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Jamor. Le tre partite memorabili dello stadio dimenticato

30 aprile 1949. 4 settembre 1955. 25 maggio 1967. Chi lega queste date a una partita di calcio è uno di noi. Chi c'era o almeno ricorda è livello "top di difficoltà". Chi ci legge e si emoziona può ricevere la tessera del club. Tre partite così diverse, definitive come l'Alpha e l'Omega, avvolte nella leggenda dei "se" e dei "ma" come i novanta minuti di cui è costellata la nostra vita terrena.
Jamor Mazzola e Ferreira

Il 3 maggio 1949 è martedì, San Filippo

Il calendario recita: “Val più un’acqua tra aprile e maggio, che i buoi con il carro“. 
Capitan Valentino ha una brutta febbre, ma vuole esserci perché niente conta di più della parola data. Rimborso delle spese di viaggio e basta. L’amichevole con il Benfica, per omaggiare il capitano Francisco “Chico” Ferreira, 500 partite e passa con la maglia rossa e bianca, si gioca davanti a 40.000 spettatori, c’è una curiosità oggigiorno sconosciuta. Il Torino è preceduto dalla sua fama, è ad un passo dal quinto scudetto di fila. Lo stabilimento locale Olivetti mette in palio un bel trofeo, l’atmosfera è giusta per una partita vera, leale, aperta. I granata sono al completo, ad eccezione del difensore Tomà e del secondo portiere Gandolfi che lascia spazio a Dino Ballarin, il fratello di Aldo. Non c’è il presidente Novo, Vittorio Pozzo è andato a Londra per Wolves vs Leicester finale FA Cup, Nicolò Carosio ha dovuto scegliere la cresima del figlio. 
La sblocca Ossola dopo nove minuti, ma la reazione dei lusitani è veemente, tre reti prima dell’intervallo con il momentaneo 2-2 di Bongiorni, il francese di Boulogne Billancourt, subentrato a Gabetto dopo una brutta botta al ginocchio. La ripresa vede il Toro menare la danza, impegnare ripetutamente Machado, sfiorare la marcatura, ma subire il 4-2 di Rogerio. Nella manciata di minuti che restano, Mazzola guadagna il rigore, concesso dall’inglese Pearce, che Menti trasforma per il 4-3 finale tra abbracci a centrocampo ed applausi scroscianti dalle tribune del Jamor. 

Grande Torino 1949

Il 4 settembre 1955 è domenica, Santa Rosalia

Il calendario ricorda:”Partire e’ un po’ morire”.
Al Jamor si gioca di pomeriggio tra la squadra di casa, Sporting Lisbona e gli jugoslavi del Partizan Belgrado. Sono due delle sedici protagoniste di una nuova manifestazione. Il Milan, campione 1954-’55, ci rappresenta. Lo Sporting non è campione in carica, ma sette titoli in otto anni valgono l’invito per una squadra che fa dell’attacco il punto di forza, “i cinque violini” hanno scritto pagine uniche nel libro del calcio lusitano. Gli jugoslavi sono un test importante, è il blocco della nazionale argento ai Giochi ’52 e gli Sportinguistas si riversano a migliaia sulle tribune per una sfida inedita, ma piena di significato. Non c’è Zlatko Cajkovskij, bloccato da impegni di studio, ma Branko Zebec, Bruno Belin, Stjepan Bobek e Milos Milutinovic promettono scintille.

L’inizio è tutto slavo, Bobek sciupa a tu per tu con Carlos Gomes, ma ad aprire le marcature è Joao Martins imbeccato da Vasques. Nell’azione il Partizan perde Zebec, roccioso centrale di difesa che resta in campo per onor di firma. Tomasovic ridisegna la linea difensiva e lo fa bene, il Partizan riparte a macinare gioco e Milutinovic ribalta il risultato con una doppietta a cavallo dei due tempi. La negatività cambia sponda, entrataccia di Joao Galaz e sostanziale parità di giocatori abili ed arruolati. Il vento domina, rinvii sbilenchi, portieri in difficoltà a scegliere il tempo d’uscita, l’esordiente Quim – appena diciannovenne – pareggia, poi i due migliori in campo – Bobek e Joao Martins – chiudono la battaglia per il definitivo 3-3. Appuntamento a Belgrado cinque settimane dopo, Milos Milutinovic – fratello di Bora – è l’ariete che non puoi fermare, quattro reti per il 5-2 che vale la qualificazione. Il Partizan è una corazzata, non si può definire altrimenti una squadra che, nel quarto di finale, sfiora la grande impresa di rimontare quattro reti al Real Madrid (4-0 per le merengue in casa, 3-0 per i bianconeri – allora ancora rosso e blu). 

Jamor

 

Il 25 maggio 1967 è giovedì, il Corpus Domini festa comandata

Il calendario sentenzia: “Per Sant’Urbano il frumento è fatto grano”. 
Non accadrà più. L’unico club, il Celtic, ad aver conquistato il trofeo continentale più prestigioso con giocatori tutti provenienti dal vivaio, tutti scozzesi e tutti nati a meno di 30 miglia dal Celtic Park. È la partita tra due mondi, l’Inter di Helenio Herrera ed il Celtic di Jock Stein.
Jock
primo manager protestante della squadra più cattolica del mondo. Jock che vieta ai suoi di andare in piscina perché il sole portoghese picchia, che vuole la panchina più vicina al centrocampo e non molla finché non la ottiene, che insegue l’arbitro all’intervallo perché c’è ruggine che viene dal rigore concesso ma passa per le scorie di guerra (povero Tschenscher, a noi tornerà simpatico con la sua monetina negli spogliatoi del San Paolo, semi europeo un anno dopo). Herrera deve solo replicare una partita recitata mille volte, messi bene in campo, chiusi il giusto, pronti a ripartire con Domenghini e Mazzola. Non c’è la testa pensante di Luis Suarez però, c’è il buon Bicicli e non è proprio la stessa cosa. La partita prende la piega migliore, l’aggressività scozzese sfocia in un tackle in ritardo su Cappellini in piena area, Sandrino Mazzola – il figlio di Valentino, stesso campo diciotto anni dopo – non sbaglia dagli undici metri. Il vantaggio e il caldo, e più di tutto l’usura della stagione, fanno arretrare il baricentro in modo pericoloso. Di là la passione e la mentalità, dalle fasce partono due treni che non si fermano, dirà Guarneri “erano undici, sembravano ventiquattro”. Si chiamano Craig e Gemmell, confezionano loro il pari quando ancora manca mezz’ora. L’Inter arranca, il divario fisico diventa evidente, Burgnich, capitan Picchi sanno soffrire, ma il martellamento – con l’afa ormai padrona – porta all’inevitabile goal di Chalmers. Momento iconico, al Jamor si accartoccia il mito dell’Inter invincibile, nasce fulgido quello dei leoni di Lisbona. 

Jamor Inter Celtic

Il filo che mai si spezza

L’ultima partita del Grande Torino. La prima partita della Coppa dei Campioni. La partita più importante del calcio scozzese.  È il terreno di gioco che unisce queste tre partite così diverse, ugualmente memorabili: lo stadio nazionale di Jamor a Lisbona. Non è l’Estadio da Luz, non à l’Alvalade dove settimanalmente la passione si ritrova dietro alle due squadre simbolo della capitale. È lo stadio dimenticato, poco ascoltato come i nostri vecchi che non hanno più voglia di condividere. Ed è un peccato perché c’é tanto da raccontare, non bastano le feste comandate né arrendersi al fado. La classe di Valentino, la forza di Milos, il dribbling di Jinky

Benfica- Torino 4-3

Benfica: Contreros (Machado), Jacinto, Fernandes, Morira, Felix, Ferreira, Corona (Batista), Arsenio, Espiritosanto (Julio), Melao, Rogerio.
Torino: Bagicalupo, Ballarin, Martelli, Grezar, Rigamonti, Castigliano (Fadini), Menti II, Loik, Gabetto (Bongiorni), Mazzola, Ossola. All. Erbstein
Arbitro: Pearce (Inghilterra)
Marcatori: 9′ Ossola, 23′ e 39′ Melao, 33′ Arsenio, 37′ Bongiorni; 85′ Rogerio (rig.), 89′ Menti II.

Sporting Lisbona-Partizan Belgrado 3-3 

Sporting Lisbona: Carlos Gomes, Manuel Caldeira, João Galaz, Armando Barros, Manuel Passos, Juca, Hugo Sarmento, Manuel Vasques, João Martins, José Travassos, Quim. All.: Scopelli.
Partizan: Slavko Stojanovic; Bruno Belin, Cedomir Lazarevic, Ranko Borozan, Branko Zebec, Bozidar Pajevic, Prvoslav Mihajlovic, Milos Milutinovic, Marko Valok, Stjepan Bobek, Anton Herceg. All.: Tomasevic.
Marcatori: 14′, 78′ João Martins, 45′, 50′ Milutinovic, 65′ Quim, 73′ Bobek

Celtic-Inter 2-1

Celtic: Ronnie Simpson, Jim Craig, Billy McNeill, John Clark, Tommy Gemmell, Bobby Murdoch, Bertie Auld, Jimmy Johnstone, Stevie Chalmers, Willie Wallace, Bobby Lennox. All.: Jock Stein
Inter: Giuliano Sarti, Armando Picchi (C), Tarcisio Burgnich, Aristide Guarneri, Giacinto Facchetti, Gianfranco Bedin, Sandro Mazzola, Mauro Bicicli, Angelo Domenghini, Renato Cappellini, Mario Corso. All. : Helenio HerreraArbitro: Arbitro: Kurt Tschenscher (Germania Ovest)
Marcatori: S. Mazzola 7′, Gemmell 63′, Stevie Chalmers 84′

 

Roberto Amorosino romano di nascita, vive a Washington DC. Ha lavorato presso organismi internazionali nell'area risorse umane. Giornalista freelance, ha collaborato con Il Corriere dello Sport, varie federazioni sportive nazionali e pubblicazioni on line e non. Costantemente alla ricerca di storie di Italia ed italiani, soprattutto se conosciuti poco e male. "Venti di calcio" è la sua opera prima.

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