La Bombonera. Calcio e cuore alla Boca

Un viaggio a Baires tra tifo, gioco e stile sociale. Un viaggio nell'anima tra agonismo e rivalità calcistiche che non parlano solo di calcio, ma di identità profonde, radici e futuro da non lasciarsi sfuggire di mano. Boca vs River non è una partita, è un archetipo esistenziale, la Bombonéra non è uno stadio, ma un tempio, i giocatori sono dei in calzoncini. Almeno per oggi, domani si vedrà.
 Enrico Frabetti
La Bombonera

Prima di partire per Buenos Aires, avevo letto, su Il Manifesto, un’intervista in cui il sociologo argentino Pablo Alabarces sosteneva come, a differenza di Napoli, Buenos Aires non fosse una città maradoniana. La visibilità di Diego a Napoli, dice Alabarces, è “continua, assoluta, debordante”. Ovunque ti giri, trovi un murale, una cappella votiva o un qualsiasi altro segno del culto dei napoletani verso il Dio del Futbol. Non così nella capitale argentina, dove esiste, è vero, uno stadio intitolato al Diez, quello dell’ Argentinos Junior, la squadra che lo fece debuttare in Primera Division, ma che è troppo calcisticamente divisa tra le tante equipos che la compongono e che è, soprattutto, attraversata da quella faglia che divide, inesorabilmente, due mondi, due modi opposti di vedere la vita, quello del Boca Junior e quello del River PlateBosteros e GallinasXeneizes Millonarios.

Boca vs. River

La Boca, oggi, ha la sua immagine da cartolina nel Caminito, la pittoresca via che accoglie i turisti coi suo bassi edifici colorati e con l’immancabile sosia di Maradona in maglia albiceleste, pronto per una foto. Qui nacquero e convissero, almeno fino agli anni venti del secolo scorso, il River e il Boca. Convivenza impossibile, data la rivalità che divide i due club, tanto che nel 1923 le Gallinas (termine spregiativo con cui i tifosi del Boca Junior chiamano i rivali) se ne andarono, trasferendosi prima nel quartiere Palermo, poi nella loro sede definitiva di Belgrano, a nord della capitale, dove sono tutt’ora. Basterebbe anche soltanto un’occhiata superficiale ai quartieri che li ospitano per capire che quella tra Boca e River è una rivalità anche, se non soprattutto, di classe.

Belgrano

Belgrano è un ricco quartiere residenziale, attraversato da ampie strade trafficate, che sono il prolungamento di quell’Avenida 9 de Julyo, una delle più grandi arterie stradali del mondo, che collega Buenos Aires da nord a sud. Vasti spazi verdi si aprono ai lati delle strade, dove si possono osservare famiglie coi passeggini o impiegati che fanno footing, come se fossimo a Central Park a New York. Qui si trova l’imponente Estadio Monumental, la casa del River. Poco più avanti, nel quartiere di Nunez, si erge, sinistra, la facciata dell’ ESMA, la Escuela de Mecanica de la Armada, il più famigerato campo di tortura utilizzato dalla dittatura militare che, tra il 1976 e il 1983, insanguinò il Paese, oggi sede del Museo della Memoria, da poco entrato nella lista dei beni patrimonio dell’Unesco e la cui esistenza è minacciata dal governo revisionista di Milei. Nel giugno del 1978, le grida dei torturati si confondevano con quelle degli argentini che, nel vicino Monumental, festeggiavano l’Albiceleste del Flaco Menotti, campione del Mondo.

La Bombonera

Tifo, gioco, stile sociale

Trasferendosi dalla Boca a Belgrano, mutò anche la composizione sociale della tifoseria del River. Non più marinai, operai calafatori e carpentieri navali, per lo più di origini genovesi, ma borghesi che vestivano all’inglese, con cappello e cravatta. E pure lo stile di gioco della squadra divenne inconfondibile, uno stile particolarmente raffinato, emblematico di quello che gli argentini (convinti che gli inglesi avessero inventato il calcio, ma che loro lo avessero elevato a livelli d’ arte irraggiungibili) chiamarono la Nuestra. Negli anni quaranta del novecento, il River era semplicemente la Machina, a detta di Osvaldo Bayer, che lo scrive nel suo imprescindibile Futbol. Una storia sociale del calcio argentino,  “la squadra più perfetta e spettacolare dell’era del calcio professionistico”.

Boca. La leggenda della bandiera

A differenza de los Millonarios, gli Xeneizes, i sostenitori del Boca, non si sono mai vergognati delle loro origini proletarie. Bisogna addentrarsi nella pancia del barrio, nelle viscere della Repubblica de la Boca, per rendersene conto. Le vie sono strette, le case basse richiamano un antico e decaduto stile coloniale, le strade sono spesso in terra battuta e non di rado si corre il rischio di inciampare su rotaie che, evidentemente, sono i resti di una vecchia ferrovia che attraversava il quartiere. Alcuni dei tanti murales che arredano le pareti degli edifici, ricordano le origini operaie del club. Ovunque ti giri, due sono i colori che predominano, il giallo e il blu. Leggenda vuole che i soci fondatori del Boca, non riuscendo ad accordarsi sui colori da dare alla squadra, stabilissero di prendere quelli della bandiera del primo mercantile che fosse entrato in porto. Il caso volle che la prima nave ad entrare in rada battesse bandiera svedese. 

Boca

Qui, a differenza del resto della città, tutto parla di Maradona

L’immagine di Diego appare su ogni muro e su ogni bandiera, mano a mano che ci si avvicina alla Bombonera, il simbolo del quartiere, la cattedrale della fede Xeneize, le cui tribune si alzano maestose, appena poche decine di metri oltrepassato il Caminito. La mistica del Diez è legata, in particolare, alle vicende del rocambolesco trasferimento dall’Argentinos Junior al Boca. Nei primi mesi del 1981, l’Argentinos, pieno di debiti, aveva la necessità di vendere Diego. Il primo club a farsi avanti fu il Barcellona, che offrì sei milioni di dollari, di cui, però, soltanto un milione e mezzo in contanti. Nella trattativa si inserì il River, che mise sul piatto cinque milioni e mezzo di dollari, garantendone tre cash. A quel punto Maradona in persona, temendo di poter essere ceduto al River, sparigliò la situazione, rilasciando, il 28 gennaio, una clamorosa intervista al quotidiano la Cronica, in cui dichiarò che tutta la sua famiglia tifava Boca e che lui lì voleva giocare. Presi alla sprovvista, i dirigenti del Boca, che inizialmente non avevano nessuna intenzione di competere con Barça e River, misero in piedi una complicata operazione finanziaria, che somigliava un po’ al gioco delle tre carte. Presentarono un’offerta da dieci milioni di dollari: sei in contanti, di cui cinquecentomila messi a disposizione da un misterioso finanziatore, quattrocentomila derivanti da un debito che l’Argentinos aveva con la Federazione e novecentomila dollari, pari al 15% del trasferimento che sarebbe spettato al giocatore e che avrebbe dovuto essere girato al club. In realtà, il Boca non aveva quei soldi e, infatti, il trasferimento di Maradona fu un prestito con diritto di riscatto. Nel 1982, quando il Boca avrebbe dovuto esercitare l’opzione, la situazione economica argentina, complice l’assurda guerra delle Malvinas dichiarata da una giunta militare ormai al collasso, precipitò, con la svalutazione del peso che gettò il paese nel caos e il Barcellona non ebbe problemi a portare Diego in Spagna. Ma nell’anno di grazia 1981, la Doçe (com’è chiamata la curva del tifo organizzato) e tutto il popolo della Bombonera poterono godersi forse il miglior Maradona di sempre e, grazie alla vittoria del Campionato Metropolitano, la gratitudine di quella che è riconosciuta come la più appassionata tifoseria d’Argentina per il Dio del Futbol, divenne eterna.

Boca

Una partita alla Bombonera

Arriviamo alla Boca il giorno in cui si gioca una delle prime giornate di campionato. Non è una partita di cartello, gli Xeneizes affrontano la Platense. Sarebbe una partita come le altre se, sulla panchina della squadra ospite, non sedesse una delle leggende Bosteros, quel Martin Palermo la cui immagine, oltre a quella, naturalmente, di Maradona, ma anche di Tevez e Riquelme, altri idoli locali, è effigiata nei tanti murales che colorano le vie del quartiere. Palermo è stato una leggenda del club negli anni d’oro di Carlos Bianchi, quando il Boca fece incetta di campionati, libertadores e intercontinentali. E, infatti, tutto lo stadio gli tributa un’accoglienza da re, al coro di Muchas gracias Palermo!. Tramite un’amica argentina a Udine, siamo riusciti a procurarci il contatto di un abbonato del Boca, che, prima dell’inizio del match, ci passa l’abbonamento suo e di un amico. I controlli ai varchi d’ingresso sono decisamente più laschi che da noi e, benché abbia l’abbonamento intestato a un uomo, anche mia moglie riesce ad entrare senza problemi. Per fortuna, qui il giorno della partita non si riduce a un complicato slalom tra tornelli, tessere del tifoso e biglietti nominativi. C’è aria di festa, ai lati delle stradine che portano allo stadio la gente arrostisce salsicce.
La Bombonera è stato inaugurato nel 1940, su progetto dell’architetto Jose Delpini, ispirato a quel razionalismo italiano di epoca fascista le cui tracce sono evidenti nella grande scalinata interna, nella pancia della gradinata centrale, dove c’è l’enorme quadro che rievoca le origini del club. Anche per una partita non certo di cartello, lo stadio è colmo all’inverosimile e, se non fosse stato per il nostro contatto argentino, sarebbe stato impossibile trovare un biglietto. La cosa che più ci impressiona, agli occhi di noi appassionati europei, ormai abituati a impianti standardizzati, fatti per ospitare tifosi- consumatori di uno spettacolo che serve per vendere altro, è l’assoluta mancanza di vie di fuga. Se mai dovesse malauguratamente succedere un incidente, si farebbe la fine dei topi. Anche in tribuna la gente assiste per lo più in piedi alla partita, stretti uno sull’altro, roba che se, per assurdo, uno morisse, continuerebbe a saltellare trascinato dai suoi vicini. Ed è, probabilmente, questo tipo di sacrificio che esige la passione viscerale degli argentini per la pelota. Non è un caso se proprio in Argentina, negli anni venti del novecento, sono nate le Barras Bravas, il primo esempio di tifo organizzato legato al calcio. 

La Bombonera

Locos por el futbol

Del resto, gli argentini, come ci dice anche il tassista che ci riporta in albergo, al termine della partita vinta facilmente dal Boca, sono locopor el futbol. Dove altro si potrebbe anche solo raccontare un episodio, come quello riportato da Osvaldo Bayer, del custode dello stadio del Newell’s di Rosario che, vedendo una signora che rimaneva seduta sulle gradinate a fissare il campo a braccia conserte, nonostante la partita fosse finita da un pezzo, avvicinandola per sollecitarla ad uscire, si accorse che era morta?

 

Enrico Frabetti Ferrarese di nascita, friulano per amore, come GAleno col tempo ho finito per assumere la mia identità: non sono altro che un mendicante di bel calcio. Anarchico per indole, sono convinto che la sola forma di governo possibile sia la Democrazia Corinthiana.

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