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Il calcio. La mia vita fortunata

Una vita sui campi, dal torneo parrocchiale alla Primavera della Roma, da calciatore ad allenatore, dalla Nazionale giovanile di Malta alla Nazionale militare italiana. Una vita di calcio, di passione e di divertimento. Una vita di scelte fortemente volute. Una vita fortunata, perché scegliere aiuta sempre la fortuna.
Fabio Branchini calcio

Se devo dirla tutta, posso considerarmi proprio un uomo fortunato.
Ho avuto un padre e una madre meravigliosi. Sì, capisco, può apparire un po’ retorico, soprattutto quando – purtroppo – i propri genitori passano ad altra vita. Per me, ragazzino che aveva scelto il calcio, non è stato così.
Anzi li ringrazio per la libertà e la fiducia che hanno riposto in me, cosa non facile a quel tempo per i ragazzi della mia generazione.

Sono nato nel 1960, ho un figlio diciannovenne, Niccolò, che non mi mai dato preoccupazioni di alcun genere e ho fatto nella vita proprio ciò che desideravo fare. Anzi, vorrei aggiungere che, se la vita è una stratificazione di scelte, penso proprio di aver fatto sempre, o quasi, quelle che ho ritenuto giuste al momento, talvolta a scapito di una carriera sportiva che avrebbe potuto darmi maggiori soddisfazioni, ma ho fatto sempre tutto senza alcun rimpianto.

Mio padre voleva assolutamente che sia io che mia sorella Barbara facessimo dello sport, e che studiassimo naturalmente; per lui  Mens sana in corpore sano era molto di più che un semplice motto. Ne era fortemente convinto, e io, che da ragazzino ero sempre con il pallone tra i piedi, come la gran parte dei miei coetanei, scelsi quella strada.

Dal torneo parrocchiale alla Roma Primavera

Fu così che mi avvicinai al calcio e volli partecipare a un Torneo parrocchiale dai Fratelli Maristi all’Eur, il quartiere di Roma dove ho sempre vissuto. Lì ritrovai compagni di scuola e di quartiere, ragazzi con i quali avevo già in precedenza tirato calci al pallone tra i quali i fratelli Scarnecchia, diventati poi grandi amici.
Avevo dieci, forse undici anni, posso datare i primi anni ’70 come gli inizi del mio percorso calcistico.

Il torneo durò il tempo necessario perché venissi notato e selezionato per entrare nella Società calcistica Unione Sportiva Eur. Iniziai così a fare un percorso agonistico che si rivelò abbastanza regolare. Passai in tempi ragionevolmente brevi nelle giovanili della Roma dove rimasi quattro anni, fino a quando non raggiunsi l’età per entrare nella “Primavera”.

A quel punto dovetti fare la prima scelta.
Luciano Moggi, che all’epoca era responsabile del settore giovanile dei giallorossi, mi prospettò la possibilità di andare a giocare in serie C indicandomi un paio di squadre campane. Forse per qualche legittimo timore, o per altro, non saprei in verità dire le ragioni per le quali rifiutai quell’opportunità.
Chiunque altro avesse voluto fare calcio l’avrebbe colta al volo. E io ero ben consapevole di voler fare il calciatore. Però andò così.

Da calciatore ad allenatore

Come ho detto, fu una scelta, neanche tanto difficile da prendersi.
Peraltro avevo anche la possibilità di fare altre cose nella vita, mio padre, che continuò a lasciarmi libero nelle mie decisioni – aveva un’azienda di sua proprietà – mi consentì di iniziare a lavorare, permettendomi di giocare al calcio, seppure in ambito dilettantistico.
La prima squadra fu il Ceccano, che proprio qualche mese fa ha voluto invitarmi a un evento e gratificarmi in qualità di “vecchia gloria”. Da lì in poi ho girato sempre per squadre di cittadine poco distanti da Roma, Ladispoli, Tuscania, Cerveteri, giusto per citarne qualcuna, che mi hanno consentito di giocare per ulteriori nove, dieci anni. Diciamo fino ai trenta.

Ero comunque consapevole che il mio futuro sarebbe stato sui campi di calcio, di pozzolana o di erba non importa, ma la mia vita doveva andare avanti sui rettangoli di gioco.

Negli anni di attività calcistica acquisii la consapevolezza di essere portato per le relazioni, per l’ascolto e la gestione del gruppo, a mio avviso requisiti fondamentali  per iniziare un percorso da allenatore.
Fu questa infatti la mia nuova scelta.

Iniziai questa avventura nel settore giovanile della ASD Savio, una prestigiosa società di Roma dove rimasi circa sei anni; partii dai pulcini, passai agli esordienti, poi agli allievi.

 A Malta!

Grazie all’esperienza acquisita e a una segnalazione pervenuta dalla FIGC, per la quale nel frattempo lavoravo, fui incaricato di andare a Malta come responsabile del settore giovanile della Federazione maltese per la quale già da un paio d’anni l’amico Pietro Ghedin, ex calciatore della Lazio, ricopriva il ruolo di Commissario Tecnico della Nazionale.
Con Pietro nel 1994 mi trovai a essere tra i primi italiani a fare l’allenatore all’estero.

Nazionale giovanile maltese
(Malta. Nazionale under 16)

I due anni che ho trascorso nell’isola sono stati affascinanti, mi hanno fatto crescere professionalmente e umanamente, e mi hanno consentito di perfezionare il mio inglese. In quel Paese, di fatto poco distante dal nostro, ho capito quanto fosse importante per loro la nostra storia e tradizione calcistica, ma anche per via della stima e del rispetto verso gli italiani e il Paese intero.

Una delle più belle esperienze con l’Under 16 maltese la feci in Israele in occasione di un torneo internazionale.
Noi eravamo ovviamente i meno accreditati, avremmo dovuto affrontare compagini come la Germania, la Francia, la Svezia, etc. Passammo lì un lungo periodo tanto da poter alternare agli allenamenti e alle partite anche escursioni turistiche nei luoghi sacri che mi sono rimasti nel cuore come il Fiume Giordano, il Mare di Galilea, Nazareth, Betlemme, solo per menzionarne alcuni.

Ma torniamo al calcio giocato.
Arrivò il giorno in cui incontrammo la Francia, una delle realtà europee più forti del momento.
Sin dai primi calci e dall’atteggiamento in campo ci rendemmo conto che ci avrebbero trattato per tutta la partita con una sorta di snobismo.
A dieci minuti dalla fine, grazie a una punizione dal limite dell’area francese, il nostro difensore Massimo Grima fece goal.
Quegli ultimi minuti venimmo presi a pallate, ci difendemmo strenuamente ma la vittoria fu nostra.

In un’altra occasione, a Gozo incontrammo la Nazionale italiana in cui, tra gli altri, giocavano Pirlo, Baronio, Rocchi.
Perdemmo uno a zero a pochi minuti dalla fine. Il rammarico fu tanto ma anche il legittimo orgoglio!!
Direi che le due storie appena raccontate possano valere tutte le ragioni per aver scelto di trascorrere un periodo della mia vita a Malta e con gli amici maltesi.

Studiare calcio a Coverciano

Dedicai gli anni seguenti allo studio del calcio per diplomarmi al Master di Coverciano dove tra gli altri colleghi c’erano anche Antonio Conte, Sebino Nela e Stefano Colantuono.

nazionale italiana under 16
(Italia. Nazionale under 16)

Nello stesso periodo ero diventato allenatore in seconda della Nazionale Italiana  Under 16 allenata da Antonio Rocca.
Esperienza che durò complessivamente tre anni e che mi dette l’occasione di conoscere e di allenare Cassano, Gilardino, Zaccardo. Giuseppe Rossi e tanti altri…

Ma fu l’esperienza successiva a quella appena citata che mi gratificò più di ogni altra, considerata a detta di molti una missione quasi impossibile.

Calcio con le stellette

Fui chiamato infatti ad allenare la Nazionale di calcio Militare affinché potesse partecipare al campionato mondiale.
In verità fui incaricato di allestire una squadra composta da un gruppo di atleti al momento praticamente inesistenti.
Infatti, con l’abolizione della leva obbligatoria mancavano i presupposti per poter formare una squadra che in passato aveva potuto contare invece su militari già calciatori professionisti. Dalla divisa ai “calzoncini militari” negli anni erano passati per quella Nazionale ragazzi come Del Piero, Cannavaro, Vialli e tanti altri nomi illustri.
Giocare al pallone era sempre meglio che fare le guardie.

E così mi trovai a dover fare il selezionatore partendo dal nulla.
A dicembre di quell’anno, era il 2003, avremmo dovuto disputare a Catania, in poco più di tre mesi, il mondiale per Nazionali Militari.

Il Campionato Mondiale per le Nazionali Militari

Seduto alla Cecchignola accanto al Maresciallo Alessandro D’Onofrio in quattro e quattr’otto utilizzammo tutti i mezzi di comunicazione con le varie caserme sparse nel nostro Paese richiedendo i curricula di coloro, militari di carriera, che in passato avevano calpestato campi da gioco, da dilettanti o professionisti.
Mettemmo su un centinaio di ragazzi che selezionammo uno ad uno.
Fu un continuo di provini e test alla Cecchignola.

(Warendorf, Campionato mondiale Nazionali Militari)

Riscontrammo grande volontà, del resto, indossare la maglia azzurra e fare un mondiale era motivo di orgoglio per tutti.
Temevamo tuttavia una brutta figura e invece arrivammo al Cibali in semifinale contro la Corea perdendo al Golden goal.
Ci aggiudicammo poi il terzo posto e la medaglia di bronzo grazie alla vittoria contro la Lituania.
Fu un’impresa incredibile, prima di iniziare il Torneo non avremmo scommesso neppure una lira.
Con la Nazionale Militare rimasi poi ulteriori quattro anni. in cui le cose andarono meglio se mi riferisco alla squadra che riuscii a mettere su, eppure due anni dopo in Germania a Warendorf fummo invece eliminati ai quarti di finale.

Gabriele Sandri

A chiusura di questa storia, durata oltre quarant’anni, vorrei citare un nome e un fatto che hanno trafitto il mio cuore e i miei sentimenti.

Lo sport, in tutta le sue sfaccettature, praticato a qualsiasi livello e in qualsiasi disciplina, deve essere gioia e divertimento.
Io ho avuto il piacere di conoscere e allenare Gabriele Sandri, un ragazzo pulito e amante della vita.
Purtroppo, il dramma di Gabriele nulla ha a che fare con lo sport e il tifo.
Fatti come quello non possono e non devono più accadere

 

Fabio Branchini

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