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Curva Sud. Chi ama non dimentica

In Curva Sud chi ama non dimentica. Ci sono calciatori che passano e altri che rimangono, alcuni si ricordano e altri si perdono nella memoria. Poi c'è chi pur passando velocemente lascia comunque un segno nei tifosi. Calciatori e persone perbene.
Curva Sud

 “…passano gli anni, cambiano i giocatori, e anche i presidenti, ma noi saremo qua…”
È un passaggio di un coro assai noto e più volte cantato da chi la Curva Sud la vive, ieri, oggi, sempre, da chi ama e non dimentica.
Chi ha nel cuore tanti anni di tifo e Curva Sud di sicuro non dimentica quanti calciatori hanno indossato la maglia giallorossa.
Non potrà di certo ricordare tutti i nomi, quello è solo un privilegio di chi ha un data-base nella mente, un computer vivente che si chiama Antonio Bongi, tifoso mitico e fondatore di un gruppo chiamato semplicemente Boys (1972).

Nel mio modesto ruolo di tifoso, ormai lontano dall’Olimpico e dalla Curva Sud da molto tempo, riesco a ricordare gran parte dei nomi e volti di quei giocatori che mi hanno fatto gioire, ma anche incazzare, che il destino ha voluto a Roma e nella Roma.
Proprio in questi giorni la mente è ritornata indietro nel tempo ricordando alcuni calciatori che a Trigoria erano spesso disponibili al dialogo, altri tempi, altre situazioni.

Tra i tanti con cui ho avuto piacere di dialogare ne ricordo due in particolare; non hanno lasciato un segno indelebile nella storia della Roma, ma hanno contribuito, con i loro modi di fare, a renderla parte di noi tifosi.
Non hanno cognomi da copertina ma sono stati baciati dalla fortuna nell’indossare la maglia con la lupa capitolina sul petto e quelle tre lettere importanti ASR.
Quello che mi porta a ricordarmi di loro è la loro grande disponibilità ad intrattenersi e a parlare con i tifosi che li trovavano sempre gentili e disponibili al dialogo, a un saluto, un autografo o una foto.

Roberto PolicanoRoberto Policano

Terzino, ogni volta che la Roma giocava in casa lo trovavi, tempo permettendo, a fine partita nei pressi della tribuna Monte Mario, appena fuori i cancelli.
Si parlava della partita, della squadra degli avversari, tranquillamente, sempre pronto a dare una risposta certa, con il sorriso stampato sul volto, tutto questo per la romana gente.
Ogni domenica, stesso posto, stessa ora.
In fondo per lui era come un sogno realizzato nel modo migliore, per uno che nasce a Roma, giocare nella squadra della Capitale, significava aver sfidato il destino e averlo persino battuto.
In qualche modo, visto il ruolo che ricopriva, viene da dire aver sottratto elegantemente il pallone all’avversario.

La militanza di Roberto Policano nell’A.S.Roma è stata breve, nonostante ciò è riuscito a segnare cinque reti, godendosi tutto l’affetto del pubblico romanista. Il ricordo che lascia va oltre il campo da gioco, in quello spicchio di posto fuori lo Stadio dove spesso si fermava a parlare con i tifosi.

In campo un terzino, fuori un uomo umile e semplice.

Gianluca SignoriniGianluca Signorini

Difensore centrale: “Vorrei alzarmi e correre con voi, ma non posso. Vorrei urlare con voi canti di gioia, ma non posso. Vorrei che questo fosse un sogno dal quale svegliarmi felice, ma non lo è. Vorrei che la mia vita riprendesse da dove si è fermata…”

Questa è una frase storica di Gianluca Signorini detta prima di lasciarci.

Con lui ho avuto modo di parlare e dialogare, a volte persino di discutere educatamente e nel rispetto della persona. Ogni volta che penso a Gianluca Signorini mi ritorna in mente un signore del calcio sempre gentile e sorridente e con il quale si poteva parlare anche a lungo, perché tanta era la sua generosità nei confronti dei tifosi che non mostrava mai fretta di tagliare un discorso.

Una sola stagione con la maglia della Roma, ma il suo ricordo è rimasto nel cuore di chi non dimentica, perché il calcio non è solamente un gioco in campo, certe volte è proprio come ti comporti nella vita comune che fa di un giocatore un simbolo di sportività.
Signorini era di buona pasta, tutt’altro che personaggio, anzi piu’ persona, uno come noi.

La sorte maledetta ha voluto portarselo via, colpito da SLA.
Nonostante la malattia è riuscito sempre a esprimere il suo ruolo elegante di uomo prima, di calciatore poi, fino alla sua ultima apparizione in campo a Genova, per un evento a scopo benefico nel 2001. Una malattia, vestita da arbitro, ha tirato fuori il cartellino rosso costringendolo a uscire dal campo.

Chi ama non dimentica

Questo è il significato di chi ama non dimentica: ricordare a distanza di tempo due giocatori che, al di là dei meriti sportivi e delle qualità tecniche, hanno indossato onestamente la maglia, nelle loro stagioni sono stati protagonisti del calcio romano e, soprattutto, sono state persone perbene.

 

Stefano Trippetta 66 anni, romano. Scrittore non per vocazione ma solo per passione rivolta alla città che fortunatamente mi ha voluto, scelto e cresciuto. Attraverso il filtro di una buona memoria sono riuscito a dividere questa grande madre: da una parte la Roma del cuore, la Lupa, tatuata con orgoglio; dall'altra quella razionale legata a ogni tipo di cambiamento, atteggiamento, costume.

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