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C’era una volta il pallone

Campi, spalti, regole vecchie e nuove. Tutto pensato per lui. E poi arbitri, pubblico e calciatori. Tutti intorno a lui, ambito, rincorso, calciato e rilanciato. Lui, l'indiscusso protagonista: il pallone. Ma cosa è accaduto al caro e vecchio pallone di cuoio? Come siamo caduti così in basso?
Pallone

Credo proprio sia arrivato il momento di chiedere un po’ di rispetto per il pallone. E che cavolo! Va bene tutto, i giocatori, gli allenatori, le tattiche, gli schemi, lo spray per il rispetto della distanza nei calci piazzati, il VAR, la goal line technology, ma senza sua maestà il pallone non ci sarebbe calcio.
Una volta era di vero cuoio, con tanto di camera d’aria, stringa e lacci. Ogni colpo di testa era al confine con il trauma cranico. In partenza il colore era marrone scuro, ma con il passare degli anni si passò a un marroncino chiaro tendente all’arancio. L’apoteosi venne raggiunta ai Mondiali del 1966 in Inghilterra. Visto dal vivo dagli spalti l’effetto di quella sfera di puro cuoio dorata sull’erba verde perfettamente tosata del vecchio Imperial Stadium di Wembley era bellissimo.

I problemi però erano nati con la comparsa della televisione

Le trasmissioni del tempo erano rigorosamente in bianco e nero e il colore dominante era il grigio. Campo, maglie e pantaloncini dei giocatori, gradinate, spettatori, tutto in video appariva come seppiato nelle varie tonalità del grigio. Il pallone in effetti tendeva a scomparire in quello sterminato mare gelatinoso e nebbioso, anche quando la partita veniva giocata sotto un sole splendido. La trovata, la grande novità, fu quella di adottare un pallone sempre di cuoio, ma di colore bianco. L’effetto fu grandioso. Quella sfera immacolata risplendeva nei video luminosa come la luna di Leopardi e rischiarava tutta la scena. Nelle partite serali giocate alla luce dei fiochi riflettori degli anni Sessanta aveva un che di magico e misterioso. Al tempo non si parlava ancora di immagini in hd e altre diavolerie del genere per cui quando un giocatore calciava e partiva un tiro il pallone bianco lasciava dietro di sé una leggera scia. Sembrava una stella cometa.

Pallone

Mexico ‘70

Ai Mondiali messicani del 1970 fecero la loro comparsa i palloni a losanghe bianche e nere, che via via assunsero varie denominazioni, da Telstar a Tango. Dal punto di vista cromatico niente da dire, erano visibili e si distinguevano benissimo, però la magia di quelle sfere completamente candide era andata perduta per sempre e quel che è peggio, anche se allora nessuno lo poteva sapere, era l’inizio del disastro. 

Quale disastro? Quello dei nostri giorni

I palloni di oggi non hanno più cuciture e stringature di sorta, sono diventati vergognosamente leggeri e hanno delle colorazioni e dei ghirigori che vanno dal disgustoso al vomitevole. Diciamola tutta fino in fondo. Ormai non sembrano più palloni da calcio, ma pallette da spiaggia. Una volta in campo rimbalzavano e si muovevano da protagonisti, adesso sono delle pallide amebe che volano di qua e di là alla rinfusa completamente in balia degli eventi. Proprio come quei palloncini di plastica con cui giocavamo da bambini al mare, oggi i palloni quando vengono calciati volano via leggeri leggeri e assumono strane e contraddittorie traiettorie che spesso traggono in inganno i portieri. Il tutto con sommo gaudio dei telecronisti urlatori che si abbandonano a un’orgia senza fini di superlativi. È la dittatura spietata dello spettacolo che non ammette deroghe. Ragion per cui i vecchi serissimi palloni di cuoio, pesanti come macigni, che un tempo mettevano soggezione solo a vederli e la facevano da padroni sui campi se ne stanno relegati in soffitta con un’aria immusonita, sgonfi e dimenticati, mentre i loro garruli eredi svolazzano di qua e di là, inconsapevoli e scioccherelli, tutti contenti di essere presi a calci da scarpini sponsorizzati e dai colori improbabili.

Era nell’aria da parecchio tempo

Il vecchio, caro, pallone da calcio se la passava male. Sorpassato, malandato, sbeffeggiato, ormai era un anacronismo in un’era supertecnologica come questa. E ormai siamo ai titoli di coda. Lascia un vuoto incolmabile nel cuore degli ultimi romantici del calcio che, affranti nel dolore, partecipano al lutto.

 

Silvano Calzini è nato e vive a Milano dove lavora nel mondo editoriale. Ama la letteratura, quella vera, Londra e lo sport in generale. Ha il vezzo di definirsi un nostalgico sportivo.

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