Auti nostro! Sogni, estetica e sudore del calcio di strada

Napoli 1967. Ai giardini del Molosiglio si gioca al grande calcio. Il calcio del campetto, quello delle ore infinite, delle porte immaginarie e del bordo campo qualche volta strusciato per terra, quasi sempre immaginato anche quello. Ma è proprio quando la palla supera quel bordo campo che il grido rompe l'aria. Auti nostro! gridi, agguanti la palla e la rimetti in gioco per rovesciare la sorte. Proprio come la vita, grande gioco anche quella.
Campetto Napoli

Auti nostro! sembra una preghiera al Padre e invece no, non è orazione sommessa, ma grido e polvere, sudore e fantasia.
Fantasia soprattutto, perché se polvere e sudore sono una seconda pelle, è la fantasia quella che fa gridare Auti nostro!, nietzschiana affermazione di volontà che delimita lì, proprio in quel punto e non in un altro, il bordo campo immaginario.
E se il pallone lo supera quel bordo campo, allora è fuori, out, o meglio Auti nostro! non preghiera, ma rivendicazione inderogabile del prendere possesso della palla, di capovolgere la sorte e di rimetterla in campo dal fallo laterale.

(Photo credit: Archivio Fotografico Carbone)

La palla, e che palla, quella che ti sei portato da casa, che ti sei tenuta stretta quando ti sei appeso al tram per arrivare prima, quella che se non la riportavi a casa erano dolori perché significava consegna di rigore per almeno una settimana. Niente uscite, niente campetto e, secondo come girava, neanche TV dei ragazzi che almeno, bene che andava, potevi vedere Urrà Flipper, bello per passare un po’ di tempo, ma niente a che vedere con il campetto.

Perché il campetto era un mondo a parte

Il campetto era l’unico posto dove potevi essere e pensarti in grande quando t’incollavi la palla al piede, dribblavi, scartavi, tiravi di piattone o di punta e segnavi, qualche volta, mica sempre, ma andava bene lo stesso.

Era lì, sul campetto, che ti immaginavi avanti di qualche anno, vestito da calcio, quello vero, tutto preso ad allacciare ai piedi scarpini veri dentro a uno spogliatoio vero, mica a cambiarti sotto al cielo del Molosiglio, mica a giocare con i mocassini dalla suola di cuoio allisciato per la troppa strada mangiata.

Ti immaginavi così perché magari quel pomeriggio qualcuno ti aveva sentito gridare Auti nostro! e magari si era avvicinato a curiosare, magari ti aveva visto anche dribblare o persino segnare. Magari aveva visto di che stoffa eri. E magari quel qualcuno era uno pagato proprio per quello, per cercare i calciatori di domani, quelli che avrebbero fatto vincere lo scudetto che ormai, dopo la Coppa delle Alpi del 1966 era tempo per noi.
Ti aveva visto, ti aveva fatto fare il provino, ti aveva fatto firmare il cartellino e quello scudetto al Napoli lo avresti fatto vincere proprio tu.

campetto Molosiglio
(Photo credit: Archivio Fotografico Carbone)

Oggi lo sai che non è andata così

Nessuno ti ha visto giocare e segnare, o meglio nessuno di quelli che vanno a scovare giocatori di talento, che poi tu magari neanche troppo talento avevi.
Oggi lo sai però che giocare al campetto con le scarpe di cuoio liso, i vestiti ammucchiati e le porte immaginarie non era certo come giocare al San Paolo, ma era terribilmente bello.
E terribilmente belli erano quei pomeriggi infiniti che ti sono rimasti attaccati alla pelle, proprio come polvere e sudore, proprio come quel grido che ti è rimasto in gola e che oggi, mentre guardi in televisione le partite di un calcio che a volte fai fatica a riconoscere, gridi ancora alzando la mano.
Come se fosse ieri, come se fosse sempre.

Oggi sai anche un’altra cosa, però

Sai che mentre sudavi e gridavi e tiravi calci alla palla qualcuno ti ha visto. Non un cacciatore di talenti, ma un cacciatore di immagini e di memorie.
Mentre tu sudavi e gridavi e tiravi calci alla palla al campetto del Molosiglio, Riccardo Carbone ha fermato il tempo, ha visto l’attimo, ti ha fotografato e ti ha portato fino a noi, oggi, cinquanta e passa anni dopo.
È solo per questo che adesso lo sappiamo anche noi cosa significava giocare a calcio al campetto.

Ora però, anche se non ci siamo mai conosciuti, dai, alzati da quella poltrona, metti la palla al centro e vediamo chi vince.

Archivio Fotografico Carbone si occupa della conservazione, digitalizzazione e catalogazione degli oltre 700mila scatti realizzati da Riccardo Carbone (Napoli 1897-1973), primo fotoreporter del quotidiano napoletano Il Mattino, che documentano i principali avvenimenti accaduti a Napoli ed in Campania attraverso le varie fasi politiche che hanno caratterizzato la storia del Novecento. www.archiviofotograficocarbone.it

ARTICOLI CORRELATI

Fausto Coppi

Fausto Coppi. Napoli come destino

1945. Di ritorno dalla prigionia in Africa, Fausto Coppi sbarca a Napoli. Un falegname di Somma Vesuviana gli regala una Legnano verde per riprendere gli allenamenti. Lui ci farà 800 chilometri per tornare a casa. A Napoli ritorna nel ’47 quando vincerà l’ottava tappa del Giro d’Italia che, alla fine, sarà suo per la seconda volta. Sul filo del traguardo di Napoli lo attende il fotografo Riccardo Carbone che ne fisserà il tempo e lo farà arrivare sino a noi.

Leggi tutto »
Gianni Minà

Gianni Minà ci credeva

84 anni. Una vita trascorsa a fare giornalismo. Non è stato l’unico, ma è stato tra i pochi capace di raccontare persone e non solo fatti e notizie. Nelle sue interviste, a lui non uscivano solo parole, ma brillavano gli occhi. Accade solo ai migliori. Gianni Minà credeva a tutto quello che ha detto, scritto e fatto. È stata una fortuna, per lui e per noi.

Leggi tutto »

Carovane Azzurre. Passione in trasferta

Tifare in trasferta significava partenza all’alba e spesso anche prima. Treni, pullman, auto. Panini da casa o viaggio tutto compreso. Sono le Carovane Azzurre degli anni ’50 e ’60, proprio come quella per Lazio-Napoli del 20 ottobre 1957 che raccontiamo con gli scatti di Riccardo Carbone.

Leggi tutto »
Jod Ke Tod

Jod Ke Tod. La competizione delle piramidi umane

Unico nel suo genere, il Jod Ke Tod della Red Bull è una competizione che riprende le modalità del tradizionale Dahi Handi indiano, rito ancestrale dedicato al dio Krishna. Una vera e propria sfida che vede competere gruppi di uomini, donne e bambini impegnati a creare una piramide umana per raggiungere un vaso di terracotta ricolmo di vernice.

Leggi tutto »
Riccardo Acerbi

Riccardo Acerbi. Sport tra ciack e click

Fotografo, attore, film maker e sportivo.Dal tuffo nelle onde gelide a largo di Cape Town, passando per Londra e Milano, in giro per l’Italia e per il mondo, dovunque il suo lavoro come testimonial di un noto brand internazionale lo stia portando, Riccardo Acerbi non vede l’ora di tornare a casa, nella sua amata Roma. Oggi con un motivo in più.

Leggi tutto »
PK Mahanandia e Charlotte

PK Mahanandia. Dall’India con amore. In bicicletta.

Pradyumna Kumar Mahanandia, che nella vita sarà per tutti PK, è un intoccabile, un Dalit, un figlio dell’ultima casta indiana. Come tutti i bambini indiani, alla nascita gli viene fatta una profezia. Incredibilmente vera. Questa è la storia sua, di Charlotte e di oltre seimila chilometri fatti in bicicletta per amore.

Leggi tutto »
matrimonio Luis Vinicio

Luís Vinicio. Il matrimonio di un campione

22 giugno 1957, Basilica di San Francesco. A piazza Plebiscito la gente si accalca e l’aria è quella della festa grande. Luis Vinicio e Flora Aida Piccaglia si sposano e i tifosi sono lì per vivere e festeggiare un momento di felicità corale con il loro capocannoniere. Una felicità che noi respiriamo negli scatti, mai più visti da allora, di Riccardo Carbone .

Leggi tutto »



La nostra newsletter
Chiudi