È domenica e nell’assolato pomeriggio che ti si prospetta davanti cerchi di sbrigarti nel terminare le mansioni che tua madre ti ha assegnato: sistemare la stanza, aiutare tuo fratello piccolo con i compiti e lasciare fuori dalla porta di casa le bottiglie vuote di latte per la mattina dopo. Finalmente, dopo aver girato per tutta casa senza pace, hai finito e ottieni la paghetta che ti è stata promessa. “Non spenderli tutti subito!” ti viene gridato mentre esci di corsa dalla cucina, dritta verso la libreria che ha aperto un paio di strade più lontano.
Non ti preoccupi dei suoi consigli, tu hai un obiettivo e neanche la promessa di poterti permettere la cioccolata più cara dell’edicola lì vicina potrebbe fermarti.
Vai veloce. Il tuo premio ti aspetta lì in vetrina: “The Woman and the Car: a chatty little handbook for women who want to motor” di Dorothy Levitt.
La mia storia è la tua
Un grazioso disegno sulla copertina mostra una signora al volante che ti guarda fissa e non puoi fare a meno di riconoscerci l’autrice, con i suoi capelli scuri legati sulla testa e l’elegante pelliccia che la protegge dal vento che le soffia intorno.
È esattamente come l’hanno descritta nelle sue lunghe interviste: una signora dell’alta classe inglese che, dopo l’incontro fortuito con un misterioso “amico di famiglia” e diversi mesi passati in Francia come istruttrice di guida, ha avuto fortuna nel mondo dei motori.
Quando nel Penny Illustrated Paper hai scoperto che fra i suoi allievi vi sono anche la regina Alexandra di Danimarca e le sue figlie, non hai avuto più dubbi: anche tu vuoi diventare una pilota d’auto da corsa.
Il primo passo (chiaramente) è quello di leggere tutto il possibile scritto da e su la signora Dorothy Levitt.
Trovare il filo
La passione per Dorothy Levitt ti spinge oltre e nei mesi successivi (anche grazie a una serie d’incontri con amici di amici di amici di Dorothy) riesci a scoprire come in realtà la storia sia un po’ diversa da quella raccontata nella quarta di copertina del suo libro, che comunque continui a portare fedelmente sempre con te.
Tutte le informazioni che ottieni le inserisci nel piccolo quaderno che ti hanno regalato per Natale.
Il vero nome di Dorothy è Elizabeth Dorothy Levi e viene da Hackeny, vicino Londra. Suo padre, gioielliere come gran parte della famiglia, ha deciso di anglicizzare il cognome in Levitt, ma la ragazza continuerà a intercambiarlo con quello originale per tutta la vita.
Scuola guida
Il primo incontro di Dorothy Levitt con i motori avviene sul luogo di lavoro; lavora come segretaria presso l’azienda motociclistica Napier. Lì incontra Francis Selwyn-Edge, una delle figure principali della compagnia, che s’interessa a quella giovane chiacchierona che lo saluta entusiasta ogni mattina. È grazie a questo incontro che Dorothy impara a guidare, ma non è dato sapere precisamente a chi sia di dovere consegnare il merito (non hai neanche trovato nessuno pronto a corroborare una delle tante versioni).
Il signor Selwyn-Edge, da grande uomo di mondo qual è, afferma di averla mandata a Parigi a imparare da un suo amico, ma molto più spesso di quanto ti piaccia ammettere ti sei imbattuta nel nome Leslie Callingham, apprendista presso Napier e futuro pilota d’auto da corsa. Il vero insegnante di Dorothy Levitt è probabilmente lui.
Da quando hai iniziato la tua indagine hai ormai compreso come quasi nulla in questa storia sia effettivamente come appare. Basti pensare che Dorothy Levitt nel suo libro ama insistere su come la prima macchina che lei abbia mai guidato appartenesse in realtà ad un affascinante amico di famiglia in visita. E dice anche che, date le sue innate capacità, sia stata in grado di catturare l’occhio di un manager di una compagnia di motori locale (probabilmente la stessa Napier) e che da qui sia nata la sua carriera.
Una verità a scomparsa
Tutto questo, ovviamente, è una grande semplificazione di ciò che è avvenuto.
Nella tua testa è nato un meccanismo in grado di comprendere la verità che si cela fra le righe di bugie, incongruenze o semplici semplificazioni che imperlano la vita di Dorothy Levitt.
Tu stessa per tanto tempo hai creduto al mito di una ragazza di campagna, appassionata di pesca e tiro al bersaglio, ma il continuo echeggiare nel suo nome nella upper class londinese racconta una storia diversa. Ma stai perdendo di vista i tuoi stessi appunti.
L’inizio del mito
In un angolo in alto a destra del tuo taccuino c’è una data segnata in rosso: 1903, anno in cui Dorothy Levitt partecipa all’Harmsworth Trophy, gara di corsa per barche a motore.
Accanto hai incollato il ritaglio del giornale in cui viene annunciato come vincitore il signor Edge che in quanto proprietario dell’imbarcazione ottiene tutti i meriti, ma la foto sgranata che ritrae le barche in azione racconta una storia diversa. È stata Dorothy a permettere al distinto signore di salire sul podio, è sua la chioma di capelli corvini che si intravede fra le onde.
Sempre nel 1903 Dorothy continua la sua carriera come skipper riuscendo anche a stabilire il primo record di velocità, raggiungendo le 19 miglia all’ora su un motoscafo a motore Napier.
Proprio a quel periodo risalgono le sue prime corse in auto, sempre sotto l’ala protettrice del signor Edge.
Tuo padre ti ha portato a vedere qualche gara nel circuito vicino casa e sei abituata a vedere donne gareggiare, ma mai prima hai sentito di una pilota arrivare accompagnata dal suo cagnolino, come invece fa Dorothy Levitt, abitualmente scortata dal suo pomeranian nero Dodo.
Gare, gare e ancora gare
Dorothy Levitt eccelle in pista: vince sia al Southport Speed Trial e sia durante una delle prove di resistenza che si organizzano in tutta l’Inghilterra. Ovviamente sempre al volante di auto importate da Napier, come la Gladiator o la De Dion-Bouton. Macchine imponenti e costose, ma non sembrano stridere con la loro pilota.
In effetti non è solo la carriera di Dorothy Levitt ad appassionarti, quanto anche la sua figura, il suo muoversi in maniera stravagante e spesso distante da quanto invece è stato raccontato “ufficialmente”.
Spesso negli articoli del tempo hai trovato sue descrizioni infarcite di termini come “timida, modesta o delicata”, ma ormai sai come funziona il mondo di Dorothy: solo pubblicità e bugie.
La vera Dot è colei che nel 1902 viene arrestata per eccesso di velocità da un poliziotto che lei si augura di “aver travolto sotto le ruote quando ancora potevo”. Oppure quella che si presenta nel 1907 a Herkomer ad una festa post gara in uno sfavillante abito verde (suo colore preferito) catturando l’attenzione di tutti.
Pistola o specchietto?
Dorothy Levitt è sfrontata e coraggiosa, piena di storie sconcertanti sul suo conto: facendo parte del sales team di Napier spesso fa dimostrazioni dei nuovi modelli, arrivando a guidare un taxi in giro per Londra (senza autorizzazione) per un servizio sul Daily Express.
Ma soprattutto Dorothy Levitt non è sciocca come il signor Edge invece spesso tenta di far credere alla stampa. Lei conosce il mondo e ci si muove bene. Famosa è la sua abitudine di portare in auto con sé una pistola per auto difesa, benché venga spacciata come un’abitudine dei suoi passati “giorni da cacciatrice”. E non manca poi di ripetere sia alle sue lettrici (come te) e sia alle altre signore presenti in pista come “una donna al volante non dovrebbe mai fare a meno di un piccolo specchietto per guardarsi alle spalle”.
Una piccola e immensa intuizione
Ogni volta che rileggi quel passaggio ti chiedi se Dorothy Levitt fosse consapevole della sua portata rivoluzionaria. Dorothy non sta solo spiegando come fare manovra più agevolmente; senza saperlo sta cambiando l’intera storia della motorizzazione, introducendo per la prima volta un elemento imprescindibile per il mondo di ieri e di oggi. Quando vengono stampate per la prima volta queste parole passano solo come un vezzo estroso di una donna troppo dedita alla sua figura.
Una carriera felice
In generale la sua carriera sembra non conoscere ostacoli.
Nel 1904 diviene la prima donna pilota a “lavorare” ufficialmente nel mondo delle corse; sempre sotto la casa Napier ottiene ottimi risultati in numerose gare come la Brighton Speed Trials o l’Autocar Challenge Trophy. Continua a riscuotere successi in tutto il Regno Unito e nel 1907 supera i confini nazionali gareggiando nella cronoscalata francese di Gaillon e nel 1908 nel Herkomer Trial in Germania dove ottiene una placca d’argento.
Uno stop improvviso
Le tue pagine sono fitte di nomi di gare ed eventi in cui compare il nome D.Levitt o il timbro della casa Napier, ma nel 1909 questo sodalizio ben oliato si ferma di colpo. Gli interessi dell’azienda cambiano, forse anche a causa della tensione creatasi fra la pilota e il signor Edge.
Dorothy Levitt si trova senza macchine e senza uno sponsor.
Per un po’ è come se il mondo delle auto le risultasse indigesto: volta le spalle alla terra marcata dalle ruote e al mare solcato dai motoscafi per dirigersi verso le distese aperte dei cieli inglesi, tentando una carriera come aviatrice (ben presto terminata).
Il libro del 1909
È in questo preciso momento della sua vita che tu ufficialmente la incontri: con la pubblicazione nel 1909 del suo testo più famoso, dove compare per la prima volta l’idea dello specchietto retrovisore, e che sancisce l’inizio della sua carriera parallela come giornalista e scrittrice.
Le pagine che scrive sul mondo delle corse sono fitte di aggettivi, battute taglienti e attenzione ai dettagli, ma ciò che continua a colpirti è la vera passione che traspare dalle pagine, il divertimento nel descrivere un ambiente che sicuramente in passato non è stato profondamente accogliente nei suoi confronti.
Adieu
Per quanto tu possa evitare di pensarci, sai come questa storia va a finire.
Dorothy Levitt si ritira dalla scena pubblica verso la fine del 1912 e la sorella ne annuncia la morte nel 1922, rifiutando di divulgare qualsiasi tipo d’informazione su come lei abbia passato questi ultimi dieci anni.
Quando hai letto la notizia sei stata colta da un fremito di tristezza.
Non hai mai avuto la possibilità d’incontrarla e la tua “indagine” per sciogliere la matassa chiamata Dorothy Levitt per un secondo ti è parsa completamente inutile.
Una cara amica
Vale la pena inseguire un sogno che lei stessa non è riuscita a mantenere?
Abbandoni il taccuino per diversi giorni in un angolo della scrivania e tenti di scordare il suo familiare peso nelle tue mani. Presto però, mentre il solito grigiore di Londra ti circonda, ti rendi conto di quanto ti manchi la sua presenza, quasi come se Dorothy Levitt fosse un’amica da portare a braccetto ovunque andassi.
È allora che realizzi cosa davvero quella giovane di Hackeny significhi per te.
Dorothy Levitt è ingegno, sprezzo delle convenzioni e desiderio di seguire le proprie regole; è stata semplicemente ciò che ha sempre voluto. L’idea che una ragazza non tanto diversa da te abbia potuto destreggiarsi in un mondo così complesso ti rassicura e offre un conforto di cui non sapevi aver bisogno.
Per la milionesima volta t’infili il taccuino in borsa e ti prepari per uscire, prendi le chiavi dell’auto e sali dietro il volante.
Mentre sistemi lo specchietto retrovisore incroci il tuo stesso sguardo, “Ciao Dot ci sentiamo dopo”.
Le mandi un bacio e guidi via.