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Elogio della Gara

A 57 anni, oggi, mi sento ancora un ragazzino agonista, perché l’agonismo è un modo di essere che non ti lascia mai; ho molta nostalgia del ragazzo che ero nello sport e rivivere le emozioni di qualche bella gara del passato sono certo che mi farebbe molto bene.
Renato Vichi

La Gara

Il sudore si raffredda sulla fronte e fuori fa freddo.
È dicembre e siamo nella palestra del San Giuseppe a Roma e non un a gara qualsiasi, ma è la Gara.
L’arbitro si avvicina ai due contendenti. La stanchezza è tanta: le ossa, i lividi sulle tibie, sulle braccia.
Mi tocco la cintura e sistemo il kimono.
È l’ultimo kumité del campionato italiano di karate per il terzo e quarto posto. Sono quattro ore che gareggiamo a turno.

Ecco, l’arbitro dà il via con un comando in giapponese ihajime che significa Inizio.
ll mio avversario è determinato, aggressivo, più esperto di me e scalcia molto verso il basso per prendermi le caviglie. Ad una ha già procurato un livido che poi si dimostrerà una frattura al malleolo sinistro.  Lo anticipo e contrattacco con una tecnica di gamba che si appoggia perfettamente sul suo stomaco.
È un punto pieno, che in giapponese si chiama ippon.
Ora sto zoppicando, lui continua a puntare alla caviglia claudicante.
Lo sorprendo ancora, viene avanti e questa volta il mio braccio si allunga verso il suo viso. È un altro ippon.
L’arbitro alza la mano e il terzo posto è mio.
Abbasso la testa e avrei quasi voglia di piangere per la felicità. Ce l’ho fatta.

Ecco questo è il ricordo più nitido ed indelebile della mia vita di agonista.
Un ricordo intenso che si è stampato nella mia memoria perché non è felicità, nemmeno soddisfazione, ma tocca un’altra parte del nostro cervello. È un’emozione che investe la mente e che solo un agonista può assaporare: la vittoria piena dopo tanto allenamento, concentrazione e fatica.

Tutto parte dalla testa, dalla concentrazione, dalla voglia di vincere e fare bene, senza sbagliare un colpo e studiando bene le proprie reazioni oltre a quelle dell’avversario. Che percorso! Sembra un attimo, ma abbraccia tutta una vita di pensieri, dubbi, allenamenti, delusioni per poi ricominciare di nuovo.
Lo sport è questo. Passione, impegno, resilienza, convinzione, concentrazione.

Il sudore lo sento ancora quando ricordo quei momenti, perché in quei momenti il tempo sembra guardarti negli occhi e dire…ora tocca a te. Ci sei tu, qui, in questo momento e ogni tua azione è esattamente quello che sei e che farai.
Non ci sono trucchi, inganni o altro.

Ma la mia vita di agonista non si esaurisce qui.
E soprattutto la mia vita non si è fermata al karate.

Il nuoto tra rinuncia e rivalsa

La mia formazione ha avuto inizio molto tempo prima, a sei anni quando nel 1969 mia madre decise di portarmi in piscina.
Tutto nacque da una famosa insegnante di nuoto che disse proprio a mia madre…lo porti subito in piscina, ha talento”.
E così fu, ma come in ogni bella favola c’è anche la strega cattiva che arrivò puntuale quando quel pomeriggio in piedi sul podio il piccolo pesciolino talentuoso si blocca e non parte.
Piangevo, ero rigido come un legnetto e un vecchio istruttore tutto di un pezzo che non aveva certo tempo da perdere mi urlava di tuffarmi e nuotare. Ma io piangevo. Un blocco terrificante perché l’acqua era blu scuro e io avevo paura di tuffarmi in quell’acqua. Quel giorno il pesciolino talentuoso si bloccò e con grande delusione di mia madre tornai a casa.
Era finita: il nuoto non era il mio sport.

Dopo qualche mese però quel ragazzino di sei anni ebbe una sorta di rivincita personale. Volevo tornare in piscina e convinsi mia madre a iscrivermi di nuovo. Macinai brevetti in capo ad un anno e sempre dopo i brevetti si spalancarono le porte dell’agonistica.

Erano tempi d’oro, quelli in cui Novella Calligaris aveva acceso le glorie italiane e tutti noi ragazzini cercavamo di emularla.
Quell’acqua blu non mi faceva più paura e quando mi ritrovai sul podio con la prima medaglia, la voglia di gareggiare aumentava: rana, dorso e ancora rana e dorso le mie specialità.

Il pesciolino aveva trovato la voglia di gareggiare e di nuotare. Effettivamente mi riusciva bene. Ancora oggi riesco a nuotare con uno stile impeccabile, ma dopo poco mi stufo. Il nuoto è uno sport duro, ripetitivo e ci vuole tanta motivazione.
Adoro Federica Pellegrini perché si è allenata duramente, ha vinto anche la voglia di smettere che ogni tanto le bussava alle spalle ed è arriva alle grandi competizioni preparata e convinta. Una donna eccezionale, motivata e di grande carattere e lo sport agonistico privilegia queste caratteristiche, non si fa solo con la forza fisica.

Si possono avere grandi doti atletiche, ma scarse potenzialità mentali, e questo penalizza un vero campione. Lo vediamo nel calcio, accanto a grandi giocolieri si sono palesati spesso anche pessimi individui.

Agonismo, un modo di essere.

Quando iniziai a giocare a pallanuoto mi accorsi delle mie reali potenzialità acquatiche. Non erano tutte perfette, qualcosa mi riusciva meglio altre molto di meno. Ero veloce, scartavo bene l’avversario, ero resistente ma poco abile con la palla.
In realtà segnavo ma ero più bravo a posizionarmi in acqua per farmi trovare pronto.
La pallanuoto è uno sport duro, si macinano tanti km in acqua, devi avere dei polmoni super dotati e riflessi molto veloci.

renato vichiTutte queste sensazioni non sono sparite.
Oggi a 57 anni mi sento ancora il ragazzino agonista: pratico la boxe con professionisti molto seri e preparati e ho scoperto un altro mondo meraviglioso.
Salire su un ring non è una passeggiata. Inizialmente fa paura. Anche con una buona tecnica, sul ring è tutta un’altra storia. Ci sei tu e c’è il tuo avversario.
La prima volta che sono salito per fare sparring mi sono detto…e ora cosa faccio?
Ho scoperto ancora come da ragazzo che lo sport è un percorso mentale oltre che fisico e la boxe mi ha fatto ritrovare questa voglia e soprattutto queste emozioni.
Mi piacerebbe moltissimo poter essere di nuovo in gara, ma non scherziamo…qui ci si fa male sul serio. Quindi meglio continuare ad imparare e fare qualche sessione di sparring.

Non vi nascondo di avere molta nostalgia del ragazzo che ero nello sport, tornerei indietro per un solo attimo e ripetere qualche bella gara. Perché la gara non è solo competizione, ma un modo di esistere in quel momento per fare qualcosa che ci piace, che ci sembra insormontabile, ma che poi riusciamo a toccare con le nostre mani.
Eh sì, lo sport è vita.

Renato Vichi Manager della comunicazione, giornalista ed esperto di social media. Inizia la sua carriera di giornalista all’Ansa, dopo un’intensa attività all’ufficio stampa della NATO e prima ancora alla Hill & Knowlton a New York. Sbarca poi come direttore in alcune agenzie di comunicazione internazionale per poi arrivare al settore finanziario prima in UniCredit poi in UBI e infine in Intesa Sanpaolo dove ricopre il ruolo di Executive Director della Comunicazione e dei Rapporti Istituzionali delle banche estere

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