William Pickett. Il Demone Scuro

Praterie, ranch, mandrie, cavalli e bulldogging. La storia di William Pickett, nativo afroamericano e cherokee, capace di rivoluzionare il rodeo e di diventare leggenda
 Rachele Colasante
William Pichett

C’è stato un tempo in cui in un’America che non si chiamava ancora America i cavalli correvano liberi. I nativi avevano imparato a conoscerli, qualcuno aveva imparato persino a parlare con loro, altri, sempre di più, avevano iniziato a montarli, a domarli, certo, ma anche a essergli amici. I nativi montavano a pelle, al massimo con una coperta buttata sulla groppa, soprattutto montavano senza speroni. Quelli sarebbero venuti dopo e avrebbero segnato un’epoca, quella degli uomini venuti dall’Europa, uomini che quel luogo immenso avrebbero chiamato America. È in questo contesto che il cavallo diventa un simbolo – il Mustang tra tutti, ma anche il Quarter Horse o l’Appaloosa –  e diventano un simbolo anche gli uomini capaci di domarli. Cowboy comprende tutto: mandriani, pistoleri, banditi, sceriffi e cacciatori di taglie. Tutti con un comune alfabeto personale: il cappello dalle falde large per riparare dal sole e dalla pioggia, una sella che gli consentiva persino di dormire mentre il cavallo andava, gli speroni per spronare la corsa, il lazo, la Colt o il Winchester per tutti gli usi consentiti e no. Tutti cavalcavano, ma solo qualcuno era capace di domare i cavalli selvatici; i più coraggiosi, forse i più pazzi.  Tra loro ce n’é uno cambia il mondo. Non tutto, ma il loro mondo:  quello dei cavalli, dei mandriani e del circo dei coraggiosi, il rodeo. Lui è William “Bill” Pickett e questa è la storia di un uomo diventato leggenda.

Fuori dalla finestra

William Pickett viene al mondo il 5 dicembre 1870, figlio di Thomas Jefferson Pickett e Mary “Janie” Gilbert, entrambi afroamericani con radici cherokee. Secondo alla nascita, ma con undici fratelli che seguiranno, William cresce con una voce e un esempio da seguire. “I cowboy non piangono“, così gli dice la voce ricorrente, a volte quella del padre, altre quella della madre e lui ci crede, ci crede veramente.
Nel 1888 la famiglia si stabilisce a Taylor, nella contea di Williamson, territorio di passaggio per le mandrie guidate, appunto, dai cowboy. William li guarda questi uomini a cavallo che percorrevano la Chisholm Trail, la rotta di transito al tempo usata per condurre il bestiame dal Texas sino ai centri ferroviari degli Stati centrali da dove poi, intruppate nei vagoni, le bestie avrebbero raggunto i mercanti della costa est.
William guardava e sognava di unirsi a loro, di galoppare libero, ma Mary, la mamma, lo riportava ogni volta con i piedi per terra.
Non ancora, non sei pronto”, gli diceva.
Lo sarò e sarò il più bravo di tutti”, le rispondeva lui guardando lontano.

William Pichett

Prime lezioni

Finite le scuole elementari, William inizia a lavorare in un ranch nei pressi di Thrall. È solo un ragazzino, per lui ci sono lavori di fatica, ma presto inizia a montare, a prendersi cura dei cavalli e persino a dare una mano come maniscalco. Insomma, inizia soprattutto a respirare l’aria che sente essere la sua e a imparare con gli occhi da tutto ciò che accadeva intorno.  In particolare, lo incuriosivano i bulldog del ranch che, straordinariamente, riuscivano a riportare al gregge i vitelli smarriti. Il fatto è che lo facevano come non avrebbe mai immaginato: mordendogli il labbro. Inizialmente guarda stupito e incuriosito, ma piano piano una folle idea si fa largo nei suoi pensieri. Se lo fanno i cani posso farlo anche io, si dice. Guarda, pensa, guarda fino a quando non prende la decisione: ci proverà anche lui, in fondo l’idea tendenzialmente non sembrava difficile: doveva solo copiare i bulldog applicando la loro stessa “mossa” sui vitelli. Facile vero? Certo, ma immaginatevi voi a saltare su un vitello e a mordergli il naso o un labbro. Ecco…

L’inizio
Il bulldogging, ovvero la tecnica del lanciarsi da cavallo, afferrare il vitello per le corna, torcergli il collo, mordere il naso o il labbro superiore e farlo cadere a terra su un fianco, nasce così. Folle, ma funzionava, al punto che ancora oggi, abbandonando la parte del morso, la ritroviamo evoluta come steer wrestling in ogni rodeo.
William continuò a studiare, ad allenarsi e, nel 1888, fonda con i fratelli fondò nel 1888 la The Pickett Brothers Bronco Busterr and Rough Riders Associations, specializzandosi nella cattura e nella domatura del bestiame selvatico, ma molto presto inizia anche ad esibirsi nelle fiere locali. Nel 1890 sposa Maggie Turner, ex schiava, con cui avrà nove figli, famiglia numerosa che non gli impedirà di iniziare ad esibirsi in Texas, Oklahoma, Arizona e Wyoming. Inutile dire che ovunque andasse tutti rimanevano sbalorditi dalla sua abilità.

William Pickett

Il 1905 è l’anno della svolta

Pickett si trasferisce in Oklahoma, si unisce al 101 Wild West Show al fianco dei più noti William Cody “Buffalo Bill” e Will Rogers ed è qui che decide di prendere un nome di scena: The dusky demon, il demone scuro. Scelta indovinata; qualunque fosse la tappa della compagnia – Inghilterra, Canada, Sud America o New York – tutti rimanevano senza parole davanti a quel cowboy unico nel suo genere e persino Re Giorgio V e consorte non risparmiarono applausi davanti allo spettacolo del bulldogging del demone scuro. Tra le tante esibizioni, la più rischiosa fu nel 1908 quando affrontò un toro da combattimento per oltre sette minuti; ne uscì vivo, ma con diverse costole rotte. 

L’altro passo

I ranch prima, ma anche le tournée internazionali con la compagnia, ad un certo punto iniziarono a non bastargli più. Nel frattempo era arrivato il cinema a portare spettacolo per tutti e fu così che William Pichett divenne anche il primo cowboy nero ad arrivare sul grande schermo;  The Crimson Skull e The Bulldogger i suoi primi film.
Non tutto andò sempre bene però; William fu spesso vittima di discriminazioni razziali e a volte fu persino escluso dagli spettacoli per via della sua pelle. Per evitare polemiche e veti, non raramente veniva spacciato di origine messicana oppure, giocando sulle sue radici cherokee, come nativo americano. Nonostante questo, nulla lo scoraggiava perché quella promessa fatta alla madre mentre dalla finestra di casa guardava le mandrie pascolare – diventare il cowboy afroamericano più bravo e famoso di tutti –  
William non l’avrebbe mai dimenticata né tradita.

William Pickett

La leggenda continua a vivere

Nel 1916 William decide di smettere con la vita delle tournée e si ritira a lavorare nel suo ranch, mantenendo  solo di tanto in tanto il piacere di partecipare a rodei minori. Il destino però non molla mai: nel 1932 William è colpito in testa da un cavallo. Se ne va così. Da cowboy, ricongiunto allo spirito di quello che aveva voluto fortemente essere. In qualche mondo non una disgrazia, ma una fortuna.
L’eredità del Diavolo Scuro continua ancora oggi: nel 1971 è stato inserito nella Rodeo Hall of Fame del National Cowboy and Western Heritage Museum e nel 1989 nella Pro Rodeo Hall of Fame. Della storia e della leggenda di William Pickett sono custodi anche le parole e le azioni della sua famiglia. Il pronipote, Gerald Anderson, ha creato in sua memoria la Bill Pickett Educational Foundation, organizzazione che supporta la comunità di Taylor attraverso iniziative di beneficienza come raccolte natalizie di giocattoli, viaggi educativi per i giovani. In sua memoria anche un rodeo giovanile che si tiene ogni anno nel mese di giugno.

Un cowboy

Non so se sia vero che i cowboy non piangano. In fondo è poco importante saperlo.
Quello che io so è che c
oraggioso, deciso, con addosso il sapore dell’avventura e della sfida, William Pickett è stato un vero cowboy perché non importa quanto sia difficile, i cowboy montano in sella e ripartono.  
Yee-haw! William, Yee-haw!
   

Rachele Colasante giornalista pubblicista, laurea in Lettere e master in sostenibilità alla LUISS Business School. Da sempre incuriosita dalle storie, cerca di scrivere la sua al meglio. Ancora non sa dove la condurrà il suo percorso, ma per ora si gode il paesaggio.

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