Un Fastnet facile facile

1971. Pierino Reggio, olimpionico e pluricampione italiano è il timoniere-cronista di un Fastnet su una delle più belle barche d'altura italiane, Mabelle di Serena Zaffagni. Dal Notiziario di dicembre 2021 del Centro Studi Tradizioni Nautiche della Lega Navale Italiana, rilanciamo la cronaca fedele e appassionata della più famosa regata d'altura europea
 Pierino Reggio
Fastnet Mabelle

È stato un Fastnet facile, molto facile. I venti del quadrante Sud-Ovest sono stati costanti a 10, 20 e 25 nodi relativi, fatta eccezione per un paio d’ore di burrasca da Nord, e per altrettante di bonaccia, che però consentiva di fare 2-3 nodi. Bolina all’andata, prevalentemente con mura a sinistra, poppa al ritorno per tre quarti a mura a dritta.
Ero su Mabelle, ed ovviamente mi riferisco alla nostra navigazione, che ritengo sia differita ben poco da quella degli altri prima e seconda classe: forse i terza, quarta e quinta classe avranno l’opinione di una certa durezza, essendo stati costretti a bolinare con onda forza 4-5 e vento a 25 nodi più da Ovest e per 100-150 miglia, mentre noi si scappava, anche planando, verso Le Scilly, verso il ridosso della Cornovaglia.

La nostra partenza è a mezzogiorno

Già più di duecento vele stanno bolinando l’uscita al mare aperto, con corrente in favore e vento fresco da Sud-Ovest a 15 nodi: le previsioni sono per una certa costanza di venti da Sud-Ovest moderati per l’influenza dell’alta pressione delle Azzorre, che dai primi di luglio non si è mossa. Vari fronti di basse pressioni dovrebbero passare a Nord, determinando temporanee variazioni di navigazione tra il Sud-Ovest e l’Ovest. Gli ex-RORC hanno già tutti qualche giro di terzaroli, mentre i disegni nati con la stazza IOR sfruttano tutta la vela. Verso le 13 il vento sale oltre i 20 nodi costante, ed anche Mabelle deve girare un po’ di randa, togliere il fiocco 2 e passare al 3. In questa prima bolina facciamo una virata non molto ortodossa al limite del rischio di collisione col brasiliano Wa-Wa-Too che ci segue leggermente avventato. Odo le manifestazioni di disappunto che sono fortunatamente incomprensibili; in seguito, mi sembra di vedere la bandiera di protesta. Decido di informare soltanto Antonello e Mino, per evitare demoralizzazione: la regata è lunga, ed è probabile che una protesta discutibile non venga presentata, e comunque si studia bene l’eventuale difesa basata sull’inesistenza del rischio di collisione.

Fastnet 1971

Usciti in mare aperto, il vento diminuisce e ridiamo vela e fiocco grande

Presentandosi l’arrivo della corrente contraria, si prospettano due tesi opposte di navigazione, quella molto al largo con minor corrente, e quella molto sotto costa, che sfrutta le anse di controcorrente, ma incappa nei vortici fortissimi delle punte. I bollettini, sempre molto precisi, ci fanno optare per la navigazione lontana dalla costa, dove la corrente è al massimo di un nodo: non si dovrebbe incontrare bonaccia ed essere costretti a dar fondo per non retrocedere. Scende la notte, e la navigazione è sempre di bolina col Sud-Ovest, ora mura a dritta, ora mura a sinistra, secondo lo scarseggiare del vento, e facendo sempre la rotta di maggior avvicinamento. Per una mezz’ora soltanto si scende sotto i due nodi, il mare è appena mosso: i brevi fastidiosi piovaschi della notte, sul far del mattino diventano più lunghi e più alterni. Abbiamo quattro o cinque barche in vista. Di pomeriggio, il cielo si fa quasi terso, e la visibilità perfetta consente di vedere tutta la costa, che è punteggiata di minuscole vele molto indietro e sottovento. Un’ora di vento improvviso da Nord riduce le distanze a nostro sfavore, e quattro o cinque prima classe ci sfilano di prua. In compenso, guadagniamo su quelli che avevamo al vento. Tornato il vento da Ovest Sud-Ovest, in previsione del cambio di corrente, si decide il bordo a mura a sinistra verso terra, per sfruttare la controcorrente o comunque la minima corrente della baia sotto la punta della Cornovaglia.

Si naviga, quindi, proprio sotto costa: ammiriamo il verde dei prati, ed i paesini dei pescatori nascosti tra rocce ed alberi

È quasi notte quando passiamo l’impetuosa corrente alla punta, con onda arricciata, corta, che sovente spazza da prua a poppa: è difficile tenere il governo. Ci si trova con Gitana IV, e il morale va su: certamente non siamo mal piazzati. Verso le due, ritornato il regolare Sud-Ovest, Gitana ci sorpassa sottovento. Rotta 313, vento regolare, piovaschi, mare forza 2, bolina secca fino a giorno, e poi ancora per tutto il giorno. Alle 10 Stella Polare ci passa 500 metri al vento: sottovento si vedono dei prima classe che ci pagano compenso. Si spera in un discreto piazzamento. Verso sera, il bollettino lascia prevedere l’arrivo di un nuovo fronte di vento più da Ovest, ossia più in prua: si spera che ritardi per non perdere tutto quanto si era guadagnato con un’ottima bolina. In conclusione, si è avuto in tutto il giorno un vento attorno ai 15-25 nodi, che ci ha fatto cambiare fiocco e ridurre vela due volte.

Alle 18 la pioggia si fa ininterrotta, sempre più violenta, battente, fredda: è quasi impossibile guardare controvento

Ho avuto la buona idea di indossare due tute. Passano le 24, i piovaschi si fanno sempre più cattivi, e per non far bagnare la nuova guardia si decide di proseguire il turno, e di rimandare il cambio a condizioni migliori. Verso l’una, improvvisamente il vento salta di 90-100 gradi a Nord, a Nord-Nord-Est. Nel turbinio di pioggia riesco a poggiare: è andata bene, poiché sono appena sulla nuova rotta che l’anemometro segna 55-60 nodi. Si deve necessariamente lascare per alleggerire la barca, e quindi si ammaina il fiocco. Improvvisamente, in un momento di minor pioggia, ci troviamo vicini ad un grande prima classe che gira su se stesso presentando ora il rosso, ora il verde, ora il coronamento, e che sembra venirci contro, tanto che appoggiamo per evitare una possibile collisione. Finalmente, evitate varie luci di via bianche e rosse, luci di crocetta di yachts certamente in difficoltà, ed improvvisamente apparsi vicini, possiamo virare e rifare rotta larga in mura a dritta per il Fastnet. Probabilmente, abbiamo sprecato circa mezzo miglio prima di poter virare, ma si è trattato di prudenza, in simili condizioni di scarsissima visibilità. Per circa un’ora, il vento si stabilizza sui 30 nodi, per poi diminuire, ritornando da Ovest Sud- Ovest. Incrociamo una ventina di prima classe che già hanno virato il Fastnet: finalmente, anche noi lo raggiungiamo alle 3,05, ed issiamo subito lo spinnaker.

Dopo oltre 300 miglia di bolina, pare quasi impossibile di ritrovarci vicini e molto numerosi

Vento da Ovest-Sud- Ovest, rotta 112-113 fino alle prime ore del pomeriggio, quando, essendo cresciuto il vento a 25-30 nodi relativi, si deve ammainare lo spinnaker grande per issare quello piccolo piatto da tempesta. Si naviga male, con onda sempre crescente, fino a forza 5 lunga, atlantica, al giardinetto da Sud-Ovest, altra onda più corta e più viva a forza 3 da Nord al giardinetto sottovento, e con una terza onda in poppa a fil di ruota come il vento che ci spinge. Noto che si naviga meglio di altre barche che sono in vista, perché non riesco a tenere la rotta appoggiata. Sovente Mabelle fa oltre i 12 nodi, e si calcola una media superiore ai 10 nodi. Durante l’impoppata, anche a pomeriggio inoltrato, incontriamo numerosi IV e V classe che bolinano con piccolissimi yankee e a mezza randa.

Uno sguardo dal cielo

Alle 16 ci sorvola uno dei tanti reattori da ricognizione che hanno seguito e controllato la navigazione di tutti gli yachts, con un ottimo servizio di assistenza. E, proprio mentre sta facendo il giro attorno a noi, ci troviamo in piena planata, sbandati al vento con il tangone a pelo d’acqua: una lunghissima planata condotta oltre il filo di ruota per sfruttare l’onda di Sud-Ovest. Se il reattore ha ripreso fotografie, debbono essere certamente molto interessanti, perché possono dimostrare le difficili condizioni determinate dall’incrociarsi di onde, che facevano pensare alla risacca che si trova davanti alla Fiera del Mare di Genova.

Al calar del sole, il vento fa bizze

Ci sono punte da Ovest che si alternano con raffiche da Nord-Nord-Ovest, e si decide di abbattere a mure a sinistra, confidando in una stabilizzazione, da Nord-Ovest. Purtroppo, poi ritornerà il Sud-Ovest, obbligandoci ad una seconda perfetta abbattuta. A notte, si strappa, la drizza dello spinnaker, che si è consumata al bozzello di testa d’albero: il recupero avviene perfettamente, perché il vento non lascia prendere acqua alla tela, che sbatte come un nastro davanti, alla prua. Non rimane che issare il fiocco 3 a farfalla, escludendosi di poter ripassare una drizza in testa d’albero, a causa del notevole rollio che renderebbe la manovra pericolosa; si perdono soltanto due o tre nodi, e tuttavia ci risorpassano tre yachts, che avevamo raggiunto e lasciato qualche miglio a poppa. Al ridosso delle Scilly, che annullano l’onda da Nord Nord-Est, Mino viene issato a riparare la drizza: quando scende, è veramente stremato dallo sforzo, e si merita un “bravo”.

Verso l’alba, il vento continua a calare, e così si decide di issare lo spinnaker grande

Si fa giorno proprio alla punta della Cornovaglia, dove avevamo fatto notte due giorni prima, e vediamo molte vele, sia davanti a noi, che di fianco, che dietro. La velocità media è di circa cinque nodi, e si affievoliscono le speranze di poter raggiungere Plymouth prima di mezzogiorno, evitando tutta la corrente contraria che inizierà verso le 10,30. Purtroppo, il vento cala ancora, sotto alcuni piovaschi sorti dal nulla, e la corrente contraria ci fa perdere circa tre ore: raggiungiamo Plymouth, ancora con la corrente in uscita, alle 15,19. Senza il tempo perduto al Fastnet, e se non si fosse strappata la drizza, saremmo giunti al traguardo circa tre ore prima, ed avremmo ottenuto un piazzamento ottimo, non potendoci, comunque, assolutamente lamentare dì quello ottenuto.

La diga è chiusa, e si deve attendere sino alle 20, fuori porto, che risalga la marea

Quando arriva anche il Morning Cloud, con il Primo Ministro, ad affiancarsi alla ventina di scafi già in attesa, la folla sul pontile è imponente. Su quasi tutte le barche c’è “fiesta” tutti hanno tratto spunto dall’orchestra dei brasiliani, inventori di un’infinità di strumenti di fortuna. Qualcuno va anche a mare, nell’eccesso di allegria, favorita dalle bottiglie di whisky offerte da una ditta e pervenute a bordo di ogni yacht. Perfetto è anche il servizio dei sacchetti per i rifiuti, che dovrebbe esistere anche da noi, ovunque. Il Morning Cloud è affollatissimo e il Ministro preferisce una “bicchierata” con gli olandesi ed altri, al comodo passaggio offertogli da un mezzo della marina inglese: tranquillamente, lascia poi il Morning Cloud, passando attraverso una dozzina dì yachts, fino alla Stella Polare che si trova sotto banchina, per arrampicarsi, come tutti, su una disagevole scaletta di 7-8 metri fino alla banchina tra la folla: le forze d’ordine in divisa sono quattro o cinque al massimo, quando il Ministro attraversa la folla.

Il Fastnet è finito

Tirando le somme delle manovre fatte, tolto il bordeggio nel canale della partenza, abbiamo virato in prua circa 30 volte, abbattuto in poppa quattro o cinque volte, cambiato fiocco una decina di volte, e ridotto vela sei o sette volte in tutto. E così posso tornare alla mia premessa che definiva il Fastnet una regata facile per l’uniformità di condizioni generali del tempo ricordando che, con il Mait, anni addietro, avevamo navigato dalle Scilly in poi con la vela di cappa, e in forza 8-9 di mare e vento da Sud; avevamo avuto nebbie, bonacce, salti di vento, onde in prua forza 6-7, e sgombri a bordo rapidamente catturati. I disegni I.O.R., consentono di non regalare alcunché al rating, ed in particolare modo il piano velico, col boma ridotto a circa due terzi di quello dei R.O.R.C., consente di sfruttare tutta la superficie velica anche oltre i trenta nodi. Noi italiani, come altri ex-R.O.R.C., abbiamo regalato qualche ora di rating con della vela inutile, girata attorno al boma, per complessive 20-25 ore circa, e senza averne nessun beneficio nella lunga impoppata, quando si raggiungono dei limiti di velocità determinati dalle linee proprie dello scafo e della lunghezza, limiti che sono praticamente insuperabili, anche aggiungendo tela a riva. Si consideri altresì che, con un vento superiore ai venti nodi, e ad andature larghe o in poppa, la maggior superficie velica della randa serve a ben poco e, quale punto negativo, può determinare delle straorzate, rendendo la navigazione più difficile. Con i ventarelli mediterranei, forse, i buoni R.O.R.C. potrebbero battere, molto saltuariamente, le barche I.O.R., ma si deve considerare che il coefficiente di stabilità inserito nella stazza I.0.R. ha danneggiato i R.O.R.C., che sono più pesanti, con un forte coefficiente di stabilità, che fa elevare il rating nel calcolo della stazza I.O.R.: prima, al contrario, la pesantezza era un coefficiente un tantino favorevole.

Una riflessione sui confort di bordo

A queste considerazioni di massima, favorevoli ai concetti della stazza I.0.R., penso di aggiungerne uno negativo, che riguarda i comforts di bordo, molto ricercati tra noi, specie per chi vuole anche usare il suo yacht per una piacevole crociera di vacanza e non quasi esclusivamente per regata. Al contrario, alcuni esempi di interni visti, mi fanno temere che i costruttori ed i proprietari soltanto “regatanti” tendano agli eccessi, giungendo a costruire dei “tubi”, con all’interno il super minimo dei minimi imposti dalla stazza. Avremo teli (già ve ne sono) al posto delle comode cuccette, e gli armadi saranno riservati esclusivamente a deposito per le attrezzature di bordo, mentre l’equipaggio terrà i suoi effetti personali in sacchi legati ed appesi a ganci.
Mi si perdoni l’esagerazione che porto in questi esempi, ma ritengo opportuno esaminare il problema in sede di stazza, per evitare che proprietari si possano stancare di possedere uno I.0.R. esclusivamente da regata, o addirittura per non obbligarli ad averne due, o quanto meno uno con interni smontabili. È attraverso queste osservazioni esagerate che si può presentare anticipatamente il problema, che certamente si affaccerà anche se, forse, entro più moderati limiti. I nostri R.O.R.C. non sono da buttar via, e credo che, semplicemente modificandoli nel piano velico per quanto riguarda la randa, ed anche alleggerendoli in tanti comforts eliminabili senza troppo sacrificio (ad esempio i doppi servizi con doppia doccia), possano ridurre di molto il loro rating ed essere sempre competitivi.
È uno studio che merita di essere fatto perché molti disegni, come ad esempio proprio quello del Mabelle, sono veramente pregevoli, e nulla hanno da invidiare agli studi fatti esclusivamente per la stazza I.O.R., come ad esempio quello dell’Apollo americano, che tanto mi ha ricordato il disegno dell’ingegner Giulio Carcano, il suo Villanella.

Fastnet

Mabelle

Su Mabelle abbiamo strappato la drizza: era nuova e perfetta, e in tre stagioni l’inconveniente non si era mai verificato, né mai una drizza si era lisa. Non so, quindi, da cosa possa essere dipeso il fatto, perché, ad un esame sommario, non è risultato che la puleggia di testa d’albero si sia consumata ed abbia potuto intaccare il cavo come si pensava. Sono quindi propenso a credere che nelle 200 miglia circa di impoppata, con tre onde incrociate, le continue ed improvvise oscillazioni della testa d’albero, contrastanti con quelle della vela, abbiano determinato tutta una serie di piccole circostanze che non si erano mai verificate in due anni di navigazione sommati assieme.
Nonostante Mabelle abbia strappato la drizza (ma l’incidente è accaduto anche ad altri, tra i quali il qualificatissimo nuovo scafo di Nicholson, con i due Nicholson a bordo, che ha strappato ben tre drizze – ne aveva una doppia specializzandosi -, per loro stesse parole, nel recupero di spinnaker a mare), è stato un Fastnet facile. Ma il Fastnet è sempre una regata nella quale, tra bolina e correnti, si percorrono circa ottocento miglia effettive: è una regata nella quale, per quattro o cinque giorni vi è sempre, o quasi, una certa onda. Ritengo che gli equipaggi mediterranei non abbiano mai avuto la possibilità, dato che le nostre regate si risolvono in un massimo di 48 ore, di adattarsi ad una permanenza a bordo più lunga e con una certa onda. L’improvvisazione, e lo spirito latino, portano a sottovalutare la necessità di un addestramento, di una composizione di equipaggi sperimentati, di un rispetto degli orari nei turni di guardia, e degli orari dei necessari pasti completi che si debbono consumare, anche se un qualcosa indurrebbe a diminuire la razione.
Occorre, contemporaneamente, una certa sopravvalutazione delle possibilità di resistenza, con la fatale stanchezza irrimediabile, e preparazione, e abitudine, e sacrificio: tutte cose che non vengono preventivate né tanto meno provate come allenamento. Nessuno se ne adonti: non corre riferimento specifico, ma si tratta soltanto di una generica constatazione. Ricordo, in proposito, sir Francis Chichester che, sul Mait mangiava ogni ora, o almeno ogni due ore, per sopperire a quanto espulso, osservando che, se non si sta bene, l’unico sistema per resistere è comportarsi così. Non mi è mai capitato di stare poco bene dacché vado per mare, ma considero fatale che un continuo “sbattimento” per giorni e settimane, debba incidere su ogni migliore disposizione di stomaco, e quindi non escludo che un giorno possa capitare anche a me. Concludo, per altro, osservando che l’efficienza manovriera dei nostri equipaggi è sempre stata perfetta, anche se a volte succede che qualcuno si sobbarchi doppi turni: per qualche giorno, tutto va bene!

L’equipaggio ideale

Il Fastnet è una regata che necessita un buon navigatore a bordo, che sappia interpretare i bollettini meteorologici, trarne previsioni anche superiori a quelle che di massima vengono indicate, che valuti le convenienze di rotta a vasta proiezione nel tempo, che sappia prevedere le variazioni di corrente, e che sia anche un ottimo marinaio. Su Mabelle avevamo un ottimo navigatore, e ad esso va il ringraziamento di tutto l’equipaggio ed il mio personale, per le sue capacità e per la sua marineria, al quale aggiungo un plauso per la nostra Marina Militare che lo ha preparato. Infine, ringrazio Serena ed il suo magnifico, facile, marino, e divertente Mabelle.

Pierino Reggio

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