Noi raccontiamo storie.
Raccontiamo storie di donne e di uomini, di record, di imprese e di sconfitte, storie di passioni e di sacrifici, storie di sfide e di appuntamenti mancati, di vite intense, di sogni presi in mano e anche di vite rimandate alla prossima.
Recuperiamo parole e immagini dalla dispersione, riannodiamo fili di memoria personale per tesserli in una trama di memoria collettiva, indaghiamo il passato, ma esploriamo il presente per dare una veste narrativa alla memoria contemporanea, quella che ci scorre sotto gli occhi e che rischia di sfuggire impalpabile.
Facciamo narrazione, non battiamo notizie, esaltiamo la bellezza e la passione del gesto atletico al di là del risultato, non rincorriamo il clamore, mettiamo al bando la polemica e affrontiamo il tempo consegnando memoria al futuro.
Raccontiamo e facciamo vedere lo sport mai raccontato e mai visto prima, quello delle passioni normalmente straordinarie, delle esperienze emotive e degli sguardi che dagli spalti della memoria personale si consegnano a una memoria comune e condivisa, dove tutto diventa esempio e dove ognuno può raccogliere pathos, suggestioni e motivazioni.
Sportmemory lascia impronte narrative in tutti i linguaggi contemporanei.
Il 2 aprile sarà on line il primo numero del magazine, che uscirà ogni primo venerdì del mese e avrà aggiornamenti settimanali; dagli account social raccoglieremo e restituiremo memoria; il primo documentario è già in preparazione e lo presenteremo entro fine giugno; con i podcast daremo valore alla narrazione più seduttiva, quella della voce; le performance dal vivo arriveranno quando potremo tornare alla normalità, ma non la nuova, quella di sempre, quella che ci piace.
Sportmemory è un media dove ognuno potrà mettere a disposizione il racconto della propria passione sportiva, agonistica, professionale o amatoriale che sia o sia stata.
Raccontiamo storie personali, anzi, molto meglio, le facciamo raccontare dalle tue parole o dalle tue immagini, qualunque sia la tua esperienza di sport praticato.
E se non lo hai praticato, ma soltanto visto da dietro la rete di un campetto di periferia, dai gradoni di un palazzetto dello sport, dalla curva di uno stadio o dal prato di un circuito, raccontacelo perché anche assistere a un evento sportivo può diventare un’emozione da condividere, un rito formativo ed esemplare, unico nel suo istante da ricordare e far ricordare.
Noi raccontiamo storie.
Anche quelle che ci hanno trovato per caso.
Storie come quella della fotografia in copertina, una foto sviluppata male e che invece, scampata chissà come al destino delle foto scartate, ha attraversato decenni ed è arrivata fino ad oggi con la sua grana bruciata dall’acido di stampa.
La fotografia è del 1955, per la precisione del 30 marzo.
La partita si giocava al Neckarstadium di Stoccarda; il muro a Berlino sarebbe stato costruito solo alcuni anni dopo, ma la Germania era già divisa.
Una partita amichevole, Italia contro Germania Ovest, con i tedeschi freschi vincitori in odore di doping del Mondiale giocato l’anno prima in Svizzera, dove la nostra avventura era durata poco perché, complice un discusso arbitraggio del brasiliano Mario Viana in occasione dell’esordio contro i padroni di casa, non passammo il turno e ce ne tornammo a casa.
Guardate alle spalle dei giocatori, lo stadio è quello delle grandi occasioni, gremito, perché veder giocare l’Italia già due volte campione del mondo, anche se in amichevole, prometteva spettacolo.
A Stoccarda non si vinceva nulla, ma andò bene.
L’Italia allenata da Alfredo Foni, già terzino di classe e campione del Mondo in Francia nel 1938, incassò un goal su rigore ma ne fece due, segnati da Gino Pivatelli, centrocampista in forza al Bologna, e dal milanista Amleto Frignani, centrocampista anche lui.
Con ogni probabilità la fotografia proviene da un servizio ufficiale, scattata da un fotografo assiepato a fondo campo; sul retro, scritto a penna in grafia incerta, solo l’indicazione dell’anno, del luogo e delle squadre.
L’immagine è plastica; siamo nel sotto porta italiano, Giovanni Viola, carriera quasi tutta juventina, si proietta a mezz’aria, il respiro accelera, il pallone è suo, il tempo si ferma.
Ma l’immagine racconta anche un’altra storia.
Alla destra del portiere, l’azzurro in interdizione di un attaccante tedesco e che segue il pallone con occhi e gambe è Ardico Magnini, un nome che ha il suono del marmo apuano, toscano di Pistoia e “leone dello scudetto Viola” del 1955/56, terzino destro capace di gesti atletici straordinari di cui uno immortalato sulla copertina dell’album di figurine Panini della stagione 1963/64, dove viene raffigurato in maglia azzurra in piena rovesciata acrobatica.
La fotografia non sarebbe mai dovuta arrivare fino a noi e invece è capitata tra le mie mani, abbandonata sul banco di un rigattiere; difficile dire chi abbia trovato chi, io la foto oppure la foto me.
Sono disegni insondabili, inutile chiedersene la ragione.
La fotografia, sopravvissuta al tempo e a un destino che sembrava già segnato è di scarto, eppure bellissima, icona perfetta per la storia di copertina del numero zero di Sportmemory, icona perfetta della filosofia e dell’estetica che perseguiamo, icona perfetta di una memoria da recuperare e mettere a disposizione di un futuro che altrimenti non avrebbe avuto.
Di storie e di immagini ritrovate ce ne saranno molte altre.
E ci sarà anche la tua storia, se vorrai raccontarla, quella che ti è venuta in mente leggendo queste righe, quella che pensavi di aver dimenticato e che invece ti è saltata improvvisamente addosso, quella che hai custodito al riparo del tempo oppure quella che ti verrà in mente leggendo le prossime che pubblicheremo.
E questo è solo l’inizio.