Nell’agosto del 1926 il napoletano Giorgio Ascarelli, industriale del settore tessile, assume la presidenza della neonata Associazione Calcio Napoli. Non si trattò di una vera e propria fondazione, quanto piuttosto di una modifica statutaria e di denominazione del preesistente Foot-Ball Club Internazionale-Naples, sorto a sua volta nel 1922 dalla fusione di altre due compagini partenopee. Il cambio di nome si rese necessario perché il regime fascista non vedeva di buon occhio il termine “Internazionale”, che richiamava troppo da vicino gli echi comunisti (anche l’Inter di Milano cambiò la denominazione in Ambrosiana), e osteggiava di fatto l’uso di terminologie anglosassoni, o straniere più in generale.
La nuova società scelse come colore sociale l’azzurro che richiamava il cielo e il mare della città della sirena.
Come simbolo, invece, fu adottato un cavallo, il mitico corsiero del sole, ma il ciuccio arriverà presto.
Il corsiero del sole
Le cronache raccontano che fino al Medioevo in piazza Sisto Riario Sforza, lo slargo dove via dei Tribunali incontra l’odierna via Duomo e che in epoca greca aveva ospitato un tempio di Apollo, troneggiava una grande statua di bronzo raffigurante un monumentale cavallo, un purosangue sfrenato, simbolo par excellence della irriducibilità del popolo partenopeo. Una presenza millenaria (si pensava addirittura che l’avesse creata il poeta Virgilio, considerato a Napoli una sorta di potente stregone) e dalle proprietà magiche. Pare, infatti, che la statua avesse il potere di guarire i cavalli malati che vi girassero tre volte intorno, per la disperazione dei maniscalchi della zona, ovviamente.
La fusione della statua
Nel 1322 l’arcivescovo Matteo Filomarino decide di dare un taglio a quelle superstizioni pagane e ordina la fusione del cavallo di bronzo. Se ne ricavò la grande campana maggiore del Duomo, che ancora oggi richiama i fedeli a raccolta. Tuttavia, il corsiero continuò a rappresentare un simbolo per la città, tanto da essere raffigurato sulle monete dell’epoca, fino a diventare protagonista dell’attuale vessillo della città metropolitana di Napoli.
L’ironia del popolo napoletano
I primi anni di vita della neonata squadra azzurra furono parchi di soddisfazioni. Gli annali registrano che nel primo campionato disputato, il 1926-’27, il Napoli racimolò la bellezza di un solo pareggio in mezzo a tutte sconfitte. Negli anni immediatamente successivi le cose migliorarono, ma non abbastanza da impedire a un tifoso amareggiato dalle prestazioni deludenti dei suoi beniamini di gridare dagli spalti dello Stadio del Vesuvio, poi rinominato Ascarelli negli anni ’30: “Ma quale cavallo! Mi pare ‘o ciuccio ‘e fechella: 36 chiaje e ‘a coda fracica!”
‘O ciuccio ‘e Fechella.
Quando in lingua napoletana ci si vuole riferire a un soggetto colpito spesso da malesseri e acciacchi fisici vari che gli impediscono di adempiere ai propri doveri, rappresentando di fatto un fastidio per amici, parenti e colleghi che inevitabilmente devono sobbarcarsi anche la sua parte di lavoro, si usa proprio la simpatica espressione: “Sembra l’asinello di Fechella: 36 piaghe e la coda mal ridotta!”
Ma chi era Fechella?
Fechella, o “piccolo fico” (evidentemente al femminile in napoletano), era il soprannome di un certo Domenico “Mimì” Ascione, un contadino originario di Torre del Greco che nella seconda metà degli anni ’20 del secolo scorso era solito dirigersi al Rione Luzzatti (rione di case popolari nella parte orientale della città, che ospitava anche lo Stadio del Vesuvio, e che recentemente ha fatto da suggestivo sfondo alla fiction di successo L’amica geniale) per vendere le sue modeste derrate alimentari in groppa a un somarello vecchio e male in arnese, con il dorso piagato e la coda mozza.
L’identificazione con il ciucciariello
L’ironico paragone del tifoso indispettito piacque talmente tanto ai napoletani, che prima di ogni partita disputata fra le mura amiche veniva condotto sul terreno di gioco un somarello bardato con i colori della squadra.
L’identificazione tra gli azzurri e il mite quadrupede fu immediata, efficace, definitiva, tanto da scalzare il ricordo del mitico corsiero del sole. Ecco perché ancora oggi i tifosi napoletani si riferiscono alla loro squadra del cuore come “Il Ciuccio”.