“Guardo alla Jugoslavia a volte con nostalgia, altre con rabbia. Con nostalgia per la sua incredibile diversità culturale e per i miei amici; con rabbia per la dittatura e per gli stupidi politici che l’hanno governata. Se la Jugoslavia fosse stata una democrazia, probabilmente non si sarebbe disintegrata. Ma era una dittatura, con un unico e infallibile leader al vertice e un potente apparato militare, poliziesco e burocratico”. Le parole sono di Drago Jančar, considerato il più importante autore contemporaneo sloveno (dal settimanale “Internazionale”). Se la Jugoslavia fosse stata una democrazia sarebbe stata anche una nazionale di calcio campione del mondo, e quasi sicuramente anche di basket e di pallavolo ancora oggi.
La Serbia e la Croazia regine del basket
2025, 7 settembre, la Serbia esce a sorpresa e troppo presto dagli europei di pallacanestro. Ma se ancora oggi soltanto un “pezzo” della disintegrata Jugoslavia se la gioca da favorita chissà cosa sarebbe accaduto, se sui parquet di Limassol, Riga, Tampere e Katowice nei giorni scorsi avessero saltellato indossando la medesima casacca a canestro anche croati, sloveni, macedoni e così via. Il pensiero va a Dražen Petrović. Cestista proveniente dalla Croazia, campione del mondo e d’Europa della Jugoslavia, vincitore di argento e di bronzo olimpico e con un ulteriore argento olimpico portato a casa con la Croazia nel 1992 contro il “dream team” Usa. Ecco, se la Croazia da sola, già distaccata dalla Jugoslavia, se la continuava a contendere con i più grandi di sempre del basket mondiale, vorrà pur dire qualcosa.

Il “Mozart dei “canestri” un croato in Jugoslavia
Vorrà dire, probabilmente, che il regno della penisola balcanica prima e la repubblica socialista federale dopo, se fossero ancora la Jugoslavia, un’unica entità, avrebbero caratterizzato (e primeggiato) gli ultimi trent’anni del mondo della pallacanestro, contendendo alle Americhe, Usa in primis, ma anche Argentina, lo scettro di numero uno dei cinque continenti tra coloro che fanno roteare la palla a spicchi. Petrović, il “Mozart dei canestri” è stato uno dei migliori cestisti europei di tutti i tempi e tra i primi a imporsi in Nba. È stato perché, purtroppo, a soli ventotto anni perse la vita in un incidente stradale, proprio di ritorno da un match internazionale con la nazionale croata.
Il miglior “centro” di basket al mondo è serbo
A proposito di ex jugoslavi che impazzano negli States, patria senza se e senza ma del basket che conta e a conferma della tesi di una Jugoslavia “uber alles” dei parquet del globo, oggi c’è Nikola Jokić. Cestista serbo, in Nba con i Denver Nuggets, ribattezzato “Joker”, è considerato il miglior centro della storia del basket e, più in generale, uno degli all the best di tutti i tempi.
La Jugoslavia alla pari degli Nba Usa
Ma l’elenco dell’ideale Jugoslavia di pallacanestro di ieri e di oggi è lungo. Da Luka Doncic a Toni Kukoc, da Drazen Dalipagic a Radivoj Korać, da Kresimir Cosic a Dragan Kicanovic. E ancora Predrag Danilovic, Alexander Djordjevic, Dejan Bodiroga, Vlade Divac, Dino Radja, Nikola Vucevic, Milos Teodisic. Insomma, per farla breve e senza voler essere audaci, lo si può dire ad alta voce: una Jugoslavia del basket avrebbe reso meno “dream” il “team” statunitense e forse, tra le stelle e strisce e la stella rossa sarebbe stata ancora oggi sfida continua, Coppi contro Bartali, Panini Modena contro Maxicono Parma nel volley che fu, Brasile contro Argentina, nel calcio.

Croazia sul podio del calcio mondiale
Ah sì, il football, quello che di recente, mondiali di Qatar 2022, ha visto la Croazia chiudere al terzo posto. E ancora meglio, Russia 2018, Croazia seconda più forte del mondo, che soccomberà soltanto dinanzi alla Francia che metteva insieme Pogba e Mbappé, consolidati e nuovi talenti del calcio transalpino. Chissà cosa sarebbe accaduto se Mario Mandžukić e Ivan Perišić fossero scesi in campo a difendere un’unica bandiera, quella della Jugoslavia, con Alexsander Kolarov, stella indiscussa della nazionale serba, e Goran Pandev punta di diamante della Macedonia. E a dimostrarlo ci sono i numeri, inesorabili e indiscutibili.

La Jugoslavia vicecampione d’Europa
La Jugoslavia unita nel corso della sua storia è stata vicecampione d’Europa (1968), due volte tra le quattro più forti del mondo (Coppa Rimet 1930 e 1962). Negli anni tra i Cinquanta e i Sessanta la Jugoslavia faceva faville nel calcio. E a volerla dire tutta, forse la bacheca è meno piena di quello che meritava la nazionale che vedeva scendere in campo Vujadin Boškov, Rajko Mitić, Milan Galić, Stjepan Bobek, Miloš Milutinović, in divisa blu con bande rosse e bianche a richiamare il tricolore della patria jugoslava poi disgregata, e oggi racconto per i libri di storia e geografia.
Jugoslavia del pallone concretezza e fantasia
La nazionale della Jugoslavia del pallone si è caratterizzata nei suoi anni e nei tratti dei suoi calciatori come rappresentazione di un connubio tra geometria e fantasia, tra concretezza ed estro, pane e salame accompagnato da champagne, insomma. Tra le squadre di club lo Stella Rossa e il Partizan di Belgrado, l’Hajduk Spalato e la Dinamo Zagabria si sono fatte conoscere e temere, già quando le formazioni si facevano ancora con “i prodotti nazionali”. Ma forse il talento puro ma troppo anarchico di tanti slavi famosi nel soccer ha, talvolta, frenato, rallentato, l’ascesa alla vittoria, che spesso, molto spesso, è fatta anche di disciplina, testa bassa e pedalare, “corto muso” per dirla alla Max Allegri. L’allenatore di quel Milan che schiera in campo da questa stagione un sempreverde Luka Modric, croato, capace di interrompere il duopolio Messi-Cristiano Ronaldo e sollevare il Pallone d’Oro (2018). Un po’ come ha fatto nel tennis Novak Djokovic, dall’altra sponda della fu Jugoslavia, la Serbia, che con i suoi colpi geniali sui court di tennis oltre a conquistare una miriade di trofei, ha spezzato un altro duopolio quello targato Federer-Nadal. Si sa, gli slavi sono così, imprevedibili, ribelli, fuori dagli schemi.

La migliore Jugoslavia del calcio non ha mai visto la luce
L’ideale “dream team” del calcio, che non ha mai visto la luce, potrebbe essere quello di fine anni Novanta. Alla Croazia del 1998, terza al mondiale con Zvonimir Boban, Robert Prosinečki, Davor Šuker, Alen Boksić, se si prova ad aggiungere per gioco il “Maradona dei balcani” Dragan Piksi Stojković, l’attuale presidente della federazione calcistica del Montenegro Dejan Savicević, Siniša Mihajlović, Predrag Mijatović, cosa verrebbe fuori? Probabilmente una Jugoslavia nazionale campione del mondo, probabilmente una compagine che non solo sulla carta è stata definita il “Brasile d’Europa”, ma che anche nella realtà avrebbe dettato legge.
Pelè volle la Jugoslavia per dare l’addio al calcio
E citando i verdeoro non è casuale che Edson Arantes do Nascimento in arte Pelé scelse come partner per la partita più attesa del Maracanà quella del suo saluto in casacca nazionale il 18 luglio 1971, di fronte a duecentomila spettatori, la Jugoslavia. “ ‘O Rei” di partita d’addio ne disputò anche un’altra con la maglia di club, ma quella in divisa d’ordinanza di patria volle farla contro la nazionale slava. Per il più forte di sempre la squadra balcanica metteva in mostra, come il suo Brazil, le capacità individuali, il talento donato da Madre Natura, ma anche intelligenza tattica e capacità di verticalizzare, in modo improvviso, stile sudamericano pur essendo europei. Brasile e Jugoslavia terre di musica e danza. Capitolo volley. La Serbia femminile, “da sola”, è stata di recente campione nel mondo (2018 e 2022), va da sé che con l’aggiunta di due pallavoliste croate del calibro di Samanta Fabris e Božana Butigan e della slovena Lana Ščuka, tanto per fare “fantapallavolo” si potrebbe pensare ad una serie ben più abbondante di titoli iridati consecutivi difficili da eguagliare.

La Jugoslavia più forte di sempre nella pallanuoto
Capitolo a parte merita la pallanuoto. La selezione maschile della Jugoslavia è considerata una delle più forti di sempre con un totale di trentacinque podi conquistati. Una serie di ori sono, ora, nel palmares della Serbia di pallanuoto (tre olimpiadi, due mondiali, due coppe del mondo, dieci world league, cinque europei), che in pratica ha ereditato il blasone degli jugoslavi continuando a mietere successi, ad aggiudicarsi vittorie e trofei. Non male anche “l’album” di medaglie della Croazia con tre ori mondiali, due agli europei e uno all’olimpiade che aggiunti ai sopracitati trofei serbi farebbe, of course, di un’ipotetica e ormai irrealizzabile Jugoslavia in vasca da pallone.
Jugoslavia nello sport la seconda europea più forte del secolo
Se si abbina Jugoslavia e sport nelle ricerche esce fuori che viene considerata la più forte nazionale europea del ventesimo secolo insieme all’Unione Sovietica, altra nazione che di fatto non c’è più e che negli anni della sua vita era diventata potenza in varie discipline dei cinque cerchi. La fu Jugoslavia, nonostante una vita breve, e spesso tormentata, ha, comunque, messo in bacheca nel corso della sua storia un’Olimpiade, cinque Mondiali, cinque Europei e cinque Giochi del Mediterraneo. Una nazione, venti milioni di abitanti, sei stati oggi e altrettante regioni all’epoca, Serbia, Croazia, Slovenia, Bosnia ed Erzegovina, Montenegro e Macedonia. Lo sport come momento di orgoglio nazionale, di capacità naturali, di bravura accresciuta giocando per strada e nei palazzetti, eredità in parte di un approccio sovietico agli allenamenti e agli investimenti nelle discipline sportive e dall’altro della libertà di azione e di sangue, di istinto e verve, di chi è nato in una terra martoriata non solo a cavallo delle due guerre ma più in generale, da un posizionamento geografico che ne ha fatto un po’ zona di mezzo, crocevia di tante culture e popolazioni, contaminazioni e mescolanze, confronto che ti fa crescere, arricchimento antropologico nella sua totalità.
Repetita iuvant. Se la Jugoslavia fosse stata una democrazia…