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Simonetta Avalle. La signora del volley

Simonetta Avalle, la prima donna capo allenatrice in serie A1, ha forgiato tantissime atlete di alto livello. Un’agonista piena di sensibilità ed etica del lavoro. Ancora oggi, studia per migliorarsi ogni giorno e continuare a vincere.
Simonetta Avalle

Simonetta Avalle è una donna minuta, empatica, con i suoi capelli argentati e gli occhi azzurro cielo, emana un grande carisma. È nata a Roma nel 1950, in un periodo postbellico in cui Roma in ricostruzione riprendeva la sua vita e si preparava a diventare la capitale mondiale della bellezza e della dolce vita, un periodo che lei stessa ha definito importante e ricco di stimoli. Negli anni del ginnasio si avvicina allo sport, praticando varie discipline. A soli 18 anni, nella piena esplosione del ’68, decide di formare una squadra femminile in parrocchia, ma, accortasi ben presto di avere più propensione ad allenare che a giocare, andrà progressivamente affezionandosi a questo ruolo fino a diventare la Signora del Volley. Di cultura umanistica, laureata in Storia e Filosofia, intraprenderà la carriera di insegnante al Liceo Classico che abbandonerà, successivamente, per dedicarsi pienamente alla pallavolo. Sarà la prima donna ad allenare nel campionato italiano di serie A1 femminile di volley, dopo aver ottenuto varie promozioni di categoria, vincerà nel 1994 la Coppa Europa (CEV) e nel 1995 l’Oscar del Volley e nel 1997 il Premio Razzoli quale miglior allenatore della serie A1. Oggi si occupa di selezionare i talenti pallavolistici laziali, andando sul territorio ad individuare i migliori prospetti tecnici e fisici quale Responsabile del CQR della Fipav Lazio oltre a continuare a studiare, sperimentare e aggiornarsi come da quel primo giorno in cui toccò un pallone da volley.

Com’è stata la sua vita da piccola e com’è avvenuto l’incontro con la pallavolo?

“Una vita fortunata, nata e cresciuta nella casa costruita da mio nonno nel quartiere di Tor Sapienza a Roma, sono cresciuta felice, frequentando la scuola. Ho praticato lo sport al ginnasio grazie a un giovane professore di Educazione Fisica. Sebbene di piccola statura, fui capocannoniere della squadra di pallacanestro della scuola. Il volley è arrivato quasi per caso, ma già a 18 anni, mentre facevo la catechista in parrocchia, ho formato una squadra, rendendomi presto conto che ero forse più portata alla guida del gruppo da fuori del campo che a giocare. Ho un ottimo ricordo, quando da insegnante del liceo, seguivo la squadra di pallavolo che poi partecipò a quella splendida manifestazione che erano i Giochi della Gioventù. Ricordo anche alcune follie, si anche io rientro tra quegli allenatori considerati un po’ matti, facevamo allenamento dalle 7 alle 8 del mattino all’aperto, prima di entrare a scuola, e poi ci allenavamo nuovamente nel pomeriggio.”

Quali persone sono state fondamentali nel suo percorso personale e in quello sportivo?

“Mio fratello. Lui lo è stato per entrambe le cose. È 5 anni più grande di me. Quando in casa facevo battaglie per uscire o per quelle piccole grandi conquiste adolescenziali, lui mi ha sempre appoggiato. Ha sempre sostenuto che se lui avesse potuto fare una certa cosa, non vi sarebbe stato motivo per cui non la potessi fare anche io. Lui faceva l’allenatore di pallavolo, ma quando creammo una società autofinanziata a Tor Sapienza e cominciammo a vincere i campionati fino ad arrivare in serie A2, lui decise di lasciare la panchina per diventare Presidente, per gestire la società e per sostenermi. Credo che lui sia stato uno dei più capaci dirigenti sportivi della nostra regione e sicuramente una persona fondamentale nella mia vita.”  

Simonetta Avalle volley

I ricordi più belli della sua carriera?

“Vincere con l’Aniene Roma la Coppa Europa ad Ankara è stato un momento bellissimo. Poi l’aver formato tante giocatrici di alto livello. Mi realizzo insegnando e trasmettendo alle ragazze autoconsapevolezza della propria forza e del proprio ruolo. Ricordo, per esempio, Simona Gioli che ho lanciato titolare in serie A1 a 17 anni. La sua voglia, la caparbietà, la presa di coscienza del proprio potenziale. Le giovani sono come spugne, assorbono tutto. Prendevano da me quanto gli davo e questo realizzava me come allenatrice e loro come atlete per i progressi fatti. Oggi, purtroppo, manca un po’ di quella voglia di fare.”

Quanto è stato difficile per una donna arrivare ad allenare in A1?

“Sicuramente era difficile e credo che se non me la fossi conquistata a forza di promozioni, non me l’avrebbero mai data una panchina in A1. Qualcuno ha puntato su di me, ma pochi. Quello che è certo è che ho trovato sempre un’ottima accoglienza e collaborazione dai colleghi allenatori uomini, mentre, al contrario, ho sofferto una certa diffidenza da molti dirigenti e procuratori.”

Simonetta Avalle volley

Perché ora non c’è nessuna donna che allena in serie A1?

“La situazione è condizionata da due fattori fondamentali. Quasi nessuna donna accetta di dedicarsi a un ruolo totalmente assorbente quale quello dell’allenatore di alto livello. L’impegno richiesto è continuo quasi totale, scoutizzazione, lavori individuali, studio del sistema, preparazione dell’allenamento e della partita, tempo in palestra. Si lavora a tempo strapieno. Molte donne preferiscono allenare a livello giovanile o nelle categorie minori, dedicando meno tempo e impegno, non volendo rinunciare a tante altre cose quali, ad esempio, il tempo libero e la famiglia. Permane poi un problema di cultura maschilista caratterizzata da un certo pregiudizio verso le capacità delle allenatrici per l’alto livello. Questo, soprattutto, da parte di molti dirigenti e procuratori che certamente non incentiva le donne. Se osserviamo la serie A1 attuale, realmente le poche eccezioni sono rappresentate da alcune procuratrici e da un unico Direttore Sportivo donna, Barbara Rossi della Roma Volley Club. “

Qual è il modo migliore di gestire la squadra per un allenatore?

“Comunicazione interpersonale coerente e consapevolezza, determinanti a qualunque età e livello. Saper comunicare, include il saper dire a una giocatrice che deve stare in panchina. Farle capire che anche quando non gioca è utile. Sapere accettare che una giocatrice dica, nel momento del confronto, cosa pensa e, quindi, capacità di ascolto e sensibilità. Poi con le straniere c’è anche un fatto culturale, preparazione e metodi di interlocuzione diversi. Bisogna essere abili a smussare gli angoli. Bisogna essere coerenti. Se un comportamento, un movimento, un atteggiamento è sbagliato, lo è per tutte. Non può esserlo solo per la ragazzina e non per l’atleta esperta. Bisogna diffondere la consapevolezza dei propri mezzi, le atlete devono sentire che sono in grado di fare una determinata cosa per la squadra. I valori fondamentali di una squadra non serve dirli. Si percepiscono, si allenano, si rendono tali in campo. Bisogna farle esercitare in modo che un esercizio se fatto insieme non costa fatica, se si è unite riesce, altrimenti è più duro e non funziona. Anche le parole che spiegano il gesto o la posizione o i video, se non si allena quel movimento, quel gesto, non servono a nulla. La memoria dell’atleta è una memoria concreta, meccanica, va messa in pratica, ripetuta più volte, va allenata in campo. Vedere solo a video ciò che si deve fare non serve, devono provare più volte possibile le stesse cose, preparando la partita.”

Cosa direbbe a una giovane atleta di talento?

“Innanzitutto, c’è una grande differenza se una ragazza proviene da una buona scuola di pallavolo o se, invece, arriva in serie A solo per motivi antropometrici e senza un’adeguata formazione. La prima sarà pronta ad affrontare anche l’impegno che l’alto livello richiede, la seconda farà più fatica a crescere come altre ragazze capaci e abituate a un certo tipo di lavoro. Mi soffermerei comunque sempre sulla motivazione e la spronerei a non accontentarsi mai di quello che sa fare. Le sconsiglierei di paragonarsi a un’atleta adulta già formata e già capace di gestirsi. Un’atleta, specialmente se giovane, dovrà cercare sempre il miglioramento.”

Invece che consiglio darebbe a una giovane allenatrice?

“Studiare sempre. Io, alla mia età, continuo a vedere e analizzare allenamenti e partite di alto livello. Il gioco evolve, bisogna costantemente aggiornarsi. La pallavolo è in continuo cambiamento e la conoscenza è alla base di tutto. Non si può mai pensare io so, non ho bisogno di formarmi ulteriormente. Un allenatore deve essere un leader funzionale che conosce la propria materia. Un leader tecnico quindi, ma deve anche saper comunicare, sentire il sudore delle sue atlete, condividere la gioia e le lacrime delle sue giocatrici. Solo così avrà una vera leadership.”

Cosa le piace della pallavolo odierna e cosa no?

“È cambiato il modo di allenare e il gioco si è evoluto. Tutto è in continua evoluzione, ma questo è il bello di questo sport. Bisogna curare tutti i fondamentali, formare giocatrici complete perché le regole cambiano e anche i sistemi. Mi piace molto questo continuo ricercare, studiare, mettere in pratica. Il Libero, sembra un esempio banale, ma prima non esisteva. Una cosa che invece non sopporto è la mancanza di rispetto. Sembra retorica, ma non è così, certo si vedono anche allenatori che mancano di rispetto alle atlete, ma si vedono sempre più atlete che mancano di rispetto all’allenatore e anche alle compagne. Sbuffare, sorridere a volte in modo irridente, mettere poco impegno o avere atteggiamenti poco consoni, sono il risultato di un approccio sbagliato dall’inizio. Le società devono preoccuparsi che ognuno stia al suo posto, le atlete vanno tenute dove devono stare.”

Roma è tornata in A1 dopo 23 anni che sensazioni prova?

Innanzitutto, gioia. Il ritorno di Roma in A1 mi ha permesso di tornare in quel meraviglioso impianto che ospitò le Olimpiadi del 1960 e tante altre prestigiose manifestazioni nei decenni seguenti. Vedere dal vivo le migliori atlete del nostro sport, uno spettacolo continuo. Sostengo con tutta me stessa il progetto della Roma Volley Club. So quante difficoltà ci sono in una grande città come Roma e apprezzo quanto è stato fatto.

 Simonetta Avalle e Pietro Mele Volley Roma
(Simonetta Avalle con il Presidente della Roma Volley Femminile Pietro Mele. Photo credit:Morris Paganotti jpg)

Quanto è importante per la pallavolo femminile il fatto che la Capitale ha una squadra in serie A1?

“È importantissimo per tutto il movimento pallavolistico. Una Lega che può vantarsi di avere Roma tra le sue squadre non può che essere grata a chi l’ha riportata in A1. La capitale molto più di piccole città, sebbene con apprezzate realtà, può fare da volano per tutte le altre squadre. Qui c’è un palcoscenico e una visibilità incredibile per atlete, club e sponsor. Una ricchezza per tutto il movimento nazionale. Anche il movimento territoriale di Roma e del Lazio ha finalmente un riferimento. Deve essere un motivo di orgoglio per tutte le società di base, un riferimento per tutte le giovani atlete e per gli allenatori. C’è una netta differenza tra l’A1 e il resto del mondo pallavolistico laziale, non hanno senso gelosie o antagonismi, ognuno deve essere consapevole del suo livello. L’opportunità di vedere dal vivo il grande volley per tutti non va sprecata, tutta la base deve essere proiettata verso la prima squadra della regione. Roma deve rimanere in A1.”

Ha qualche rimpianto?

“Non ne ho. Quello che ho fatto l’ho fatto scientemente. Il mio ego non era così dominante da anteporre il mio successo personale al risultato del mio lavoro. Il successo mi piace, ma il successo raggiunto attraverso il mio contributo mi appaga molto di più. Formare atlete che poi giocheranno ad alto livello. Collaborare in progetti vincenti. Mi hanno chiamato da tante parti in Italia, Reggio Calabria, Vicenza, Firenze, Napoli, sono andata ovunque senza timori. Ho accettato gli staff che mi davano, ho rinunciato all’insegnamento e anche ad avere una mia famiglia per abbracciare quella del volley. Ogni volta che entro in un palazzetto sento l’affetto delle atlete che ho allenato, dei colleghi e delle persone con cui ho lavorato.”

Cosa sogna Simonetta Avalle per il futuro?

“Di vincere. Sono agonista, voglio vincere un sacco di partite. Voglio formare tante atlete da serie A e che continuino a venirmi ad abbracciare a bordo campo a fine partita.”

Andrea Ceccarelli consulente aziendale, si occupa di Marketing e Comunicazione, oltre che di Sviluppo delle Relazioni d'Affari Internazionali. In ambito sportivo è stato giocatore di basket e di football americano. Come Manager Sportivo è stato dirigente, tra l'altro, del Volley Pesaro in serie A1 Femminile e, dal 2018, è dirigente della Roma Volley Club Femminile in qualità di Responsabile Sviluppo, Comunicazione e Marketing.

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