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Luciano Bianciardi. Il fuorigioco mi sta antipatico

Luciano Bianciardi, con il suo sguardo profondo sulla società e sul costume, non poteva fare a meno di guardare anche al calcio. Naturalmente non poteva fare neanche a meno di guardarlo come metafora assoluta. Nel 1970 la sua rubrica su Il Guerin Sportivo buca con uno squarcio il conformismo e, parlando di calcio, parla del mondo. Faceva bene leggerla al tempo, fa bene leggerne anche adesso.
Luciano Bianciardi

Calcisticamente parlando, il 1970 è stato un anno memorabile. A fine aprile il Cagliari di Gigi Riva vince il campionato, conquistando uno scudetto il cui valore simbolico ha travalicato i confini dei campi di calcio. A giudizio di molti è con quella vittoria che la Sardegna ha spezzato in modo definitivo le catene del suo isolamento ed è entrata a far parte a pieno titolo dello Stato italiano. A giugno, ai Mondiali in Messico, la nazionale azzurra riscatta una serie infinita di fallimenti e delusioni e con la leggendaria semifinale contro la Germania fa impazzire tutta l’Italia. E come se non bastasse a fine settembre Gianni Brera sospende la sua rubrica di posta sul “Guerin Sportivo”, quello vero, novecentesco, che usciva nel formato lenzuolo dei quotidiani di allora, e cede il posto a Luciano Bianciardi, che raccoglie il testimone e comincia a rispondere ai lettori alla sua maniera.

Una rubrica sul mondo

Il fuorigioco mi sta antipatico è la raccolta di quella rubrica, con le domande dei lettori e le risposte di Bianciardi, che prende la palla al balzo e parte dal calcio e dallo sport per parlare di tutto quello che gli pare. Da Rivera al divorzio, da Gigi Riva al Risorgimento, da Nereo Rocco a Fanfani, da Helenio Herrera a Giorgio Bassani e così via. Senza freni e senza limiti. Come piaceva a lui.
Nelle risposte ai lettori Bianciardi parla di sport, letteratura, storia, cinema, politica, sesso. Basta aprire il libro a caso e leggere. Per esempio, a pagina 42, rispondendo a tale Angelo Comini di Salerno, come se fosse niente ti mette lì una palla con il contagiri che neanche il miglior Rivera: «Lei sa chi fosse il povero Jack Kerouac, vero? Ebbene Giancarlo Fusco, obiettivamente, lo contiene tre volte, con l’avanzo di due. Solo che Fusco le cose più belle non le scrive, le racconta al caffè».
Ancora un paio di esempi per capirci.

26 ottobre 1970

Illustre Bianciardi, vorrei una definizione telegrafica dei seguenti personaggi: 1) Helenio Herrera, 2) Mike Bongiorno, 3) Giorgio Bocca, 4) Gianni Brera, 5) Dacia Maraini. Grazie     Federico Cibelli – Foggia
«Signor Cibelli, telegraficamente le rispondo: 1) Un barbiere che si è dedicato al calcio; 2) La mediocrità fatta televisione; 3) Un reduce di sinistra; 4) Un letterato che ha l’hobby dello sport; 5) L’unica Dacia consentita a uno scrittore italiano.»

15 maggio 1971

Mi faccia, per favore, la nazionale italiana formata da scrittori viventi, con votazione (stellette dall’1 al 5, come usa il “Guerin Sportivo”) e mi dia una spiegazione tecnica della attribuzione dei ruoli a ciascun componente della squadra.
«Ecco la formazione. Mettiamo in porta Giorgio Bassani (**), che fa del suo meglio per ‘parare’ i vandali di casa nostra. Giovanni Arpino (***) farà il terzino d’ala, e come lui Mario Soldati (***). Sono due ottimi oriundi: jugoslavo il primo, piemontese il secondo. Come stopper sceglierei Alberto Bevilacqua (*), ottimo nella marcatura di editori, critici, amici. Libero? Sicuramente Libero Bigiaretti (***). Il mediano di spinta sarà Alberto Moravia (**), che spinge i suoi libri con una possa inesauribile. Centrocampista, con la maglia numero 7, cioè travestito da ala, Alberto Arbasino (*). Felicissimo nei travestimenti. All’attacco, punta avanzata, con la maglia numero 11, Giuseppe Berto (***), che somiglia molto al Riva messicano. Numero otto, Bianciardi (***), con incarichi di spola fra Rapallo e Milano. Altra punta, col nove, Oreste del Buono (***), piccolo ma ficcante. Daremo infine il numero dieci a Giancarlo Fusco (****), che ha una fidanzata del ’10. Voglio dire, nata nel 1910, dopo Cristo.»

Luciano Bianciardi

Il libro è una goduria e fa bene al corpo e allo spirito

Solo un paio di note per inquadrarlo meglio. Luciano Bianciardi è stato uno scrittore strepitoso e un uomo buono e incazzato; ce l’aveva un po’ con tutti, ma ha finito per fare del male solo a sé stesso. Amava il Risorgimento, il calcio e le gambe della Carrà. La sua rubrica di posta sul “Guerin Sportivo” comincia il 28 settembre del 1970 e va avanti fino alla sua morte; anzi l’ultima uscita è quella del lunedì successivo alla sua scomparsa, 15 novembre 1971. Dunque, è il suo ultimo anno di vita, quello più tragico, durante il quale Bianciardi, tornato dall’esilio di Rapallo, si era sistemato in un appartamento trovato da Maria, la sua compagna che però, per salvare sé stessa e il loro bambino, se ne era andata a Parigi lasciandolo più disperato che mai a completare la sua autodistruzione. Le poche volte che Bianciardi usciva di casa si trascinava per le strade di Milano disfatto dall’alcool e dalla solitudine. Per molti versi era un morto che camminava, eppure anche a più di cinquanta anni di distanza le sue parole hanno una carica di intelligenza e di ironia a dir poco travolgente. Leggetelo!

Silvano Calzini è nato e vive a Milano dove lavora nel mondo editoriale. Ama la letteratura, quella vera, Londra e lo sport in generale. Ha il vezzo di definirsi un nostalgico sportivo.

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