Search
Close this search box.

Il Giro dell’Atlantico. La corsa ciclistica dimenticata

1954. Per la prima volta si corre in Brasile il Giro dell'Atlantico, una delle più incredibili corse ciclistiche al mondo. Una corsa dimenticata, ma forse sarebbe meglio dire praticamente sconosciuta.
Giro dell'Atlantico 1954

Fate un passo indietro, provate a immaginare di essere nel 1954. Forse non eravate nati, ma del ’54 qualcosa sicuramente sapete. Da noi si accende la televisione, la RAI con il suo canale unico diventerà presto una finestra sul mondo, spettacoli e notizie iniziano a vivere una nuova vita e nessuno ancora immagina la velocità che prenderanno. Accade anche che Gaspare Pisciotta beva un caffè corretto all’Ucciardone, che Ardito Desio, Achille Compagnoni e Walter Bonatti conquistino il K2, che Trieste torni italiana e che il caso Montesi scuota la politica. C’è anche un matrimonio del secolo che ci riguarda, quantomeno di riflesso viste le origini siciliane di Joe Di Maggio che sposa Marylin Monroe. In Svizzera invece accadono cose straordinarie, tipo la Germania Ovest che vince una Coppa del Mondo che passerà alla storia come il miracolo di Berna. A Dien Bien Phu, invece, finisce la storia francese in Indocina, ma questa è veramente un’altra storia.
Ebbene tra le tante cose che accadono nel 1954 ce n’è una che, ammesso che voi ci foste, forse vi è sfuggita al tempo, ma che sicuramente è stata dimenticata dopo. C’è da dire che dalle nostre parti gli appassionati di ciclismo probabilmente ancora discutevano sull’inattesa vittoria dl Giro d’Italia che lo svizzero Carlo Clerici, il gregario con un Giro da campione, si era portato a casa da qualche mese.
Ecco, sono abbastanza sicuro che di quella vittoria a quei sessantadue ciclisti che il 12 ottobre si presentano ai nastri di partenza del Giro dell’Atlantico, anzi della Volta do Atlantico, importasse assai poco.

Giro dell'Atlantico 1954
(Photo Credit: Federação Mineira de Ciclismo)

Siamo in un altro mondo, o comunque in un altro continente

Siamo a Porto Alegre, Rio Grande do Sul, Brasile e quei sessantadue stanno per iniziare un’avventura che non dimenticheranno mai: il Giro dell’Atlantico, anzi “Volta do Atlantico” a dirla correttamente, avventura ciclistica oggi praticamente sconosciuta.
Non ho idea se il 12 ottobre sia solo una coincidenza con il giorno della scoperta colombiana dell’America, ma certo è che quel giorno i sessantadue ciclisti hanno davanti un compito che non fatico a definire eroico: correre 1.739 chilometri da Porto Alegre a San Paolo, su ogni tipo di terreno e con difficoltà inimmaginabili.
I sessantadue alla partenza sono brasiliani, venezuelani, colombiani, cileni e uruguaiani, gente che non teme nulla, né fatica, né dolore e né imprevisti.  Nulla, perché loro sono ciclisti eroici. Nomi e cognomi di molti, però, raccontano anche altro. Nomi e cognomi di molti parlano italiano come quello dell’uruguaiano Dante Sudati, nato però nella padania profonda di Pontirolo di Drizzona, o come soprattutto quello del venezuelano ma romanissimo Franco Cacioni. Su di lui torneremo tra un attimo.

Giro dell'Atlantico 1954
(Photo Credit: Federação Mineira de Ciclismo)

Un percorso infernale

I 1.739 chilometri erano stati distribuiti in diciannove tappe, ma in corso d’opera il percorso fu leggermente modificato, portando a 1.667 i chilometri finali e a sedici le tappe.  I nostri sessantadue ciclisti si trovarono davanti regioni deserte, fiumi da guadare, spiagge piattissime di cui a perdita d’occhio non si vedeva la fine e sulle quali correre a perdifiato, chiatte malmesse per farsi traghettare verso una qualche località altrimenti irraggiungibile, sterrati fangosi dove persino le macchine appoggio rimanevano impantanate. In ultimo, quando andava di lusso, anche qualche tratto di strada asfaltata. Di questa impresa e della sua fatica, le foto che abbiamo rintracciato ci restituiscono una misura estetica inequivocabile.

Giro dell'Atlantico 1954

Il mistero del vincitore

Dei sessantadue ne arrivano sedici e 60 ore, 59 minuti e 47 secondi è il tempo che serve a Franco Cacioni per vincere la Volta do Atlantico, il primo Giro del Brasile. Dietro di lui con 61 ore, 8 minuti e 44 secondi l’uruguaiano Dante Sudati, seguito nell’arco di una ventina di minuti dalla pattuglia dei tre colombiani che si sentivano i predestinati alla vittoria – e che, in effetti, la sfiorano – e poi ancora, nella mezz’ora successiva, da tre brasiliani.
A prima vista tutto sembra lineare, ma c’è un particolare che non torna. Romano nato nel 1933, la prima traccia venezuelana di Franco Cacioni la troviamo nel 1951 quando, appena diciottenne e sbarcato a La Guaira, si tessera subito con il locale Club Venezuela e inizia da subito a fare quello che sa fare bene: correre. I risultati non si fanno attendere, visto che nello stesso anno al velodromo José Pérez Colmenares batte il record nazionale di inseguimento su pista. Una carriera che inizia così, che lo vedrà vincere la Volta do Atlantico nel 1954 e che, con i colori della nazionale venezuelana, lo porterà alle Olimpiadi di Melbourne del 1956.
Il fatto però è che più fonti danno Franco Cacioni naturalizzato venezuelano nel febbraio 1955.
Se questo è vero come dovrebbe essere, allora significa che la dimenticata prima e unica Volta do Atlantico batte bandiera italiana e pulsa di cuore romano.

Dopo l’impresa

Finita la carriera ciclistica, di Franco Cacioni si perdono le tracce salvo sapere che il suo ultimo giro arriva il 12 aprile del 1995.
Dieci anni fa, nella ricorrenza dei sessanta anni dalla corsa, la Federazione ciclistica di Minas Gerais ha organizzato un’edizione celebrativa alla quale hanno partecipato anche tre ciclisti che la corsero al tempo: Luis Carlos Secco 79 anni, Guglielmo Giovanni 77 anni, Newton Saliba 77 anni.
Dal 2014 sono passati altri anni.
Ci piace pensare che Luis Carlos, Guglielmo e Newton, ovunque siano, pedalino ancora insieme.

 

 

Marco Panella, (Roma 1963) giornalista, direttore editoriale di Sportmemory, curatore di mostre e festival culturali, esperto di heritage communication. Ha pubblicato "Il Cibo Immaginario. Pubblicità e immagini dell'Italia a tavola"(Artix 2015), "Pranzo di famiglia. Una storia italiana" (Artix 2016), "Fantascienza. 1950-1970 L'iconografia degli anni d'oro" (Artix 2016) il thriller nero "Tutto in una notte" (Robin 2019) e la raccolta di racconti "Di sport e di storie" (Sportmemory Edizioni 2021)

ARTICOLI CORRELATI

Steve McQueen

Steve McQueen. Una vita e 22 secondi

Una sera d’agosto, Steve McQueen ed io. Un tempo sospeso per raccontare i 22 secondi della 12 Ore di Sebring 1970, quando Steve con Peter Revson su Porsche 908 arrivano secondi dietro alla Ferrari 512S di Mario Andretti. 22 secondi che sono la storia della sua vita. Un’intervista impossibile, ma nulla è più reale di un amico immaginario.

Leggi tutto »
Carlo Mazzone

Carlo Mazzone. Cuore nostro

Carlo Mazzone ha cambiato campo. Lontano da ogni divismo, per tutti noi che gli abbiamo voluto bene e che continueremo a volergliene, Carletto è un esempio. L’esempio del calcio che ci piace. L’esempio di un calcio che con ostinazione continuiamo a pensare che non possa sparire. Il viaggio inizia adesso, per lui e per noi senza di lui.

Leggi tutto »
San Giuseppe Due

San Giuseppe Due. Una feluca in Antartide (II)

Le missioni in Antartide della feluca San Giuseppe Due. Dopo aver raccontato il viaggio del 1969, dalla penna di Claudio Ressmann che ne ha scritto sul numero di luglio 2019 del Notiziario del Centro Studi Tradizioni Nautiche della Lega Navale, ecco la cronaca del viaggio del 1973.

Leggi tutto »
Gianmarco Tamberi e Chiara Bontempi

Tamberi. Love over gold

Gianmarco Tamberi è oro mondiale a Budapest ed entra nella storia dello sport. C’è anche altro, però. C’è un salto verso la tribuna, c’è un bacio e una medaglia che cambia collo. Il bacio di Gianmarco alla moglie Chiara è l’esempio che squarcia la cronaca buia di questi giorni, cronaca di sopraffazione, di violenza e miseria culturale. Il bacio di Gianmarco e Chiara ci ricorda come possiamo essere.

Leggi tutto »
Madness

I Madness tra ska-blues, Camden Town e Stamford Stadium

Un inno può segnare per sempre una generazione. Ma anche un’intera curva. L’epicentro della febbre a 90 è Camden Town. A nord di Londra, negli anni 70′, dove non c’era storia. O eri uno skineheads o un mods. Botte, risse, e quella nuova moda chiamata ska. Il calcio incrocia da sempre gli stili e le mode della società. In quel 1979 quel passo in avanti avrebbe scombussolato le placide acque del Tamigi.

Leggi tutto »
SPORTMEMORY VACANZA

La villeggiatura e il ciclismo pop delle biglie

Sportmemory racconta storie e rispetta il rito della vacanza agostana che, dell’Italia, è una grande storia di costume dentro la quale ci siamo un po’ tutti. Torneremo con l’aggiornamento mensile il 5 settembre e, a seguire, il 5 di ogni mese che sarà la nostra nuova data editoriale. In questo mese, però, non vi faremo mancare del tutto le nostre storie. Ne pubblicheremo alcune in maniera estemporanea nella sezione Diorama e, come sempre, cercheremo di raccontarle non per informare, ma per emozionare.

Leggi tutto »



La nostra newsletter
Chiudi