Search
Close this search box.

Dennis Rodman. Le due vite di un campione

Molto prima de “Il verme”, di Madonna e degli eccessi a Las Vegas, c’era solo un ragazzino del Texas che si sente fuori luogo. È Dennis Rodman e questa è la sua storia.
Dennis Rodman

Non è sempre facile raccontare le vicende che segnano il successo di un personaggio, soprattutto quando questo vive più di una vita. Parlando di Dennis Rodman, poi, possiamo dire che lui sia nato almeno due volte. La sua “prima” vita inizia il 13 maggio 1961 a Trenton, in New Jersey, quando effettivamente viene al mondo. La sua infanzia si snoda per le strade di Dallas, in particolare ad Oak Cliff, uno dei quartieri più antichi e poveri della città. Il padre, Philander Rodman, ex militare dell’aeronautica statunitense, presto abbandona la famiglia per andare nelle Filippine lasciando un vuoto che non sarà mai colmato.

Una casa di donne

In casa Rodman ormai comandano le donne: la madre, Shirley, che deve fare fino a quattro lavori contemporaneamente per sostentare i tre figli, e le due sorelle di Dennis, figure centrali nell’avvicinamento al basket del ragazzo.
Debra e Kim, negli anni del liceo, dimostrano un grande talento per la pallacanestro, in questo sono guidate da Gary Blair, famoso allenatore del basket universitario femminile. Dennis ce la mette tutta per provare a raggiungere il loro livello, ma è niente rispetto a quello delle sorelle che a quel punto hanno la totale attenzione e cura della madre.   
Finito il liceo, le prospettive latitano e Dennis decide di iniziare a lavorare. Trova un primo impiego come custode all’aeroporto di Dallas Forth Worth, ma va tutto storto: arrestato per aver rubato degli orologi in un negozio all’interno dell’aeroporto sarà licenziato.  In futuro ricorderà questo come “l’inizio della fine”. La madre lo caccia di casa e lui, a soli vent’anni, è un senzatetto che si aggira per le strade della città, per tutti un invisibile, un fantasma.

Dovunque e da nessuna parte

Se fino a quel momento il suo fisico minuto e gracile si erano dimostrati le sue più grandi insicurezze, adesso che tutto cambia. In poco tempo Dennis cresce di 23 centimetri. Mentre si aggira per Dallas si ferma in diversi playground, prende un pallone in mano e tira a canestro. Pensa di passare il tempo, ma non sa che lo stanno osservando.
Viene fatto il suo nome al Cooke Country College che decide di offrirgli una borsa di studio, accetta, ma resiste un semestre prima di essere bocciato. La vocazione accademica langue, ma Dennis Rodman ha già messo in chiaro di avere le potenzialità per diventare un grande sportivo.

Il grande salto

Nel 1983 siede per la seconda volta tra banchi universitari, ma stavolta è la Southeastern Oklahoma State University, legata alla NAIA (National Association of Intercollegiate Athletics). In quegli anni, sebbene lo scetticismo iniziale da parte dei colleghi per la provenienza e per motivi razziali, Dennis si dimostra un ottimo collega e atleta: è nominato per tre volte NAIA All-America e nell’85-86 è il miglior rimbalzista, tutti titoli che gli permettono di accedere al Pourtsmouth Invitational Tournament. È il 1986, Dennis Rodman è il MVP, il giocatore di maggior valore del torneo, ha 25 anni e sta iniziando la sua carriera nell’NBA.

Alti e bassi

Ormai sotto i riflettori, anche se con non poche difficoltà, Dennis è selezionato dai Detroit Pistons, allenati dal coach Chuck Daly che diventerà una presenza costante in tutte le vite dell’atleta. Daly infatti è l’uomo che più di tutti ha creduto in lui, l’unico che ne ha davvero capito il talento. L’unico modo con cui Dennis sente davvero di poterlo ripagare è dando del suo meglio in campo.  Nel 1989 grazie al gioco di Rodman, i Pistons vincono il loro primo titolo ai danni dei Lakers. Un anno dopo rivincono e Rodman viene nominato Defensive player of the year. L’idillio, però, dura poco.
Nel 1991 infatti vengono superati dai Bulls di Michael Jordan. Rodman ci mette il cuore, vince il titolo come miglior difensore per la seconda volta, ma la stagione del 1991-92 mette a dura prova i Pistons che escono al primo turno dei playoff. Non sono più una minaccia.

Daly va via

Nello stesso periodo Daly è chiamato a seguire il Dream Team per le Olimpiadi di Barcellona, tocca l’apice nella sua carriera e capisce che non è più il momento dei Pistons.
Dennis si sente tradito, ha perso la sua guida fuori e dentro il campo. È sposato da 82 giorni con Annie, madre della sua primogenita, quando chiede il divorzio. Minaccia il ritiro dal basket, dice di aver perso lo slancio che lo aveva portato fino a quel momento. Ci ripensa, poi non è più convinto, si rifiuta di partecipare ad una trasferta e viene sospeso per tre partite.

Dennis Rodman

Qualcosa di diverso nell’aria

È l’11 febbraio 1993 e qualcosa deve cambiare. Rodman è confuso, non capisce più quale sia il suo posto nel mondo.
Deve mettersi di fronte a tutto quello che lo attanaglia. È a casa di un amico quando sale sul suo pick-up con in mano un fucile. I racconti di quella sera sovrappongono realtà e finzione, non si sa esattamente quale sia la verità, si sa però che tutto cambia con una telefonata. L’amico preoccupato chiama la polizia comunicando che l’amico, non del tutto lucido, si è messo in macchina imbracciando un’arma.
Hanno inizio le ricerche e alle prime luci dell’alba viene trovato il pick-up nel parcheggio del The Palace di Auburn Hills, l’arena dei Pistons. Come un tempio dove consacrare la vita, il suo prima e dopo, Dennis ha scelto quel luogo per dare al mondo una nuova versione di sé. Rodman dorme disteso per terra con il fucile appoggiato alla bocca. I poliziotti lo svegliano, urlano al tentato suicidio, ma l’atleta risponde che in quel luogo ha ucciso la “vecchia” versione di sé. Può iniziare una nuova era. La seconda vita di Dennis Rodman.

“Bad as I wanna be”

Ha inizio un nuovo capitolo non solo personale, ma anche sportivo di Rodman che viene allontanato dai Pistons e “adottato” dai San Antonio Spurs, conosciuti per essere uno dei gruppi più seri e rigidi di tutta l’NBA. Il passato dell’atleta è una zavorra che pesa, ma ciò che sta per arrivare è ancora più forte.
Il verme – l’unica cosa che gli rimane addosso è il vecchio soprannome di quando era ragazzino – si reinventa: capelli colorati, tatuaggi in faccia, pantaloni e giacche di pelle. In un periodo in cui il mondo del basket richiedeva un certo tipo di dress code, quello di Rodman è un grido all’unicità, al voler farsi notare.
Nel 1994 e 1995, Dennis è nuovamente il migliore rimbalzista NBA, ma il premio passa in secondo luogo quando esce la notizia della sua breve relazione con Madonna. Il gossip dice che la pop star fosse anche disposta a pagarlo 20 milioni di dollari per avere un figlio da lui. Bullshit.
Nei suoi anni texani, l’atleta è più fuori che dentro il campo, presente ad ogni evento mondano dove dà spazio agli eccessi e, di conseguenza, le sue prestazioni calano: accumula migliaia di dollari di multe e ben diciotto partite di sospensione per comportamenti aggressivi verso l’allenatore o gli avversari. Poi, quando nuovamente sembra tutto perduto, ecco una luce in fondo al tunnel.

Dennis Rodman

Il peso dell’essere verme

I Chicago Bulls stanno reinventano la loro immagine. Con il ritorno di Jordan in squadra e il peso non indifferente del suo contratto, c’è bisogno di una manovra creativa: il coach Phil Jackson decide di rilanciare Dennis Rodman. Sebbene all’inizio non tutti siano convinti, tra cui lo stesso Jordan, alla fine l’idea è vincente. Per riuscire a tenere Rodman decidono di allentare la corda, non dare un limite al suo animo ribelle e lasciare che sia lui a decidere i termini di questo rapporto. Il verme si sente totalmente accettato e libero di essere sé stesso, questo si traduce in una piena adesione alla squadra e in un miglioramento delle prestazioni. I coach gli danno carta bianca, è un giocatore che va d’istinto e che non deve essere legato troppo strettamente a schemi o giochi di potere. Non mancano i “colpi di testa”, come quando a detta di Jordan, the worm si presenta ubriaco agli allenamenti, ma risultando comunque il migliore in campo. È così che Rodman riscrive la storia della sua squadra.

Quelli che seguono sono anni di eccessi, vittorie e sconfitte

Celebre e lo scontro tra Rodman e Karl Malone degli Utah Jazz, i due litigano in campo e si sfidano anche fuori dal mondo della pallacanestro. Infatti l’altro grande amore di Dennis è il wrestling, mondo dove gli viene proposta la possibilità di sfidare Malone in un incontro di coppia. Rodman e Hogan, contro Malone e Diamond Dallas Page. Lo scontro vede trionfare il Verme, il quale però ha una vita breve nella federazione di wrestling, poiché partecipa agli eventi quasi sempre ubriaco.

Fuori dal parquet

Nel 1998 chiude le finals con i Bulls, entra per poco nei Lakers dove ha appena ventitrè apparizioni, per poi concludere la carriera a Dallas, dove trova poco successo considerando le dodici apparizioni. Non è facile accettare che sia arrivato il momento di ritirarsi, soprattutto per qualcuno che fatto del basket la sua vita intera.
Cosa sarà del Verme una volta finito il gioco?
Rimanda il ritiro, ma ormai è un fenomeno da circo che si trascina in giro per squadre “minori”.
Eppure per Rodman c’è ancora spazio: nel 2011 viene inserito nella Naismith Memorial Basketball Hall of Fame e questo muove qualcosa in lui: dichiara di voler riprendere in mano la sua vita e diventare un buon padre, quello che lui non ha mai avuto. Fino a quando nel 2012, come in un cerchio che si chiude, Dennis dopo 43 anni incontra Philander. I due si abbracciano e il figlio si dimostra disposto a lasciare il passato alle spalle.
Sebbene le buone intenzioni, l’addio al basket è segnato da abuso d’alcool e droghe per provare a combattere la depressione che accompagna quel momento. Ritenta di nuovo a dare un senso, partendo dagli altri, da chi come lui non ha avuto sempre tutto nella vita. Ad un certo punto viene anche fatto il suo nome per il premio Nobel per la pace, questo anche a seguito del suo ruolo come mediatore tra Stati Uniti e Corea del Nord. Nel corso del tempo Rodman, diventato amico del dittatore Kim Jong-un, provò anche a mettersi in contatto l’allora presidente Obama affinché aprisse un dialogo tra i due paesi. Inevitabilmente, tutto cadde nel vuoto.
Ad oggi Dennis Rodman, ormai 63enne, è molto attivo sui social, continua le sue battaglie e racconta delle sue due vite.
Una sola, per uno come the worm, non poteva essere abbastanza.

 

Rachele Colasante nata a Roma nel 1999, da sempre incuriosita dalle storie, studia Lettere a RomaTre cercando di scrivere la sua al meglio. Ancora non sa dove la condurrà il suo percorso, ma per ora si gode il paesaggio.

ARTICOLI CORRELATI

Liberati

Liberati. La bicicletta di quartiere

Una piccola storia. Roma, Tuscolano, Cinecittà. Dopo 65 anni il negozio che ha mandato in bicicletta tutto il quartiere, abbassa le serrande. È il tempo che fugge, è il tempo che cambia, dirà qualcuno. Forse. Il fatto è che Liberati era un’istituzione. Il fatto è che Liberati mancherà a tutti.

Leggi tutto »
Abdon Pamich

Abdon Pamich. 90 anni da campione

Abdon Pamich, una leggenda in marcia. Da sempre. Da quando aveva 13 anni costretto a marciare per lasciare Fiume, lasciata di gambe, mai di cuore. Una vita sportiva ineguagliata, una vita da testimone che si porta dentro. Novanta anni lo scorso 3 ottobre. Auguri e tanta strada, Abdon. 

Leggi tutto »

Mani in alto (questa è una schiacciata)

Un salto nello Spazio. Sicuri che Paola Egonu non sia un’extraterrestre? Un salto nel Tempo. Sicuri che Botticelli non abbia pensato a lei per dipingere la nascita di Venere? Un salto nel Mito. Sicuri che non siano Zefiro e Cloris a farla alzare fino quasi a toccare il cielo?

Leggi tutto »
Ottavio Bottecchia

Ottavio Bottecchia. Il Giro che manca

Un Giro d’Italia da Isolato, tre Tour de France, due vinti, ma tutti e tre da campione. Ciclista professionista a 26 anni, una carriera veloce come la sua vita, andata in fuga troppo presto. Ottavio Bottecchia è stato ciclista tra i più grandi. Mordendo miseria, fatica e destino Ottavio Bottecchia è stato soprattutto un uomo libero.

Leggi tutto »