Ogni tanto occorre uscire dalla sfera calcistica e immergersi in altri sport nobili, tra questi, per eccellenza, il pugilato. Ho iniziato da piccolo a seguire la boxe, a dire il vero al tempo con poco interesse, ma trainato dalla passione di mio padre che da giovane, quando poteva, frequentava palestre dal rigoroso odore di sudore per vedere gli incontri di tanti aspiranti pugili, o pugilatori, come preferiva chiamarli lui. Ultimamente mi è capitato di leggere un nome strano, che solo dopo ho saputo essere un soprannome, legato alla storia delle Fosse Ardeatine. Di Bucefalo – questo il soprannome che mi aveva colpito – non sapevo nulla, così ho iniziato a cercare e, in qualche modo, gli sono diventato amico. Nato trasteverino in via de li Panieri, residente da sposato al numero 12 di via S’Angelo in Pescheria, Bucefalo si chiamava Lazzaro Anticoli, era di famiglia ebraica, si guadagnava da vivere facendo l’ambulante, ma era anche pugilatore, aspirava al titolo di campione nazionale e ai premi che l’avrebbero aiutato a mantenere la famiglia.
Il pugile di Trastevere
Nato nel 1917, Lazzaro si allenava nella palestra “Audace” vicino al Colosseo e quando poteva saliva sul ring dove combatteva, vinceva e convinceva. Complice anche lo zio “Lelletto” Leone Efrati, – bel pugile con trascorsi di match negli Stati uniti dove aveva combattuto anche per il titolo mondiale piuma – che lo allenava, Lazzaro aveva stile, coraggio ed era una forza della natura. A Trastevere, a Monti e al Ghetto erano in tanti a tifare per lui e per quel sinistro che lasciava il segno. Insomma, Lazzaro Anticoli aveva la stoffa per arrivare in alto, addirittura alle qualificazioni nazionali. Sulla trama del destino, però per lui era scritta una storia diversa.
L’anno dannato
Il knock out che gli fa più male arriva con le maledette leggi razziali del 1938 che, emulando quello che era già accaduto nella Germania nazista, estromettono gli ebrei dalla vita civile italiana e pongono le premesse della loro persecuzione. Ovviamente, la pratica sportiva non fa eccezione; Lazzaro non poté più boxare e invece di coltivare i suoi sogni di gloria, si trovò costretto a fronteggiare l’incubo peggiore, quello della persecuzione. Le leggi del ’38 furono solo l’inizio di una tragedia che trovò il suo epilogo con la guerra, le deportazioni e i campi di sterminio.
Il punto di non ritorno
Il 16 ottobre 1943 è un sabato, ma non sarà un sabato qualunque. Dopo l’armistizio dell’8 settembre, Roma è di fatto una città occupata dai tedeschi. Quel 16 ottobre passerà alla storia come il sabato nero, il sabato del rastrellamento del Ghetto quando 1.259 ebrei vengono arrestati. Di loro 1.023 saranno inviati ad Auschwitz. A Roma ne torneranno solo sedici. Lazzaro e la famiglia scampano al rastrellamento, ma a quel tempo chi segnalava la presenza di ebrei uomini, intascava una taglia pari a 5.000 lire. Negli anni in cui il sogno popolare erano le 1.000 lire al mese della canzoncina di Gilberto Mazzi, quelle 5.000 lire facevano gola a tanti. Anche a Celeste Di Porto. Diciottenne, ebrea anche lei, al Ghetto la conoscevano tutti e tutti sapevano che era diventata collaboratrice di fascisti e nazisti, ai quali vendeva informazioni e persone. Al Ghetto tutti la chiamavano “la pantera nera”.
Via Rasella
In una Roma che viveva i suoi giorni più drammatici, irrompe l’attentato del 23 marzo 1944 quando, al passaggio di una colonna di soldati tedeschi in via Rasella, i partigiani comunisti dei GAP fanno esplodere una bomba che fa trentadue vittime sul posto più un altro soldato che morirà nella notte. Nella contabilità della morte trentatré sarà moltiplicato per dieci e acquisterà un significato drammatico.
Quella mattina Bucefalo è in via Arenula con un paio di amici e tra le persone che gli camminano intorno ce né una che sarebbe stato meglio non incontrare: Celeste Di Porto. È lei che quando gli passa vicino lo saluta ad alta voce ed è lei a indicarlo a un gruppo di miliziani fascisti. Lazzaro e i suoi amici scappano, ma a un certo punto Lazzaro si ferma, è stanco di dare le spalle, si gira e affronta i suoi inseguitori. Ne stende tre, poi riprende a correre, ma si fa male a una caviglia, i fascisti – che nel frattempo sono aumentati – lo raggiungono, lo sopraffanno, lo arrestano e lo portano nel vicino carcere di Regina Coeli.
La rappresaglia nazista
La reazione del comando militare tedesco di Roma all’attentato si chiama rappresaglia, è immediata, categorica e terribile: ogni tedesco vale dieci italiani, ogni morto tedesco chiama dieci morti italiani. Le porte di Regina Coeli si spalancano: i 335 italiani vengono rastrellati da lì. Ce ne sono due in più: la morte arrotonda per eccesso. Uno di loro è Lazzaro Anticoli
Il 24 marzo i 335 italiani vengono portati in una cava di pozzolana sull’Ardeatina e fucilati sul posto.
Lazzaro in quella lista non doveva esserci, ma all’ultimo minuto il suo nome sostituisce quello di Angelo Di Porto, il fratello di Celeste, la delatrice che aveva fatto arrestare già altri venticinque ebrei.
Il riconoscimento della salma lo farà Emma Di Castro, la moglie di Lazzaro, madre dei suoi due figli e del terzo che era in arrivo. Davanti a Lazzaro martoriato, Emma ha un malore, perde i sensi e perde anche il bambino, vittima anche lui della guerra, della follia nazista e dell’odio fratricida della traditrice.
Il pugilatore di Trastevere che sognava di diventare campione, muore così, fucilato senza colpa, in una cava, a solo 27 anni. La storia poi ha fatto il resto…
Bucefalo per sempre
Bucefalo, nella storia, era il cavallo di Alessandro Magno, bello, nero e pieno di forza, proprio come Lazzaro Anticoli, il miglior pugile di Trastevere che sul muro della cella numero 306, terzo braccio di Regina Coeli, riuscì a fatica a incidere una scritta che nel tempo non ha mai smesso di urlare.
“Sono Anticoli Lazzaro, detto Bucefalo, pugilatore. Si nun arivedo la famija mia è colpa di quella venduta di Celeste Di Porto, arivendicatemi.”
Oggi Bucefalo riposa al sacello 222 delle Fosse Ardeatine.
Riposa e sogna ancora il ring che non gli è stato concesso.