatto ricorso a molecole provenienti dal mondo vegetale, come olii essenziali estratti da piante e loro componenti.
“Essendo le loro proprietà antimicrobiche e antiossidanti ampiamente riconosciute, queste molecole vengono diffusamente impiegate nel settore della conservazione degli alimenti, nella medicina complementare e come terapeutici naturali”, aggiunge Bonadies.
“Per preservarne le proprietà farmacologiche, rallentare la degradazione e controllarne il rilascio, tali sostanze naturali possono essere incapsulate in uno shell polimerico opportunamente selezionato al variare dell’agente da rilasciare e della destinazione d’uso del tessuto, oppure possono venire intrappolate in strutture come le ciclodestrine, oligosaccaridi con una struttura ciclica che, come una gabbia, può ospitare molecole al suo interno. Sfruttando le tecnologie di incapsulazione è possibile anche ingegnerizzare i tessuti per consentire il rilascio di farmaci, ad esempio per la cura di malattie della pelle o di infiammazione dei tessuti, come già avviene in ambito biomedicale”.

Tessuti ceramizzati

Anche i tessuti ceramizzati rientrano nell’ambito delle wearable technologies e si prestano ad acquisire molte caratteristiche utili all’atleta.
“L’unione tra due materiali così diversi come tessuto e ceramica è possibile grazie alla tecnologia sol-gel, alla capacità di sintetizzare nanofasi ceramiche e di fissarle sulla superficie delle fibre tessili”, precisa Simona Ortelli dell’Istituto di scienza e tecnologia dei materiali ceramici (Istec) del Cnr.
“Questo processo di funzionalizzazione, detto
ceramizzazione, permette di ottenere i cosiddetti tessuti ceramizzati. L’applicazione del rivestimento nanostrutturato consente di trasferire le proprietà del materiale ceramico al supporto tessile. Le dimensioni nanometriche rendono le particelle trasparenti alla luce visibile, di conseguenza il rivestimento inorganico appare inodore, spesso incolore e presenta una notevole affinità per i tessuti, resistendo a molti lavaggi in lavatrice. Sulla base delle proprietà delle nanofasi, che costituiscono il rivestimento, è possibile impartire funzionalità al supporto tessile. Particolarmente interessanti per lo sviluppo di tessuti tecnici sono i rivestimenti antiodore/autopulenti, a bagnabilità controllata, antimicrobici/antivirali, antifiamma”.

Nel caso dei tessuti antiodore/autopulenti vengono sfruttate le proprietà fotocatalitiche del biossido di titanio (TiO2), alla base del rivestimento nanostrutturale ceramico. Ma adatti al mercato del benessere e dello sport sono anche i tessuti a bagnabilità controllata. “Questi materiali sono prodotti accoppiando fasi ceramiche idrofile con molecole organiche idrofobe facilmente assorbibili su nanoparticelle ceramiche, contribuendo così alla progettazione di indumenti termoattivi con uno strato interno che assorbe il sudore e lascia traspirare la pelle e uno strato esterno che funge da barriera alla penetrazione dell’acqua, riproducendo il noto ‘effetto Gore-tex’”, chiarisce la ricercatrice del Cnr-Istec.

I tessuti antimicrobici/virali.

Diverse infine, tra le wearable technologies, le caratteristiche dei tessuti antimicrobici/virali.
“Questi sono realizzati sfruttando sospensioni a base di argento nanoparticellare immerso in matrici cellulosiche o biopolimeriche per il trattamento di tessuti. I tessuti antifiamma sono realizzati attraverso l’accoppiamento di una nanofase ceramica (nanoTiO2) con innovative ‘molecole antifiamma’, creando tessuti ‘green’ a basso impatto ambientale”, conclude Ortelli.

“I tessuti antifiamma così prodotti sono quindi dotati di una buona resistenza ai lavaggi e raggiungono in alcuni casi anche l’autoestinzione; mentre l’applicazione di composti ibridi organici/inorganici (cerameri) su supporto tessile permette la creazione di un effetto barriera, che protegge il materiale sottostante da fiamme e fonti di calore. I tessuti così ottenuti sono caratterizzati da elevata stabilità termica”.

(Da CNR- Almanacco della Scienza n.13/2021)

Fonte: Irene Bonadies, Istituto per i polimeri compositi e biomateriali , email irene.bonadies@ipcb.cnr.it – Simona Ortelli, Istituto di scienza e tecnologia dei materiali ceramici, email simona.ortelli@istec.cnr.it –

Beatrice Martini laureata in Lettere moderne presso l’Università di Roma Tor Vergata, nel 2017 ha svolto a titolo volontario attività di editing per la piattaforma Novelle leggere; dal 2018 al 2020 ha lavorato come Tutor Dsa certificata dall’Associazione Nazionale Dislessia; nei mesi di giugno e luglio 2021 ha svolto uno stage presso l’Ufficio stampa del Consiglio Nazionale delle Ricerche

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