La famiglia di Théodore Monod ha sempre seguito una semplice regola: non lasciare mai che Théodore rimanesse senza risposte alle sue domande.
Nato nel 1902 a Ruen, Théodore ha sempre colpito per i suoi occhi, curiosi e grandi, avidi di catturare tutti i dettagli di ciò che li circonda. Vivace e al tempo stesso già riflessivo, Théodore è affascinato da animali, rocce, piante; li osserva, gli dedica gran parte del suo tempo, li vuole comprendere, ne intuisce qualcosa che ancora gli sfugge, ma che sa esserci. Ha appena dodici anni quando scrive di essere convinto che il mondo possa sopravvivere senza uccidere né animali né vegetali.
Soprattutto Théodore comprende da subito la bellezza di cui, in una vita che passerà tra scienza e filosofia, troverà l’essenza in uno dei luoghi più inaccessibili della Terra: il Sahara.
Le fantasie di una vita
La famiglia Monod è di tradizione religiosa, protestante da diverse generazioni e fa crescere Théodore in un ambiente ricco di stimoli che spaziano dalla lettura della Bibbia a quella dei classici latini e greci.
Un ambiente che avvicina Théodore alla conoscenza, alla curiosità e all’immaginazione.
Parigi, dove la famiglia si trasferisce nel 1907, fa il resto.
Insieme ai suoi amici il giovane Théodore sogna di terre lontane, si immagina in incredibili spedizioni in Tibet così come ad attraversare deserti. Fantasie che trovano linfa vitale nelle numerose visite al Jardines des Plantes, il giardino del Museo di Storia Naturale di Parigi.
Fantasie? Forse.
Quello che per Théodore è ancora poco più che un gioco, molto presto diventerà però qualcosa di più.
L’Africa fatale
Théodore Monod passioni e fantasie non le archivia, ma su queste costruisce studi e vita.
Si laurea alla Sorbona in zoologia e diventerà membro dell’Acadèmie des sciences. Per quelle evoluzioni misteriose che la vita riserva, proprio il Museo di Storia Naturale di Parigi che così tanto lo aveva affascinato da bambino sarà una delle sue pietre miliari.
Ha 20 anni quando l’Africa entra a far parte della sua vita.
Nel 1922 è imbarcato su una nave oceanografica con destinazione la Mauritania, dove si sarebbe occupato dell’osservazione della fauna marina.
Da bambino ne aveva fantasticato milioni di volte, ma adesso, adesso che la vede, la tocca, l’annusa, inizia a rendersi conto che l’Africa dalla sua vita non uscirà più.
Le sue spedizioni in Africa, infatti, non si fermano lì.
Nel 1925 Théodore è sulla linea dell’equatore, nella zona del lago Ciad, per studiarne la fauna acquatica, ma è nel 1927 che accade l’irreparabile.
In questo caso non un dramma, ma il coup de foudre, l’amore di una vita.
Sahara mon amour
Théodore Monod aveva dato ottima prova di sé come studioso. L’Accademia, riconoscendone talento e competenza, lo designa come rappresentante in una spedizione scientifica che avrebbe attraversato il Sahara dalla costa mediterranea a Dakar.
Gli occhi, gli occhi grandi e curiosi di Théodore si spalancano sull’immensità muta del deserto, ne prendono tutta la vita possibile, quella nascosta e caparbia: se ne innamora all’istante.
Un amore vissuto, coltivato anche nel tempo e nella distanza fino a quando, nel 1934, torna per rimanerci quattordici mesi.
È così che lo percorre in tutte le direzioni a dorso di cammello, a piedi, in carovana, a volte solo. Si spinge addirittura sino allo sconosciuto Tanezrouft, una zona del Sahara particolarmente impervia ed arida, evitata dalle carovane. È così che entra in contatto con popoli del deserto, con le loro culture e loro religioni. Linfa vitale che assimila e che sarà preziosa nella maturità dei suoi studi e della sua vita.
Una sensibilità nuova
Il Sahara diventa la sua casa durante gli anni della guerra.
Théodore Monod si aggrega a un reggimento di stanza nel Tibesti e passa la tempesta continuando gli studi e maturando una sensibilità che sarà sempre più la forma della sua esistenza, la sua posizione nel mondo.
Finita la guerra torna in Francia, ma per poco. Le spedizioni riprendono, ma ormai in queste lui non vede più soltanto un fine scientifico, ma uno scopo più alto.
I suoi interessi non si limitano più alla zoologia o alla botanica, ma approfondiscono gli uomini e sconfinano nell’universalismo, di cui ormai è un seguace. Raccoglie la cultura orale delle popolazioni del Mali, la scrive per fissarla nel tempo, ma sicuramente anche per farne distillare saggezza a chi poi ne leggerà a migliaia di chilometri di distanza. È qui che stringe una forte amicizia, una vera intesa spirituale, con il mistico sufi maliano Tierno Bokar, conosciuto come il Francesco d’Assisi nero.
Théodore Monod è ormai consapevole che l’umanità è una e unica, senza distinzione di razza, cultura o religione.
Le mani diventano occhi
Nel 1996 Théodore è ormai anziano, ha 94 anni.
Il tempo fugge come granelli di sabbia e lui decide di tornare nel deserto. È l’ultima volta e lo sa.
È quasi cieco, gli occhi grandi e curiosi di quando erano bambino non lo hanno mai abbandonato, ma ora vedono solo nella memoria.
La memoria, però, ha tante strade. Théodore prende la sabbia tra le mani, la fa scorrere e per un’ultima volta sente al tatto quello che era stato il “suo” posto.
Alle soglie del suo ultimo passaggio del tempo, Théodore dà così l’addio a quelle dune che avevano scandito i passaggi spirituali della sua esistenza.
Théodore Monod muore nel 2000, in Francia.
Di lui rimangono gli studi, immensi, ma anche l’immensa voglia di comprensione del mondo e degli uomini, la curiosità inappagabile dell’andare oltre per dare senso profondo alla più grande avventura che ci è concessa.
Un’avventura che si chiama vita.