Quando dici “i tre gol di Pablito“, torni a quel pomeriggio del 5 luglio, alla magia del Sarriá, al 3-2 contro il Brasile più bello di sempre. Le nostre serate, anche ora che l’alcool è centellinato, cominciano sparlando del logorio della vita moderna e spesso si concludono con Espana ’82. Dove eravamo, con chi, dove si andò a festeggiare quando Paolo Rossi fece piangere noi e loro di più.

L’altra tripletta
Eppure una parte di me ripensa sempre, e lo faccio qui con malinconia, ad un’altra hat trick di (a quel tempo solo) Paolino con il Lanerossi delle meraviglie, stagione 1977-’78, che arrivò a contendere lo scudetto alla Juventus. È il 12 marzo 1978, Lazio vs Vicenza 1-3. Dalla Sud dell’Olimpico a inseguire un furetto giostrare fuori area senza essere mai afferrato, materializzarsi poi nei sedici metri, meglio nell’area piccola, mentre il pallone gli andava incontro. La calamita dei fuoriclasse. Tre reti e potevano essere il doppio, le contromisure del buon Vinicio – un centrocampista sui talloni del 22enne di Prato – sono (eufemismo) inefficaci, applausi a scena aperta di un pubblico a cui sembra di rivedere la squadra di Maestrelli. Paolo si prende la nazionale. Sarà il protagonista assoluto dei due mondiali in lingua spagnola con in mezzo quattro anni sulle montagne russe. Dal Perugia al ritorno alla Juve e soprattutto la dolorosa vicenda del calcio scommesse. Come abbia fatto a tornare sulla breccia, pallone d’oro e pichichi mundial, lo sa solo lui. Tre anni ai box, poi ridotti a due, la vecchia signora ed il vecio Bearzot lo aspettano e questo è decisivo, ma c’era tutto per perdersi. Paolo è così, sembra fragile, non lo è mai stato.

L’altra partita
Sono i lunghi mesi della squalifica. Un suo amico, Adolfo Gori, lo contatta dagli USA con una proposta particolare. Adolfo, lo ricordano gli juventini anni ’60, era il terzino della formazione cantilena, Anzolin Gori Leoncini, contraltare della più celebrata Sarti Burgnich Facchetti dell’Inter dominatrice. Gori allena i Rochester Lancers nella nazione dove il soccer fatica a crescere. La MILS non è affiliata FIFA e la squalifica non conta, Paolo può giocare. Se vuole, ma lui pensa solo al ritorno in serie A e in nazionale, accetta più che altro per conoscere un po’ l’America e gli americani. Il più lesto a organizzare una partita pre-season è Sal de Rosa, VP e manager dei Buffalo Stallions, originario di Pignataro Maggiore, prov. di Caserta. Una partita di indoor soccer, calcio al coperto. Un’esibizione, niente di più, che la presenza di Paolo Rossi, il numero 20 della nazionale che ha sfiorato il colpo grosso al mondiale argentino due anni prima, trasforma in evento al memorial auditorium di Buffalo, stato di New York, con 3.346 biglietti venduti. Il campo è di dimensioni ridotte e con le sponde, in pratica come per l’hockey su ghiaccio. La palla non esce mai, il ritmo è alto, se c’è una cosa che sanno fare è correre senza fermarsi mai. Tutti ricordano le difficoltà che incontrò anni prima Eusebio a misurarsi in questo contesto. Paolo si è preparato a dovere, due allenamenti nei due giorni precedenti con la squadra, si trova bene, la sua tecnica è superiore, la rapidità di pensiero fa il resto. Fa una bella rete e serve un assist – come farà Bruno Conti con lui al Camp Nou, ma ancora non lo sa – al bacio. Per la cronaca, alla fine Buffalo vs Philadelphia Fever 9-8. Paolo si è divertito, ha fatto le rotazioni come gli altri, batte il cinque e si accoda alla squadra per il terzo tempo al Mulligan bar dove è bravo a dribblare la trappola per convincerlo a firmare un contratto di almeno sei mesi. Paolo deve tornare in Italia ed a marzo ’81 anche il sole torna.

Il ritorno
Lo chiama Boniperti: “Vieni con noi in ritiro, ti allenerai con gli altri, anzi di più“. La lettera di convocazione impone capelli corti e ribadisce cosa bere e mangiare. È la norma in casa Juve, e Paolo ha maledettamente bisogno di normalità. “E se ti sposi, è meglio” non è nella lettera, ma lui lo fa. “Lo avrei fatto comunque” sorride. Il Trap lo allena, Bearzot lo segue. Paolo rinasce per davvero il 2 maggio 1982, gioca a Udine la sua prima partita dopo l’incubo, la Juve è in maglia blu che non è l’azzurro, ma è comunque cielo senza nubi. Al minuto 49 è suo il 3-1 di testa, non la specialità della casa.

Con noi, ancora e sempre
Che poi a ben vedere sono proprio di testa, e molto simili fra loro, la prima rete al Sarriá e due su tre dei gioielli all’Olimpico con il LRV. La favola di Pablito si può raccontare in tanti modi, grandi e piccole imprese, l’importante è che lui sia sempre con noi.