Scacchi. Lo sport della mente

Calcolo, freddezza, concentrazione, lucidità, provocazione. Nel duello infinito Spassky-Fisher del 1972 la guerra fredda trova la sua schacchiera e gli scacchi diventanto protagonisti di un'epica ma più ripetuta
 Roberto Amorosino
Scacchi Fisher

Gli scacchi sono una disciplina sportiva riconosciuta dal CIO e sempre ad un passo dall’ammissione ai Giochi Olimpici estivi. Riammissione, per meglio dire, perché la tavola di otto righe e otto colonne di quadrati è stata già protagonista di Parigi 1924 e dell’edizione successiva ad Amsterdam senza però mai avere carattere di ufficialità, per capirci fuori dal medagliere che conta. Dal 1927 esiste un torneo open di caratura internazionale con cadenza biennale, è la Coppa Hamilton Russell, quattro scacchiere, undici turni, dominio in lungo e largo dell’Unione Sovietica sia a livello maschile che femminile per una passione che conta un numero imprecisato di praticanti, 600 milioni è una stima al ribasso, e con le radici che affondano nel cuore dell’India profonda. 

Spassky Scacchi
(Boris Spassky)

11 luglio 1972

Si narra che il re indù, per avere la meglio sul nemico, applicò una strategia di guerra che si rivelò vincente, ma ad un prezzo altissimo: la vita del proprio figlio. Inconsolabile, trovò conforto nelle parole di un monaco bramino, rappresentante della casta più alta, che gli propose un gioco dimostrando che, anche in guerra, per raggiungere l’obiettivo si deve saper sacrificare quanto di più caro. Era il caturanga che ora, dopo inevitabili evoluzioni nel tempo, chiamiamo scacchi in italiano, chess in inglese, шахматы in russo. Le lingue parlate dai due protagonisti indiscussi dei momenti recenti più alti della storia del gioco.
Due nemici legati da un’amicizia vera, contro tempo e vento. Boris Spassky e Bobby Fischer, uomini verticali negli anni balordi della guerra fredda, paladini riottosi delle due fazioni, soprattutto campioni inarrivabili. Di scacchi, ma forse non solo.  Sono loro l’undici luglio 1972 a fronteggiarsi per qualcosa che è riduttivo chiamare il campionato del mondo, forse “la partita del secolo” rende meglio l’idea, “di tutti i tempi” e sto. 

Fischer Scacchi
(Bobby Fisher)

Il detentore e lo sfidante

Spassky da Leningrado, Bobby nato a Chicago cresciuto a NY, il sovietico detentore, lo yankee sfidante. Campo neutro, la calma e placida Reykjavik non sarà più la stessa, non più scalo per voli a basso costo, ma centro nevralgico diplomatico e turistico. Sarà la partita più estenuante della storia, Casa Bianca e Cremlino coinvolte con la stessa tensione della sfida nello spazio, si chiama supremazia e sono due pazzi scatenati, imperscrutabile uno stravagante l’altro, a giocarsi tutto in 24 partite. Chi vince un punto, chi perde zero, mezzo punto a testa per la partita patta. Il sovietico deve fare 12 punti per confermarsi, allo sfidante ne serve mezzo di più, regolamento chiaro. Una partita non può superare le cinque ore e l’intero confronto 2 mesi, una maratona sul filo dei nervi. L’attesa non verrà tradita, solo i più fanatici ancora oggi battono su una serie di errori grossolani dei due, frutto di tensione e mosse imprevedibili. 

Pedone bianco in E4, l’apertura di Bobby non cambia, l’occupazione del centro con i pedoni non invecchia

Boris ha sei anni di più, Fischer non ancora trenta e l’esperienza sembra pesare da subito. Fischer sbaglia e la sua fragilità sembra confermata dalla rinuncia alla seconda partita. La presenza ravvicinata delle telecamere lo disturba, non ha bisogno di altri nemici e non incrociare mai lo sguardo con l’avversario non sembra essere d’aiuto. Il sovietico accetta di continuare, da gara tre, in un’altra sala più piccola e riservata. Se ne pentirà della sua disponibilità, senza mai ammetterlo. Non c’è ring, non ci sono schizzi di sangue, ma la nobile arte della boxe è metafora perfetta per gli scacchi, anche nel rispetto dell’altro. Fischer non è qui per fare da sparring, rovescia la situazione. È lui a sorprendere di più, le contromisure di Spassky portano a qualche pari e patta, più spesso non producono risultato. 

Spassky-Fisher
(Spassky vs Fisher)

La sesta partita è decisiva per tante ragioni

Fischer è bianco, ma cambia apertura (C4). Il brusio dei 1600 spettatori della Laugardalsholl Arena contrasta con l’impassibilità del sovietico che, di sicuro, ha il caos dentro. Spassky sta perdendo la guerra psicologica, sbaglia forse una mossa in tutta la partita, Fischer nemmeno quella. Soprattutto l’americano è riuscito a dettare le sue condizioni anche sulla scacchiera. Alla resa del Re nero, agli applausi del pubblico si unisce Spassky. Si alza, scuote leggermente la testa. Ne ha viste tante e sa che non è finita, ma accusa il colpo. Dirà: “Con Fischer non è questione di vincere o perdere, devi sopravvivere“.  L’entourage di Spassky, pavoni del KGB compreso, non riesce a credere che Boris si sia alzato in piedi per battere le mani, mentre i tecnici si interrogano sull’atteggiamento poco caratteristico e passivo a riconoscere un destino segnato. 

Spassky-Fisher
(Spassky vs Fisher)

La settima è patta nonostante due pedoni di vantaggio per Fischer

Ottava per l’americano, di nuovo apertura inglese (C4), di nuovo Spassky in gran difficoltà. La pressione psicologica porta Spassky a chiedere il rinvio della nona partita per imprecisati motivi di salute, le autorità forse lo incoraggiano ad abbandonare, lui non molla anzi cerca di rovesciare il tavolo dei nervi. Fischer si dondola sulla sedia, lui fa altrettanto. Si sistema i capelli, stessa cosa. Serve a poco, Fischer è più bravo ad indirizzare la partita sul suo terreno e Spassky fatica a ribattere tanto più a ribaltare. L’apertura spagnola gli porta la decima partita, poi una sequela di pari e patta inframezzate da vittorie per entrambi. 

Dopo 20 partite il punteggio è 11.5 Fischer e 8.5 Spassky

Serve un punto per chiuderla, le schermaglie non finiscono mai. Fischer denuncia ancora il fastidio delle tv, del pubblico e l’uso di tecnologia e chimica da parte sovietica per danneggiarlo. Spassky pensa a giocare, si difende ma è sotto quando, dopo 40 mosse, la partita viene sospesa e rinviata al giorno dopo. La busta che contiene, come da regolamento, l’ultima mossa prima della ripresa non verrà mai aperta. Spassky all’alba chiama il giudice arbitro per dichiarare resa, non saranno necessarie le ultime tre partite. Vince Fischer, vince tutto ma è arrabbiato nero per il modo. Se ne farà una ragione. 

Spassky - Fisher
(Spassky vs Fisher)

Gli scacchi, ovvero Spassky il gentiluomo, Fischer il ribelle

Così diversi, personaggi capaci però di leggere nella mente dell’altro, complici anche nella sfida al mondo infame di servizi e politici, innamorati delle tante strade che può prendere una partita di scacchi, calamitati dai luoghi da esplorare e mai dai luoghi comuni. Due acrobati senza rete, due Re nudi, due Re da difendere a costo di fare quel sacrificio supremo. Boris legato a un’altra Russia, zarista e svanita, alla ricerca delle radici che non gelano. Bobby anarcosolitario gioiello, ossessionato da tutto, puntino nero lontano dai giochi di potere. Si incontreranno ancora, tra divieti, deviazioni e mandati di cattura, parlando sempre e solo di scacchi, puntualmente pedinati e registrati dai servizi e loro a sbeffeggiarli con “Torre F6 e come ti blocco il tentativo di difesa del nero“.

 

Roberto Amorosino romano di nascita, vive a Washington DC. Ha lavorato presso organismi internazionali nell'area risorse umane. Giornalista freelance, ha collaborato con Il Corriere dello Sport, varie federazioni sportive nazionali e pubblicazioni on line e non. Costantemente alla ricerca di storie di Italia ed italiani, soprattutto se conosciuti poco e male. "Venti di calcio" è la sua opera prima.

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